Il governo di Sebastián Piñera invia nuovi carri armati ed elicotteri da guerra per fermare il recupero delle terre dei Mapuche. Erano stati in molti, alcuni perfino sulle pagine di Comune, che cura con piacere e rigore una certa pluralità delle voci, a riporre grandi speranze nel processo costituente cileno, conquistato dopo le grandi rivolte del 2019 interrotte bruscamente dal dilagare della pandemia. La nomina di Elisa Loncón, indigena e accademica mapuche, alla presidenza della Costituente era parsa poi la conferma che questa volta si faceva proprio sul serio. Un po’ come sperare che eleggere Barak Obama presidente degli Stati Uniti avesse potuto cancellare il razzismo dal suo paese. Raúl Zibechi no. Lo voce e lo sguardo di Raúl, che da sempre su queste pagine consideriamo i più affidabili e profondi sui processi di autonomia delle società in movimento dell’América che chiamano Latina, al momento dell’inevitabile riflusso della protesta cilena, guardava con speranza alle pratiche collettive e all’affermazione delle dignità che si disseminavano, decentrandosi, nelle situazioni territoriali. È lì che avrebbero potuto intaccare il sistema, in silenzio, anche quando i riflettori dei media si sarebbero spenti. La Convenzione Costituente, al di là delle buone intenzioni di molti dei suoi partecipanti, avrebbe rappresentato – e rappresenta – soprattutto il pericolo di cooptazione e svuotamento del movimento popolare che sbanda verso le istituzioni e abbandona la strada e l’organizzazione autonoma. Con una buona Costituzione e un governo progressista le cose cambiano assai poco, in particolare il saccheggio e la militarizzazione dei territori, per primo quello dei Mapuche, scriveva Raúl alla luce di molte altre esperienze della regione (Bolivia, Ecuador, ecc.). Oggi che il governo alza il tiro della repressione militare dichiarando un nuovo stato di emergenza, la realtà delle cose sembra dare ragione a Zibechi. Non è certo una buona notizia, non ci si fraintenda. Le nuove armi e i carabineros portano con sè solo sangue e dolore, ma la resistenza mapuche – che non si è piegata né ai conquistadores spagnoli né a Pinochet – non sarà certo vinta da un Piñera qualsiasi
La dichiarazione dello stato di emergenza in Cile e in Ecuador è il miglior esempio del fallimento delle cosiddette democrazie. In Ecuador succede dopo che i Pandora Papers hanno rivelato che il presidente Guillermo Lasso ha dei conti nascosti in paradisi fiscali e protegge militari e poliziotti da qualsiasi azione giudiziaria per le loro azioni. In Cile, il presidente Sebastián Piñera invia soldati, carri armati ed elicotteri da guerra in territorio mapuche, per fermare il recupero di terre da parte del movimento. Questo fatto si verifica mentre la Convenzione Costituente si riunisce per redigere un testo che superi la Carta ereditata dal regime di Pinochet. La cosa più discutibile è che la maggioranza di sinistra della Costituente, i movimenti sociali che ne fanno parte e il settore dei popoli originari che hanno deciso di partecipare hanno fatto solo qualche dichiarazione senza prendere nessuna misura energica contro lo stato di emergenza.
Mesi fa ho detto che la Costituente avrebbe potuto essere la tomba dei movimenti (“Chile: la convención constitucional puede ser la tumba de la revuelta“. Mi sbagliavo. In realtà, la lotta popolare sta mostrando i limiti del processo avviato nel novembre 2019 per dirottare verso le istituzioni la lotta di strada. Il 12 ottobre, la Comunità autonoma di Temucuicui ha diffuso un comunicato in cui descrive la realtà nei termini più chiari. “È la dimostrazione oggettiva del fallimento della Convenzione Costituzionale e dei seggi riservati, nel cui contesto la lotta storica del popolo mapuche è stata relativizzata e ridotta a un’astrazione di popoli; ora, nel pieno della discussione e della proclamazione dello Stato plurinazionale, sono state dichiarate ufficialmente la militarizzazione e la continuazione del genocidio di cui il popolo mapuche è stato storicamente vittima” (“Comunidad autónoma de Temucuicui ante declaración de ‘estado de emergencia’ en el Wallmapu”).
In un comunicato del 16 ottobre, il Coordinamento Arauco Malleco ribadisce la sua linea storica di recupero delle terre basata sul controllo del territorio e sulla trasformazione di quei luoghi in modo tale da recuperare spazi vitali per la vita mapuche (“FutaTrawün COI COI: «Reafirmamos nuestra lucha por la reconstrucción de la nación Mapuche»”). Il testo, firmato da decine di comunità, aggiunge che “il nemico è il grande capitale estrattivista inserito nei nostri territori e non le chiese, né la comune popolazione contadina”, e osserva che la militarizzazione imposta da questo governo fascista risponde alla sostanziale intensificazione del processo di recupero politico e territoriale.
Di fatto, la dichiarazione dello stato di emergenza mira a frenare il recupero di terre che si è moltiplicato negli ultimi due anni. Infatti, nei primi mesi del 2021 sono state occupate cinque volte più tenute agricole rispetto all’anno precedente, e la mobilitazione del popolo mapuche non fa che ampliarsi.
Possiamo trarre alcune conclusioni da questa deriva dello Stato del Cile, dalla paralisi della Costituente e dalla persistenza delle comunità autonome.
La prima è che il governo di Sebastián Piñera e lo Stato non trovano altre risorse se non quella di ripetere e intensificare la militarizzazione per risolvere un conflitto storico. A medio e lungo termine, non raggiungeranno i loro obiettivi, come sta accadendo ogni volta che compiono atti di repressione. Al contrario, otterranno che crescano il sostegno e la solidarietà nei confronti del popolo-nazione mapuche.
La seconda è il fallimento della Convenzione Costituente. Da un lato, è paralizzata dalla destra e dall’estrema destra che cercano il suo fallimento. Ma soprattutto è paralizzata dalla debolezza di quei costituenti che fanno parte della sinistra e dei movimenti sociali, che non riescono a prendere misure drastiche, almeno altrettanto radicali quanto la decisione del governo di inviare l’esercito in territorio mapuche.
Piñera ha seguito l’onda dei camionisti che hanno paralizzato il traffico nel sud e che esigono misure contro l’incremento del sabotaggio mapuche dei trasporti. Un sindacato di estrema destra, che vive della spoliazione del territorio da parte del modello estrattivo delle grandi piantagioni di pini per l’esportazione.
Ma il fallimento della Convenzione è anche la sconfitta della grande manovra per ricondurre la lotta nelle strade all’ovile delle istituzioni, uno sforzo in cui si è distinto Gabril Boric, il candidato della sinistra alla presidenza nelle prossime elezioni di novembre. A rigor di termini, Boric ha tradito la lotta di milioni di persone contro il modello post-Pinochet, dal momento che ha firmato un Accordo per la Pace Sociale e una nuova Costituzione senza consultare nemmeno il suo stesso partito.
La terza conclusione è quella fondamentale: come dimostra l’ampia mobilitazione del 18 ottobre, nel secondo anniversario della rivolta, ampi settori della gioventù cilena stanno ricominciando a scendere in strada per esprimere il loro rifiuto del neoliberismo militarista cileno. Ci sono stati due morti, ma Boric ha condannato fermamente i danneggiamenti, i saccheggi e gli scontri (“Gabriel Boric tras jornada de protestas este 18-O: «La violencia y destrucción no es ni será nuestro camino»”). È chiaro che se diventerà presidente continuerà con l’estrattivismo, continuerà a militarizzare il territorio mapuche e reprimerà con la stessa durezza coloro che continueranno a dimostrare per le strade.
Fonte: “La Constituyente, de rodillas”, in La Jornada, 22/10/2021.
Traduzione a cura di Camminardomandando.
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“Lo Stato del Cile usa il terrorismo per continuare a sottomettere il popolo mapuche”
Intervista di Enric Llopis a Raúl Zibechi, coordinatore del libro “Le lotte del popolo mapuche” (Eds. Baladre y Zambra).
“Oggi sarà un giorno storico del modo di agire razzista e terrorista dello stato cileno e del governo del criminale Sebastián Piñera”, manifestava il passato 12 ottobre la Comunità Mapuche Autonoma del territorio di Temucuicui, in risposta allo “Stato d’Emergenza” di 15 giorni decretato dal presidente, che aumenta l’uso delle Forze Armate. Allo stesso tempo si dimostra, secondo la dichiarazione comunitaria “il sonoro fracasso dello stato” e “la mancanza di volontà politica”.
La spiegazione dei meccanismi di repressione figurano, tra gli altri contenuti, nel libro collettivo “Le lotte del popolo mapuche”, coordinato dal giornalista e ricercatore Raúl Zibechi, e dall’antropologo Edgars Martínez. Pubblicato da Coordinación Baladre e Iniciativas Sociales Zambra, all’edizione hanno collaborato Ecologisti in Azione, CGT e il Centro di Documentazione sullo Zapatismo (CEDOZ). Recentemente Baladre e Zambra hanno pubblicato saggi di Zibechi come “I popoli rompono l’accerchiamento. Tempi di collasso”. La seguente intervista è stata effettuata per mezzo della posta elettronica.
-In cosa consistette la cosiddetta Pacificazione dell’Araucanía, dispiegata dallo stato cileno tra il 1861 e il 1883? Che conseguenze ebbe?
Fu un’invasione militare del territorio mapuche la cui autonomia era stata riconosciuta anche dalla Corona spagnola, perché non poterono mai conquistarli né dominarli. Quando ci fu l’indipendenza il Cile era un piccolo paese la cui borghesia cominciò ad espandersi militarmente verso nord e sud, attaccando i popoli originari.
Nel caso del Wall Mapu (il nome con cui i Mapuche chiamano la loro terra, ndr) , le conseguenze furono disastrose per il popolo mapuche: persero la maggior parte delle loro terre, la popolazione si ridusse, come conseguenza del genocidio e della dispersione, si impoverirono e furono confinati in spazi delimitati dove la sopravvivenza divenne molto difficile.
Il libro comincia con un riferimento all’assassinio di Camilo Catrillanca, nel novembre del 2018, la conferma della sentenza da parte della Corte Suprema contro sette ex carabinieri per il crimine, nel maggio del 2021, e la repressione nella Comunità di Temucuicui. Che conseguenze ebbe l’assassinio del giovane comunero?
L’assassinio di Camilo fu il momento di maggior espansione del movimento mapuche tra il popolo cileno, molto di più che di fronte a crimini precedenti o di fronte agli scioperi della fame del bicentenario.
Migliaia di cileni, da nord a sud, scesero nelle strade, eressero barricate, fecero suonare le casseruole, in un’inedita dimostrazione di appoggio al popolo mapuche. A Santiago, per esempio, in vari quartieri ci furono per 15 giorni blocchi stradali con incendi. L’importanza di questo sostegno al popolo mapuche l’abbiamo recentemente compresa, per lo meno nel mio caso, quando nella rivolta del 2019 la bandiera mapuche fu quella che sventolò in tutte le manifestazioni, allontanando le altre bandiere, inclusa quella dello Stato del Cile.
Pensi che la sinistra politica e il movimento sociale cileno si siano fatti carico delle rivendicazioni dei popoli originari?
Per nulla. In questo medesimo momento, con una Convenzione Costituente presieduta da una donna mapuche e quando siamo a poche settimane dalle elezioni presidenziali, il governo decreta lo stato d’emergenza e invia soldati e carri armati nel Wall Mapu. La reazione della sinistra è simbolica, quando non dovrebbe essere altra che abbandonare le istituzioni, in questo modo si trasformano in complici della militarizzazione di tutto un popolo.
Ci dovrebbero essere fatti concreti, non solo dichiarazioni. Per la sinistra egemonica il tema mapuche è appena un punto elettorale, la sua popolazione un mucchio di voti, e poco di più. Ma questo non succede solo in Cile, in tutta la regione latinoamericana le sinistre non prendono sul serio i popoli originari. Appoggiare la nomina di una donna mapuche alla guida della Convenzione Costituente, non si armonizza con la passività di fronte alla militarizzazione.
Nei giornali La Jornada e Desinformémonos hai scritto sui rischi per il movimento mapuche che implica la Convenzione Costituente. Dov’è il pericolo?
Il principale pericolo, come stiamo vedendo, è lo svuotamento del movimento popolare che sbanda verso le istituzioni e abbandona la strada e l’organizzazione autonoma. Lo fa perché crede che, con una buona Costituzione e un governo progressista, le cose cambieranno. Nonostante ciò, non vogliono vedere che le precedenti esperienze nella regione ci insegnano che il modello di saccheggio è ancora in piedi e aumenta, che la militarizzazione continua, che la violenza contro i popoli e contro le donne non si riesce a frenare.
Insomma, il pericolo è l’isolamento dei popoli e di quelle e quelli che lottano, da parte di governi che appena mostrano un discorso – e solo un discorso – differente da quello della destra, senza cambiamenti strutturali e con politiche sociali che non risolvono la povertà ma la alleviano per un certo tempo.
Il 12 ottobre il presidente Piñera ha decretato lo Stato d’Emergenza nel Wallmapu. Che meccanismi di repressione utilizza abitualmente lo Stato del Cile contro le comunità e le organizzazioni?
Dalla repressione dura e pura fino alle montature giudiziarie per criminalizzare le comunità ribelli, passando per il sequestro di persone, l’invasione armata dei lof per intimidire e far indietreggiare la lotta. Si armano anche civili per attaccare le comunità, usando tutta la gamma delle misure della controinsurrezione. Si militarizza il Wall Mapu perché c’è una tremenda crescita delle azioni di recupero delle terre, che in un anno si sono moltiplicate per quattro o cinque, in un processo inarrestabile. Quello che sta facendo lo Stato del Cile, è usare il terrorismo per continuare a sottomettere un popolo che si solleva.
Si possono citare degli esempi di settori economici e di imprese beneficiarie dell’accumulazione per saccheggio nei territori mapuche?
In particolare, le grandi imprese forestali, gruppi imprenditoriali molto potenti che fecero i loro affari d’oro durante la dittatura di Pinochet. Queste imprese invasero il territorio mapuche con piantagioni di pini, al punto che giungi in un lof e ti trovi con le comunità che sono strette tra i pini e non hanno terra sufficiente per vivere. Queste piantagioni hanno soppiantato gli alberi nativi, sovrasfruttano l’acqua e la terra, e il legname è un pagamento in contanti per esportarlo al nord, in genere in vari paesi dell’Asia.
A questo devono aggiungersi le grandi opere di infrastruttura, in particolare quelle idroelettriche, le monocolture di salmoni che contaminano l’oceano e pongono ostacoli alle comunità di pesca.
Il libro collettivo dedica un capitolo agli scioperi della fame dei prigionieri politici, per esempio quello portato a termine dal machi Celestino Córdova. Perché è importante questa forma di lotta?
Gli scioperi della fame sono stati un modo di far conoscere la resistenza dei prigionieri mapuche, di rendere visibile la criminalizzazione e le montature giudiziarie e di richiedere solidarietà tra lo stesso popolo mapuche, gli altri popoli originari e i cileni e le cilene in basso. A mio modo di vedere, gli scioperi della fame sono stati fondamentali in questo lungo processo di rottura dell’accerchiamento informativo, che finalmente si è ottenuto, perché il popolo mapuche è un simbolo di dignità e resistenza molto potente nel sud di questo continente.
Da ultimo, consideri che ci sia qualche relazione tra le resistenze zapatista e mapuche?
Quello che esiste è una potente eco delle dignità ribelli. Non si tratta del fatto se ci siano legami organici o relazioni politiche. Sappiamo che l’EZLN ha assunto la parola d’ordine mapuche “Marichiwew” (cento volte vinceremo), e che tra le organizzazioni mapuche c’è molto interesse per quello che succede in Chiapas.
Ma la cosa più importante è l’eco di dignità, di ribellioni in resistenza, della caparbia volontà di andare avanti nonostante tutte le repressioni, siano della destra o della sinistra, perché in Cile è stata la progressista Bachelet una di quelle che ha applicato la legge antiterrorismo durante il proprio governo, contro il popolo mapuche.
Foto: collettivo Manifiesto; pubblicata nella rivista La Tinta
16/10/2021
Fonte: Rebelión, traduzione a cura del Comitato Fonseca
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