Nel settembre del 2012 si tenne a Venezia la Terza Conferenza Internazionale sulla decrescita, la sostenibilità ecologica e l’equità sociale. Era intitolata “La Grande Transizione. La decrescita come passaggio di civiltà” e si proponeva di aiutare a far uscire l’idea di una società della decrescita dall’ambito della provocazione intellettuale per andare in direzione di un progetto di trasformazione fattivo. Dieci anni dopo si sta promuovendo una nuova conferenza come occasione per presentare progetti e proposte di lavoro comune, con metodologie aperte e workshop di approfondimento finalizzati ad elaborare campagne e iniziative condivise. Non un incontro isolato ma l’orizzonte di un cammino di un anno di incontri, eventi, seminari, laboratori, attività formative ed esperienziali, organizzati dalle diverse realtà nei diversi territori, per preparare l’appuntamento collettivo. Tanti i temi in discussione, un intreccio che favorisca il progetto di una democrazia della terra, finalmente consapevole della complessa trama di relazioni che vincolano le comunità umane – la loro rigenerazione e il loro destino – ad una più ampia comunità vivente, al di là delle separazioni e scissioni attraverso cui siamo stati abituati a pensare. Come far parte della rete che promuove Venezia 2022 che si terra il prossimo 6-7-8 settembre
Siamo sempre più spesso raggiunti da notizie, dati, immagini e testimonianze che mostrano l’insostenibilità del sistema in cui viviamo. Questo potente flusso di messaggi se non accompagnato da proposte, percorsi e tentativi collettivi di cambiamento rischia di erodere anche la nostra stessa sensibilità. Ne cogliamo le tracce nell’indifferenza con cui assistiamo, quasi assuefatti, alle guerre per le risorse, all’estinzione delle specie viventi, alla mercificazione di ogni cosa, alla violenza verso persone e animali, ai ricorrenti naufragi dei migranti, alla diffusione di zoonosi e pandemie, allo stravolgimento del clima e alla crescita degli eventi climatici estremi.
Tutto questo è accompagnato non da un reale ripensamento dei nostri sistemi sociali e produttivi ma da piuttosto da una proliferazione di un immaginario e un linguaggio – sotto il grande cappello dello “sviluppo sostenibile” – che si propongono di rassicurare e ricondurre tutto in binari predefiniti. Questo linguaggio narcotizzante nasconde il fatto che il mercato di per sé è più interessato garantire la durevolezza del business, piuttosto che la riproduzione della vita. Nasconde cioè il conflitto attorno alle priorità che devono orientare le nostre scelte politiche, economiche, sociali, sanitarie. Così molte idee e parole chiave proposte negli anni dai movimenti per l’alternativa sono state in qualche modo sussunte dal mercato capitalistico e trasformate in strumenti di potere o di business: sostenibilità, transizione, resilienza, circolarità, biologico, ecc… Ma la parola “decrescita” resiste a questa cooptazione. Rimane ancora oggi un’idea disturbante, guardata con sufficienza o con disprezzo. Resiste perché ci ricorda che le tecnologie da sole non ci salveranno e che occorre rimettere in discussione le nostre pretese e le nostre priorità per distinguere per cosa val la pena vivere e lavorare e cosa dobbiamo invece dismettere senza rimpianti. Ci ricorda che non c’è modo di realizzare una produzione sostenibile se non ripensando anche le nostre forme di consumo e aggredendo la crescita della domanda di risorse, di energia, di merci. Ci ricorda che per realizzare una forma di prosperità equa e democratizzabile (ovvero non raggiunta a spese di altri) dobbiamo essere disposti a scegliere. Ci ricorda, in definitiva, che occorre rimettere in discussione i privilegi per poter condividere i diritti.
Il punto che le élites economiche e politiche fingono di non capire è dunque che la decrescita non ha a che fare con il pauperismo, con il rifiuto della tecnologia o con l’acritica nostalgia di tempi passati. Al contrario la proposta della decrescita è un’interrogazione profonda e assolutamente attuale attorno al senso di ciò che siamo stati abituati a dare per scontato – ovvero l’idea e le forme del benessere, del progresso, della ricchezza – con la consapevolezza che le risposte e le soluzioni che abbiamo dato fin ora non rispondono realmente alla domanda di una “buona vita”. Non solo per gli altri, per gli esclusi, gli emarginati, gli sfruttati, le donne, che da secoli pagano i costi più alti di questo sviluppo capitalistico distruttivo, ma anche per coloro che al “centro” del sistema hanno creduto per decenni di poter approfittare dei processi di innovazione e globalizzazione e che ora si riscoprono a loro volte esposti e impoveriti, deprivati delle condizioni di sussistenza e spesso anche di adeguate reti sociali. Non è solo la devastazione ambientale, la crescente diseguaglianza e la diffusione di nuove forme di povertà, ma anche la perdita di autonomia e la crescente dipendenza dal mercato per ogni necessità che minacciano di allontanarci da una vita degna di essere vissuta.
Non è più tempo, dunque, per l’attendismo o per nascondersi dietro finzioni o etichette di comodo. Occorre avere il coraggio e la fiducia di intraprendere reali percorsi di transizione e trasformazione. Pensare la decrescita significa rinunciare alle ricette del passato, rifiutare di credere che l’obiettivo delle società sia l’espansione costante della produzione e del consumo; significa contrastare la depressione e l’accettazione passiva della catastrofe ecologica e rilanciare invece la fiducia nell’umanità e nella sua capacità di convivere convivialmente con le diverse forme viventi, promuovendo forme di prosperità post-crescita e post-sviluppo. Solo attraverso la creazione collettiva di un diverso immaginario e la sperimentazione concreta di nuove forme di ascolto e riconoscimento, di proprietà e di gestione, di educazione e di lavoro, di produzione e di riproduzione, di condivisione e di scambio, di consumo e di rigenerazione, di modi di abitare e di viaggiare, potremo realizzare una forma di sussistenza all’altezza del nostro tempo perché si rimette finalmente al centro la cura e la rigenerazione della vita piuttosto che la ricerca del profitto. Una sperimentazione collettiva che richiama nei modi e negli obiettivi la sfida di una grande transizione ecologica, democratica e pacifica. La decrescita non è tanto una necessità imposta dalla realtà del mondo fisico, quanto piuttosto una scelta positiva di vivere una esistenza piena e pacifica. Oggi possiamo infatti affermare – ribaltando quanto annunciava oltre mezzo secolo fa una famosa enciclica – che non lo sviluppo ma la decrescita è il nuovo nome della pace e della cura della vita.
Cosa proponiamo?
10 anni fa, nel settembre del 2012 un’ampia rete di associazioni e istituzioni organizzò a Venezia la Terza Conferenza internazionale sulla decrescita, la sostenibilità ecologica e l’equità sociale, con il titolo “La Grande Transizione. La decrescita come passaggio di civiltà”. Per cinque giorni quasi un migliaio di persone parteciparono agli incontri, ai workshop e alle attività parallele. La Conferenza contribuì all’epoca far uscire l’idea di una società della decrescita dall’ambito della provocazione intellettuale per andare in direzione di un progetto di trasformazione fattivo. Da allora una poderosa elaborazione scientifica ha dimostrato inoppugnabilmente che la continua crescita economica (misurata attraverso il Pil) è incompatibile con la conservazione della vita sul pianeta. Da allora un numero sempre più significativo di movimenti rurali e urbani, indigeni e sociali, dei paesi impoveriti come dei paesi più industrializzati, stanno sperimentando in forme diverse resistenze e alternative di sistema. In Europa i movimenti femministi, sui beni comuni, per la difesa dei territori, per la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, formano un arcipelago di comunità intenzionate a superare le relazioni produttive e sociali di stampo capitalista (competitive, utilitaristiche, consumistiche) e a costruire relazioni umane fondate sui valori della cura di sé, degli altri dell’ambiente.
10 anni dopo quella Conferenza, intendiamo coinvolgere una nuova rete di associazioni e istituzioni per promuovere un altro incontro a Venezia, di tre giornate, per fare il punto della situazione e per rilanciare idee e proposte concrete e per rendere visibile quel cambiamento profondo del modello di civilizzazione a cui siamo chiamati. Immaginiamo questa nuova Conferenza come un’occasione non solamente di confronto e discussione ma come un momento fortemente proattivo di presentazione di progetti e proposte di lavoro comune, con metodologie aperte e workshop di approfondimento finalizzati ad elaborare campagne e iniziative condivise.
Venezia 2022 non va tuttavia inteso come un momento isolato ma piuttosto come una prospettiva di lavoro. Deve essere l’orizzonte di un cammino di un anno di incontri, eventi, seminari, laboratori, attività formative ed esperienziali, organizzati dalle diverse realtà nei diversi territori, per preparare l’appuntamento collettivo. Tra i temi che intendiamo trattare ci sono quelli del cambiamento climatico, dell’agro-ecologia e della filiera del cibo, della salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, della tutela della salute, del ripensamento della produzione, della riproduzione e della cura, della lotta alle prevaricazioni e discriminazioni sessuali, generazionali, razziali e speciste. Tutti questi temi non sono questioni separate, sono aspetti intrecciati del progetto di una democrazia della terra, ovvero una democrazia finalmente consapevole della complessa trama di relazioni che vincolano le comunità umane – la loro rigenerazione e il loro destino – ad una più ampia comunità vivente, al di là delle separazioni e scissioni attraverso cui siamo stati abituati a pensare.
Come partecipare al processo?
Le associazioni, le istituzioni, i movimenti e anche i gruppi informali possono aderire alla rete che promuove Venezia 2022 scrivendo a . Tutti sono invitati a promuovere incontri, discussioni, eventi ed entrare nel calendario di per portare idee e proposte nella Conferenza.
Paolo Biasioli dice
Scuole e università come luoghi di formazione a nuovi stili e modelli economici di professioni e di vita
Detto da neopensionato consulente aziendale e formatore
Guido dice
Sono d’accordo. La decrescita, del numero di umani e dell’economia, va inserita in un quadro più ampio, della fine della civiltà industriale. Occorre abbandonarne in toto le premesse filosofiche: l’antropocentrismo e il materialismo. Per quanto riguarda l’indispensabile calo delle nascite: consapevolezza e uscita dai condizionamenti. Purtroppo i tempi saranno molto lunghi.
Roberto dice
molto convinto che sia la strada giusta, anche se tanto fuori dalla mentalità di molti
Ferrante Elio dice
una proposta: passare gradualmente da una cultura antropocentrica ad una cultura naturo bio centrica … praticamente realizzare la seconda rivoluzione Copernicana . la decrescita diverrebbe, secondo me, naturalmente conseguenziale e, oserei dire, spontaneamente adottata. La strada è lunga. Un percorso pieno di ostacoli. ma come diceva Moravia nel suo unico saggio Impegno controvoglia: “sappiamo che la città di Utopia non la raggiungeremo mai. L’importante è di andare in quella direzione. Mantenere la rotta.