Dopo oltre un anno dalla richiesta della procuratrice Fatou Bensouda, il 5 febbraio la Camera Preliminare della Corte Penale Internazionale ha finalmente ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte sulla Palestina per aprire un’indagine sui presunti crimini di guerra e contro l’umanità nei territori palestinesi. Un passo in avanti, molto piccolo e molto significativo, in un processo delicato e lentissimo per l’affermazione delle responsabilità di singoli esponenti nell’oppressione di un popolo che non si piega all’Apartheid cui lo sottopone il potere politico e militare di Israele. La seconda intervista all’avvocato Giannangeli (nel link sotto potete accedere anche alla prima) spiega con precisione il significato e le conseguenze a lungo termine di quel pronunciamento: “Gli Stati dovrebbero favorire le indagini, cosa che Israele ha già detto che non farà. Anche perché l’attività di indagine deve individuare, a mio avviso, responsabilità ai vertici della catena di comando, a livello politico e militare. Ritengo che le indagini su apartheid e settlements siano di particolare semplicità perché attengono alla situazione sul terreno che è sotto gli occhi di tutti. Diversa invece è la situazione dei crimini commessi durante le azioni militari”
Circa due settimane fa l’avvocato Ugo Giannangeli ci ha rilasciato un’interessante intervista circa le aspettative riposte dal popolo palestinese nella Corte penale internazionale in seguito alla dichiarazione della procuratrice Bensouda. Dichiarazione che affermava semplicemente l’esistenza di “una base ragionevole” per aprire un’inchiesta su presunti crimini di guerra e contro l’umanità nei territori palestinesi. Eravamo ancora molto lontani dall’indagine vera e propria, eppure questa remota possibilità avrebbe creato agitazione e “sdegno” tanto a Netanyahu, già plurindagato in casa, quanto all’amministrazione statunitense.
Poi, qualche giorno fa, c’è stato un ulteriore passo in direzione dell’indagine e questo ha scaldato ulteriormente l’atmosfera: da parte palestinese la cosa ha sortito un moto di gioia essendo stata interpretata come l’anticamera di una sicura condanna che fermerà finalmente le mani a Israele; da parte degli Usa, nella loro veste di padrini dello Stato ebraico, si sono levate alte grida all’indirizzo del sempre utile antisemitismo, che in questo caso non è soltanto improprio ma addirittura ridicolo tirare in ballo.
Alla luce di quanto sopra chiediamo all’avvocato Ugo Giannangeli un aggiornamento circa le conseguenze della dichiarazione della CPI, che ha finalmente autorizzato la procuratrice Bensouda a procedere con un’indagine esaustiva.
Avvocato Giannangeli, contiamo sulla tua chiarezza esplicativa, apprezzata da molti lettori, per capire cosa dobbiamo aspettarci.
Bene, finalmente, dopo oltre un anno di attesa dalla richiesta della Procuratrice Fatou Bensouda è giunta la decisione della Camera preliminare della CPI su una questione, peraltro non particolarmente complessa: se la Palestina sia o meno uno Stato ai sensi dello Statuto di Roma e quindi se la CPI, sorta con quello Statuto, abbia o meno giurisdizione sul suo territorio. Dopo l’ammissione nel 2012 della Palestina all’ONU, sia pure come mero Stato osservatore, e dopo l’adesione nel 2015 della Palestina allo Statuto di Roma, sarebbe stata veramente incomprensibile una diversa decisione.
Prima di quella data non c’erano state altre richieste di intervento contro i crimini israeliani da parte dei palestinesi? Il massacro detto “piombo fuso”, che in 22 giorni aveva ucciso e ferito altre migliaia di persone tra cui centinaia di bambini, poteva configurare una condanna dei responsabili per crimini di guerra?
Certo, infatti non dobbiamo dimenticare che la prima denuncia avanti alla CPI dei crimini israeliani risale al 2009 e che il Procuratore di allora ha impiegato tre anni per dire che, prima di dare corso alla denuncia, occorreva decidere lo status della Palestina; la situazione si è poi sbloccata nel 2012 dopo il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore, ma abbiamo dovuto attendere il 2021 per avere l’autorizzazione alle indagini. Con questa tempistica la previsione di almeno 10 anni prima di potere pervenire ad una sentenza appare realistica se non addirittura ottimistica.
Quindi, pur non avendo motivo di rallegrarci eccessivamente, dati i tempi previsti, possiamo però avere una speranza di arrivare a una sentenza di condanna per crimini di guerra e contro l’umanità?
Beh, ora la Procura può avviare formalmente le indagini, sebbene con tutte le difficoltà relative date dalla non collaborazione, anzi, dall’ostruzionismo di Israele. La CPI ha individuato nei territori occupati nel 1967 (Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est) la zona di competenza per l’indagine sui crimini ivi commessi. La CPI ha precisato che questa individuazione non vuole e non può avere alcuna conseguenza di carattere politico, non spettando alla Corte la soluzione di questioni come quella dei confini o della sovranità territoriale.
Sotto indagine sono le azioni di Israele contro Gaza nel 2014 (operazione Margine protettivo), le colonie in Cisgiordania, le azioni a Gaza contro la Grande marcia del ritorno e, sull’altro fronte, le azioni di Hamas e di gruppi armati palestinesi contro Israele.
A parte i tempi lunghissimi e gli ostacoli che Israele, pubblicamente sostenuto dagli USA, frapporrà alle indagini – tanto più che Israele ed USA sono tra i pochi Stati che non solo non hanno aderito ma che si sono opposti alla nascita della CPI – vedi altri ostacoli all’andamento delle indagini?
Purtroppo sì. Ho letto in questi giorni vari commenti alla decisione. A mio modesto avviso non sono stati messi nella dovuta evidenza due aspetti negativi. Il primo riguarda la scadenza del mandato della Procuratrice Bensouda a giugno di quest’anno. Ho già avuto modo di ricordare come la Procuratrice e il suo staff siano stati oggetto di pesanti attacchi da parte israeliana e statunitense. Chi subentrerà alla Bensouda avrà la stessa capacità di resistere a pressioni, minacce e vere e proprie sanzioni, come quelle stabilite da Trump e non ancora rimosse da Biden? Ricordiamo il caso del giudice Goldstone che fu costretto da una violenta campagna diffamatoria a una parziale ritrattazione delle sue conclusioni per l’eccidio denominato Piombo fuso. Ed era ebreo!
Il secondo aspetto riguarda il Presidente della Camera preliminare della CPI, l’ungherese Kovacs che ha manifestato dissenso su due delle tre questioni sottoposte a giudizio, concordando solo sulla giurisdizione della CPI ma non sulla questione territoriale così come individuata. In estrema sintesi Kovacs non è d’accordo sul fatto che la Palestina si qualifichi come Stato sul territorio in cui si sono verificate le condotte sotto indagine. La decisione, infatti, è stata presa a maggioranza e non all’unanimità. Non dimentichiamo, poi, che l’Ungheria di Orban è tra gli “amici curiae” pro Israele. Quindi dobbiamo solo sperare nella capacità di autonomia del giudice per le future importanti decisioni.
Un’ultima domanda. Forse ti sarai stancato di ripeterlo, ma devi farlo ancora una volta perché è convinzione diffusa che un’eventuale per quanto lontana condanna colpirebbe Israele come Stato. Puoi spiegare per favore, secondo le norme della CPI chi può essere indagato ed eventualmente condannato?
La CPI può agire contro i singoli responsabili e non contro gli Stati. Anzi gli Stati dovrebbero favorire le indagini, cosa che Israele ha già detto che non farà. Anche perché l’attività di indagine deve individuare, a mio avviso, responsabilità ai vertici della catena di comando, a livello politico e militare. Ritengo che le indagini su apartheid e settlements siano di particolare semplicità perché attengono alla situazione sul terreno che è sotto gli occhi di tutti. Diversa invece è la situazione dei crimini commessi durante le azioni militari. In questi casi sarà impossibile individuare, ad esempio, la responsabilità del singolo cecchino che ha sparato contro la folla riunita sul border di Gaza, ma non dovrebbe essere impossibile conoscere le regole di ingaggio e chi le ha redatte. Se, come è verosimile, era autorizzato il fuoco contro persone inermi sarà difficile per Israele invocare il solito diritto di difesa.
E per quanto riguarda l’aggressione militare del 2014 denominata Margine protettivo che ha dato motivo a uno dei vertici militari e politici di vantarsi di quel massacro che ha sterminato 531 bambini, oltre a circa 1500 adulti prevalentemente civili, non ci sono nomi “di peso” su cui indagare?
Certo che ci sono, o meglio ci sarebbero, a partire dal primo ministro Netanyahu, all’allora capo di stato maggiore Benny Gantz che, appunto, delle sue azioni si è fatto pubblicamente vanto, a Naftali Bennett e Avidgor Lieberman, solo per fare i nomi più conosciuti.
Sapendo che il portavoce del dipartimento di Stato Usa ha dichiarato che i palestinesi non sono “ uno Stato sovrano e di conseguenza non sono legittimati a partecipare ad organismi internazionali, compresa la CPI”, affermazione dettata solo dall’arroganza del potere visto che gli USA, non aderendo alla CPI, non avrebbero voce in capitolo, quali conclusioni trai?
Non resta che augurare buon lavoro e rapido alla CPI e sperare che la dignità dei giudici non soccomba alle minacce e all’arroganza di Israele e dei suoi protettori d’oltre oceano.
Gianni Lixi dice
Ma è vero che il nuovo procuratore, l’inglese Karim Khan, che prenderà il posto della Besouda a giugno è un filo israeliano? Perché quello sarebbe chiaramente un’altro problema che si aggiunge a quelli già esposti nell’articolo