Io Capitano può essere definito un bel film: per come è realizzato, per la qualità delle interpretazioni, per il pathos che trasmette e anche perché getta un fascio di luce su uno dei grandi scandali del nostro tempo, la scelta compiuta dalle democrazie europee di “lasciar morire” migliaia di persone ai propri confini. E tuttavia il film di Matteo Garrone non convince.
Io Capitano racconta l’avventura di due giovanissimi senegalesi lungo la rotta che attraverso il deserto porta alla Libia e poi all’Italia, e mostra le tragedie che vivono o almeno sfiorano, fra vessazioni, torture, vite perdute e abbandonate; eppure alla fine si esce dal cinema sollevati. Sollevati perché alla fine i “nostri eroi” ce la fanno e perché l’Italia vi compare come terra promessa; dunque un “bel film” che mostra alcune brutture ma non scuote e non turba più di tanto. Un film consolatorio.
I “cattivi” del film sono i trafficanti che affittano auto, pullman, barche a prezzi esorbitanti, e poi i poliziotti e i miliziani che picchiano, umiliano, torturano ed estorcono denaro, ma Io Capitano non mette a fuoco il nodo politico della questione e anzi rischia – involontariamente – di legittimare la falsa narrazione sulla “tratta dei migranti”, cioè l’idea che gli “scafisti” e i “trafficanti” siano i responsabili degli “sbarchi” e della presunta “invasione”, insomma la retorica politico-mediatica prevalente.
Matteo Garrone, in verità, è personalmente lontano da questa rappresentazione e nelle interviste sostiene la necessità di istituire canali di ingresso legale in Europa per tutti, ma il suo film manca di mettere a fuoco questo punto e quindi non affonda il colpo. “Io Capitano” resta quindi privo di spessore politico, omette di denunciare i veri responsabili del “sistema” che semina ingiustizia e morte, fra i quali ci siamo anche noi spettatori, in quanto cittadini di paesi che di fatto sostengono quel “sistema”.
Il regista ha precisato che il suo intento era semplicemente raccontare una storia mettendosi nell’ottica degli “altri”, cioè i ragazzi in viaggio verso l’Europa, e questo ha fatto, ma intanto Io Capitano può essere giudicato “un bel film” da chiunque, anche da chi finge di non sapere che il deserto nordafricano e il mare Mediterraneo sono diventati dei grandi cimiteri a cielo aperto per “nostra” scelta. Sono le democrazie europee, con le loro “politiche sull’immigrazione”, come sono ipocritamente chiamate, a sostenere i trafficanti, gli scafisti, le milizie che lucrano sulle “vite di scarto” che devono rimanere fuori dai
confini dell’Unione.
Io Capitano può anche essere definito un bel film, ma è certamente un’occasione mancata.
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Sono d’accordo. È altrove che bisogna mettere a fuoco. Il problema è politico.
… siamo inondati da anni di becera informazione, quest’ultimo anno ancora peggio.
Come si inizia a scardinare le idiozie che quotidiani, televisioni, “opinionisti “ si usa la lente di ingrandimento per di più su un film che anche chi lo critica lo trova ben fatto, che se riesce a superare i mille ostacoli, entrerà in lista per un Oscar, non mi interessano gli Oscar, ma scuotere le coscienze non con le faccine e il pollice alto.
La stima verso Guadagnucci è sempre alta.
Un film con gli inevitabili limiti di un film.
Un film non e’ un programma politico,questo denuncia ,bene,una realtà africana ed il dramma dei viaggi della speranza.
Spero che Garrone ci racconti con altrettanta forza il tradimento di questa speranza
Non sono d’accordo. Questo film lancia un grido di dolore pesantissimo e gli spettatori ne escono annichiliti. Anche i ragazzini che uscendo dal cinema decidono di cominciare volontariato e aiutare i migranti.
Ho visto il film che e’ un buon racconto di vita vissuta, come dice il regista. Volevate l’evidenza e magari la soluzione di ogni ipocrisia che riguardi l’Africa? Molte cose le sappiamo, sempre se vogliamo saperle. La prima colonizzazione africana e’ stata europea. Per cui considero il film un punto di partenza, non di arrivo. L’Oscar puo’ arrivare per il film, per affrontare il problema ci vogliono politica ed economia che volgono al sociale non all’osceno, esclusivo profitto. Il film puo’ dare uno stimolo…a conoscere meglio gli africani, almeno.
Lorenzo Guadagnucci scrive: «… “Io Capitano” può anche essere definito un bel film, ma è certamente un’occasione mancata». Io l’ho visto ieri e se ci ripenso mi pare un atto di grande coraggio e di verità: inaspettato per i brutti tempi che viviamo. Dunque sono in sintonia con Silvia Bendinelli che risponde così a Guadagnucci: «Non sono d’accordo. Questo film lancia un grido di dolore pesantissimo e gli spettatori ne escono annichiliti. Anche i ragazzini». Certo è solo cinema … ma la “politica” dov’è? Come ben sa Guadagnucci (o lo ha dimenticato?) le occasioni mancate sono quella della “sinistra” italiana di governo ma sempre serva di padroni che vogliono solo immigrati schiavizzati. Credo che qualche regista coraggiosa/o potrebbe fare un film anche su questo – intendo le infamie italiane ed europee sulla nuova “tratta” – ma è una storia diversa da realizzare e chissà se basterebbero due ore. Sinora il cinema italiano aveva realizzato film orribili (reticenti, bugiardi e pure mal fatti) su chi migra nel BelPaese sempre più mafioso… Oppure – mi viene il dubbio e penso anche al bravo Daniele Segrè – se qualche film o docufilm di questo tipo si è concretizzato allora gli ingranaggi lo hanno reso così invisibile che quasi nessuna/o se ne ricorda; a parte i cineclub e le persone più militanti. Correggetemi se sbaglio: anche io, come tutte/i, perdo la memoria.
daniele Barbieri – Imola
forse volevi dire Andrea Segre, l’ordine delle cose e altri film?
👏👏👏👏 Grazie per questo commento che condivido il toto e in particolare a proposito di “occasioni mancate”.
Non sono d’accordo. Mi verrebbe da dire “nessuno è perfetto”. Una qualsiasi opera va giudicata per gli aspetti che ha scelto di mostrare, e il film di Garrone ha il pregio di saper tenere insieme la crudeltà e la tenerezza, la violenza e la solidarietà, l’orrore della schiavitù e della tortura e la poesia, la durezza della condizione del migrante e il sogno della felicità che è di tutti gli umani. Non ha senso chiedergli la completezza di un inquadramento politico del fenomeno migratorio che possiamo cercare e trovare altrove, nelle tante e diverse espressioni del dibattito in corso.
Concordo quasi totalmente con Guadagnucci. Lavoro nel sistema di seconda accoglienza da 10 anni. Letto molto prima; visto ieri sera. … Non capivo bene sul momento perché non ne fossi uscito con quel “pugno nello stomaco” che mi aspettavo. Neanche le scene che avrebbero dovuto (le torture). Poi ho messo a fuoco. Era solo una favola… in fondo, a lieto fine. Ha messo insieme crudeltà e tenerezza? Si forse … mi ha fatto sorridere, ma non inorridire e soprattutto non ha toccato nessun senso di colpa. In una vicenda come questa uscire “sollevati” significa non aver capito (o aver assistito ad una opera artistica che non è riuscita a farlo sentire tale) che si era di fronte ad un dramma. Forse è questione di approccio narrativo: il film non mi ha messo in ansia … nessuna soluzione che mi portasse al limite della sopportazione. Non mi sono sentito “scomodo” sulla poltrona. Me lo aspettavo, ma non è successo. Ho passato 90 minuti seguendo la storia con leggerezza e attenzione. Bel film. Non ho l’impressione di aver assistito né ad un capolavoro né ad una opera di denuncia. Mancano troppe domande e troppi colpevoli.
Visto ieri. Effettivamente l’analisi di Guadagnucci ha un senso, è una critica coerente. Anch’io sono rimasto un po’ spiazzato dalla pellicola. E penso che sia proprio la questione politica dei migranti che ogni giorno rimbalza in maniera ossessiva e quotidiana che mi ha portato a perdere il filo del vero significato del film di Garrone. Che alla fine resta un racconto, il racconto di un viaggio, il racconto di un viaggio in cui due ragazzi diventano uomini. Che è un po’ il senso dell’ultimo cinema di Matteo (“Pinocchio” e il “Racconto dei racconti”). Con l’intermezzo di “Dogman”, una pellicola pensata però nel 2006 e girata 10 anni più tardi quando location e cast hanno soddisfatto il regista romano.
Ci invadono talmente con false rappresentazioni e false narrazioni, che raccontare una storia vera è un atto politico in sé. Non capire che la verità oggi è politica, e chiedere un’analisi di contesto, mi sembra una lacuna. La storia del viaggio che ci dà Garrone, quella storia che non vediamo mai, è vera e raccontata senza sconti, oltre che ben resa dal punto di vista cinematografico. Questo deve fare un film, raccontare una storia, non un rapporto di ricerca.
Ha centrato il problema, sono d’accordo. Il film ha il pregio di mettere al centro del racconto la persona e i suoi sogni. Per le cause e gli aspetti politici ci sono altri “deputati” che devono fare questo lavoro.
Non sono affatto d’accordo con il giudizio di Guadagnucci sul film di Garrone. Lavoro da 25 anni con i migranti, alcuni dei quali (africani) ho portato a vedere il film – c’era anche il regista con gli interpreti – e ne sono rimasti commosso. Uno di loro intervenendo ha detto: questa è la mia storia, non è un film! Rispettiamo il loro giudizio!
Mi pare un giudizio piuttosto frettoloso e superficiale. Quello di Garrone è un film poco retorico e molto coinvolgente. Racconta di due ragazzi senegalesi che vogliono venire in Italia. Un sorta di romanzo di formazione sognante, tragico e attualissimo.
Tutto qui, diciamo, se non fosse che sono rarissimi gli artisti che riescono a realizzare questo equilibrio. Direi che il pubblico se ne è accorto. Poveretti: non si sono accorti che è “un’occasione mancata”!..
SONO D’ACCORDO CON SILVIA BENDINELLI E LEA MELANDRI. Non sono assolutamente d’accordo con Guadagnucci. Io so cos’è l’emigrazione. L’ho vissuta con tutta la mia famiglia. I miei partirono nel febbraio del 1962. E sono stati in GERMANIA 12 anni. Mio padre era “sarto”. Ma alla GHERESHEIME-GLASSUTTE -Dusseldorf “HA LAVORATO ALLA CATENA”. Era una fabbrica di vetro. Erano i tempi in cui , ” quelli come mio padre” partivano dal SUD per “mandare i figli a scuola. MIO PADRE ERA “COMUNISTA” e pensava che “quando i figli degli operai e dei lavoratori fossero andati a scuola….il socialismo avrebbe trionfato” . Me l’ha ripetuto per tutta la vita. 12 anni i miei sono stati in GERMANIA. E tutta la mia (la nostra…) vita è rimasta “segnata”. Io ho pianto. Ho sofferto. E mi sono identificato. Scusate se accludo ciò che ho scritto dopo. Saluto tutti….TUTTI A CINEMA A VEDERE “IO CAPITANO” COME FORMA DI LOTTA CULTURALE POLITICA E UMANA.
IO, CAPITANO… leone d’argento a Venezia è un film da vedere e da far vedere. E andrebbe proiettato nelle scuole e nelle piazze . Per organizzare poi un dibattito collettivo e di massa. Perché è la cifra della nostra epoca. E non è un caso che un’opera d’arte , sulla scia del NEO-REALISMO dei nostri grandi padri, coglie mirabilmente lo SPIRITO DEL TEMPO. Vederlo e fare il passaparola è un dovere perché è una forma di lotta CULTURALE POLITICA MORALE E UMANA. Contro IL DISUMANO della fascista Meloni e dei suoi camerati. E contro la menzogna di regime della TV megafono e dei giornali servi e padronali. LORSIGNORI tutti non dicono assieme ai boss in carriera che si muovono sulla scena dello spettacolo quotidiano della “politica”l’essenza dei PERCHE’ e rovesciano giornaliermente IL SENSO DELLA VERITA’ e della REALTA’. L’emigrazione in tutto il mondo deriva strettamente da disuguaglianze fame miseria guerre desertificazione e crisi ecologica e climatica. E IL MODELLO LIBERISTA di “sviluppo” imposto al mondo negli anni che vanno dal GOLPE FASCISTA del CILE ( prima base di sperimentazione dei CHICAGO-BOIS) ne è l’origine la causa il motivo. “IL COLLASSO CLIMATICO E’ INIZIATO…” dice GUTERRES ed è il centro focale da cui tutto si diparte e interrela. Le migrazioni bibliche ne sono uno dei risultati. Perché i popoli fuggono dai luoghi dove non riescono più a vivere e cercano LA VITA il futuro una possibilità. Ed è per questo che in preda alla DISPERAZIONE rischiano la vita e lo sanno. Per UN SOGNO E LA SPERANZA DI UN FUTURO. Ma LORSIGNORI TUTTI continuano imperterriti sempre sulla stessa strada. LA BOSSI-FINI la TURCO-NAPOLITANO la MINNITI-GENTILONI i decreti SALVINI-CONTE e la DRAGHI-LAMORGESE ed ora la MELONI-PIANTEDOSI coltivano la stessa follia. Odiano I NERI i DIVERSI L’ALTRO “LO STRANIERO”…e lo considerano inferiore colpevole a priori, disturbante – e ne fanno il capro ESPIATORIO di tutti i mali…se sapessero che la CRISI è anche CRISI di “capacità generativa” e che il problema delle nascite è sempre più catastrofico e che tra qualche anno non si potranno più pagare neanche le pensioni …ma non lo sanno…- e vanno tutti in chiesa, fanno campagna elettorale baciando il ROSARIO come il fascista SALVINI, chiamano le ONG che salvan vite umane “ tassisti del mare” come il Di Maio capo 5 stelle (sic!?) e c., e gridano DIO-PATRIA-FAMIGLIA come la fascista MELONI. Che ora è passata dal disprezzo per i morti di CUTRO alle ONG spedite il più lontano possibile per impedire salvataggi in mare, e ai nuovi CPR militarizzati, NOVELLI CAMPI DI CONCENTRAMENTO. Possono starci fino a 18 mesi senza avere “nessuna colpa”i migranti. La signora è abituata a fare la guerra ai poveri ai bambini ….ma ora si sta superando in ignominia. E nessuno grida nessuno si oppone nello spettacolo della finta opposizione. Il problema è che sono TUTTI COINVOLTI e tutti ignoranti mediocri e moralmente immondi. E sono GLI ULTIMI di IO CAPITANO che nei loro vissuti dicono perché si parte cos’è amicizia cos’è solidarietà cos’è amore cos’è gratuità…mentre vivono il deserto la violenza disumana dei predatori e le torture …per un sogno di VITA e di LIBERTA’. E si torna da spettatori (?!) a sentire e a vivere l’umano mentre l’angoscia ti attraversa e ti morde l’anima…durante la proiezione…e aspetti la fine del film con le lacrime che ti attanagliano…e gridiamo “NON IN MIO NOME”… VIGLIACCHI!
Gaetano Stella- Lago di Chiusi-21-09-23
-passaparola! – blog.gaetanostella.it
E’ un film drammatico e commovente, ma senza “messaggi”. E’ un “sedativo” per le coscienze di molti, che sognano un riscatto degli ultimi senza mettere in discussione il “sistema” dominante, di cui tutti facciamo parte. In fondo il regista persegue questo risultato con la sua “odissea” e ci riesce. E così l’Africa vera resta lontana dai suoi orizzonti culturali.
In sostanza un film che “piace alla gente che piace”. Non vedo grandi prospettive di un suo radicamento culturale nella storia del cinema se non gli “applausi commerciali” di migliaia di spettatori appagati per una storia che non li interroga.
Questo film non ha i tratti del “neorealismo”, nè ha affinità con le opere ad es. di A. Segre o di tanta filmografia franco-africana.
Complimenti al regista che ha saputo intercettare il “comune sentire”.