Se si continua a trattare con i libici solo per bloccare le partenze dei migranti, si continueranno ad alimentare le mafie e la corruzione, e si darà un colpo mortale al processo di riunificazione già gravemente in crisi. L’Italia finirà per essere emarginata dai nuovi attori che si contendono il terreno, Egitto, Emirati e Turchia, soprattutto. Con il rischio di una ulteriore diffusione della cancrena del terrorismo
In tutta Europa, e dunque anche a Malta prevale ormai l’orientamento che è meglio abbandonare alla tortura ed alla morte in mare i migranti che fuggono dalla Libia, piuttosto che rispettare il diritto internazionale ed i principi di solidarietà affermati in tutte le Costituzioni nazionali, e salvare la vita a chi chiede soltanto aiuto. Intanto nessuno si preoccupa della bomba a tempo costituita dalla situazione sempre più disgregata in Libia, ancora in preda ad uno scontro di milizie che i media occidentali minimizzano, ma che potrebbe avere conseguenze devastanti non solo sui migranti intrappolati in quel paese, e sulla popolazione libica, ma anche sui rifornimenti energetici che da quel paese raggiungono l’Europa, e principalmente l’Italia. Se si continua a trattare con i libici solo per bloccare le partenze dei migranti, si continueranno ad alimentare le mafie e la corruzione, e si darà un colpo mortale al processo di riunificazione già gravemente in crisi. L’Italia finirà per essere emarginata dai nuovi attori che si contendono il terreno, Egitto, Emirati e Turchia, soprattutto. Con il rischio di una ulteriore diffusione della cancrena del terrorismo.
Dopo una massiccia campagna mediatico-giudiziaria contro i soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale, che in Italia ha i suoi più recenti risvolti nelle misure di fermo amministrativo imposte alle navi delle ONG nei porti di ingresso e sbarco, si deve registrare ancora un tentativo di respingimento illegale da parte delle autorità maltesi verso la Libia, nei confronti di naufraghi che si trovavano già nella cd. zona di ricerca e soccorso (SAR) maltese, che le autorità di La Valletta sfruttano per incassare vantaggi economici e politici, ma che risulta abbandonata dai mezzi della marina maltese (AFM), quando si tratta di andare a soccorrere chi rischia di annegare. Per non parlare del sistematico rifiuto da parte del governo maltese quando si chiede un porto di sbarco sicuro per le persone soccorse nel Mediterraneo centrale, salvo clamorosi dietrofront quando si tratta di mercantili turchi, se Erdogan, che ormai controlla buona parte delle coste libiche, fa soltanto un colpo di tosse.
2. Un gruppo di 86 naufraghi a bordo di un barcone fatiscente proveniente dalla Libia, che si trovava in acque internazionali nella zona SAR attribuita a Malta, nella giornata di mercoledì 16 giugno, nel tardo pomeriggio, stava per essere respinto illegalmente in Libia, quando l’imbarcazione Nadir della ONG Resqship, che li aveva soccorsi si è rifiutata di consegnarli alla guardia costiera libica, autorizzata dalle autorità maltesi ad operare nelle zona SAR di competenza de La Valletta. La imbarcazione soccorritrice era però troppo piccola per garantire lo sbarco di tutti i migranti in un porto sicuro.
Il Centro di coordinamento dei soccorsi (MRCC) di Malta ha comunicato al comandante del Nadir che una nave mercantile si trovava nella zona dell’evento SAR e sarebbe intervenuta per un trasbordo, ma questa nave non è mai arrivata e al suo posto si è presentata la guardia costiera libica. A quel punto il comandante del Nadir ha opposto il suo rifiuto, come gli imponeva il diritto internazionale. A differenza di quanto deciso dal comandante e dalla compagnia armatrice VROON Italia, nel recente caso della riconsegna ai libici dei naufraghi soccorsi in acque internazionali dal rimorchiatore VOS TRITON, battente bandiera di Gibilterra. I libici hanno dovuto fare ritorno nel loro porto senza riuscire ad operare l’ennesimo “respingimento su delega”.
Quanto avvenuto negli ultimi giorni, compresa la mancata assegnazione di un porto di sbarco sicuro per i naufraghi della GEO BARENTS, da parte di Malta, dimostra che le zone SAR riconosciute dall’IMO al governo di Tripoli ed a Malta non sono altro che “finzioni” per aggirare le Convenzioni internazionali e legittimare i respingimenti collettivi su delega, vietati dall’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Per questa volta la nave della guardia costiera libica chiamata ad intervenire da La Valletta alla fine è ritornata indietro senza avere fatto prede, e la Centrale di coordinamento (MRCC) maltese ha incaricato il Nadir di portare i migranti al porto più vicino. Tuttavia, la barca a vela di 19 metri non è stata in grado di trasportare 86 persone e ha continuato a richiedere supporto alle autorità maltesi, come ha dichiarato il portavoce della ONG Kaldenhoff. “Non siamo una nave di salvataggio. La nostra barca non è progettata o abbastanza grande per effettuare i soccorsi”. Una motovedetta della Guardia Costiera italiana è allora arrivata a completare l’operazione di soccorso, in coordinamento con le autorità maltesi, nella giornata di giovedì 17 giugno. I migranti sono stati quindi trasferiti dal Nadir sulla motovedetta italiana che li ha portati in Italia. “Nadir aveva appena iniziato la sua missione di osservazione nel Mediterraneo centrale lunedì e già il suo primo dispiegamento evidenzia l’importanza delle navi civili sulla rotta migratoria più mortale del mondo”, ha concluso il portavoce della ONG. Di certo, senza la presenza in quel punto del Mediterraneo centrale, degli operatori umanitari, altre 86 persone sarebbero state riprese dai libici e restituite ai loro carcerieri, per essere vittime di altri abusi e di estorsioni. Perché in Libia nessuna autorità statale garantisce per i diritti e l’integrità fisica delle persone migranti riprese in mare e riportate nei centri di detenzione, lo confermano l’OIM e l’UNHCR.
3. Secondo le Convenzioni di diritto internazionale del mare (UNCLOS, SAR, SOLAS) il comandante di qualsiasi nave ha il dovere di soccorrere con la massima immediatezza coloro che incontra in situazione di distress (pericolo) in mare, “a prescindere dalla loro nazionalità, dallo stato o dalle circostanze in cui si trovano” Allo stesso modo, come specifica il manuale IAMSAR, la Convenzione di Amburgo (SAR) del 1979 obbliga gli Stati parti a coordinarsi tra loro, a predisporre adeguati servizi di soccorso nelle zone SAR di competenza, ed a garantire che venga fornita assistenza a qualsiasi persona in pericolo in mare non solo nella zona di ricerca e salvataggio che si sono attribuiti, ma anche nelle zone limitrofe, quando gli Stati competenti non intervengono. Tutti devono poi rispettare il principio di non respingimento affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra che vieta la riconsegna di naufraghi soccorsi in acque internazionali ai libici. Che ad ogni soccorso/intercettazione in mare comunicano che i migranti “illegali” saranno presto rimpatriati nei paesi di origine. Ma poi questi rimpatri non avvengono e le persone intercettate in mare finiscono nelle mani di bande di trafficanti e torturatori. Come quelli che sono stati condannati nei tribunali italiani, a Milano ed a Messina. La Libia tratta tutti i potenziali richiedenti asilo come “migranti illegali”, non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e li trattiene in condizioni di estrema violazione dei diritti fondamentali in centri di detenzione che tutte le agenzie delle Nazioni Unite denunciano come luoghi di abusi e di torture senza fine. Il “ritorno”, ma si potrebbe dire anche la deportazione, delle persone in un paese in cui affrontano gravi minacce alla loro vita o libertà viola la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Qualunque riconsegna di migranti in acque internazionali ad autorità libiche configura gravi illeciti internazionali, di cui possono essere tenuti a rispondere i comandanti delle navi, le compagnie armatrici, gli Stati che facilitano questi “respingimenti su delega”.
4. Non sorprende, visto il clima di rimozione e di indifferenza, se non di aperta ostilità, che si respira in Italia contro gli interventi di soccorso umanitario in mare, come la notizia del tentato respingimento da parte dei maltesi non sia stata diffusa dal circuito mediatico italiano. Si tratta evidentemente di un evento scomodo per tutti, perché a distanza di pochi giorni, mette ancora più in evidenza non solo le gravissime responsabilità assunte dal comandante della Vos Triton e dalla compagnia armatrice che ha riconsegnato ai libici decine di migranti soccorsi in acque internazionali, nei pressi della piattaforma offshore FARWA. Certo, in quel caso la nave soccorritrice si trovava in acque che ricadevano ai limiti della zona SAR “libica”, ma proprio i comandanti delle navi della VROON dovevano sapere quale sorte attendeva i naufraghi una volta riportati in Libia. Non va certo esente da responsabilità il governo italiano che da Tripoli, con la missione Nauras, assiste, forma e coordina i quadri della sedicente Guardia costiera “libica”.
Le prassi perverse di abbandono in mare sono ormai la normalità quotidiana dell’applicazione del Memorandum d’intesa tra Italia e governo di Tripoli, firmato da Gentiloni il 2 febbraio 2017. Memorandum (MOU) poi attuato da Minniti, a partire dal Codice di condotta imposto alle ONG, precursore dei decreti “sicurezza” poi adottati quando Salvini ha occupato il Viminale, e dei fermi amministrativi della gestione Lamorgese. Contro questa barbarie, che in Italia si continua a perpetrare attraverso misure amministrative, che travolgono persino i richiami della Costituzione italiana alle Convenzioni internazionali (artt.10,11 e 117) operati dai Tribunali italiani e dalla Corte di Cassazione, rimane soltanto una sparuta pattuglia di cittadini solidali, di giornalisti indipendenti, di operatori umanitari, e di avvocati esperti nella difesa dei diritti umani, mentre il Parlamento italiano si appresta a votare il rifinanziamento delle missioni italiane in Libia,
5. Ancora poche settimane fa la Commissaria ai diritti umani del Consiglio d’Europa ribadiva il suo invito agli Stati membri perché attuassero rapidamente le sue raccomandazioni per garantire che le vite e i diritti umani delle persone in difficoltà in mare. In particolare la Commissaria esortava gli Stati membri a:
● garantire la presenza in mare di strumenti di adeguati ed efficaci ricerca e soccorso, sotto la responsabilità degli Stati, e fornire una risposta rapida e adeguata alle richieste di soccorso;
● garantire lo sbarco rapido e sicuro delle persone soccorse, con il supporto di un’autentica solidarietà europea;
● non ostacolare più le attività in favore i diritti umani delle organizzazioni della società civile, sia nel caso in cui siano coinvolte in operazioni di ricerca e soccorso che nel caso in cui conducano attività di monitoraggio dei diritti umani;
● porre fine ai respingimenti, al coordinamento del ritiro dalle operazioni di salvataggio o ad altre attività che portano al respingimento di rifugiati e migranti in aree o situazioni in cui sono esposti a gravi violazioni dei diritti umani;
● ampliare rotte sicure e legali, a cominciare dalle persone bisognose di protezione internazionale
6. Human Rights Watch (HRW), Amnesty International e il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati (ECRE) hanno pubblicato mercoledì un piano d’azione per promuovere percorsi sicuri sulla rotta precaria dal Nord Africa. Il piano in 20 punti fornisce indicazioni su come l’UE potrebbe garantire opportunità di sbarco sicure e prevedibili e risposte di ricollocazione per le persone soccorse. “È vergognoso e tragico che i paesi dell’UE non riescano ad accordarsi su qualcosa di così fondamentale come salvare vite in mare”, ha affermato Judith Sunderland, direttrice associata di HRW per l’Europa e l’Asia centrale. “La gente sta annegando mentre i leader europei litigano”. Nessun accordo in vista, infatti, sui soccorsi nel Mediterraneo, neppure al prossimo Consiglio Europeo fissato per il 24 ed il 25 giugno prossimi. Solo generiche conferme sulle politiche di esternalizzazione e sulla maggiore efficacia che si vorrebbe attribuire ai rimpatri forzati, con un ulteriore restringimento delle possibilità di accesso alle procedure di asilo.
Fonte: Adif
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