Adesso che se ne è andato anche lui, restano pochi i dubbi sul fatto che la storia che va per la maggiore, malgrado gli elogi ipocriti e strumentali, a Mikhail Gorbaciov non ha saputo e voluto riconoscere il ruolo che merita. Quello di un leader tanto anomalo da sacrificare non solo il potere ma le stesse speranze di successo del suo estremo tentativo di riformare quel restava dell’Unione Sovietica – un colosso del Novecento nato con l’idea di liberare non il suo popolo ma il mondo intero dall’oppressione e diventato presto regime oppressivo di ogni libertà e poi capitalismo di Stato – per inseguire l’orizzonte visionario (nel senso migliore del termine) in cui credeva senza separare i fini dai mezzi. Si trattava di un’impresa oltremodo titanica, venuta alla luce fuori tempo massimo di diversi decenni e in gran parte impossibile, visto che la sua “forza propulsiva”, a quanto se ne sa, arrivava soltanto dall’alto. Tuttavia ha ragione Rafael Poch – a lungo corrispondente da Mosca, che di quell’uomo traccia qui sotto un ritratto interessante proprio perché scritto “da molto vicino” – quando afferma che il fallimento del sogno di Gorbaciov e tutto quel che ne è seguito, dai carri armati di Eltsin all’orrenda parabola odierna della Russia nazionalista, ha mostrato una verità insospettabile. Quella che rivela che a non poter essere riformato non era tanto l’idea di comunismo, distorta e deviata al massimo livello nel socialismo reale, ma il il capitalismo che usciva vittorioso dalle ultime scorie di quella letale Guerra Fredda che l’ultimo segretario del Pcus aveva saputo fermare al tempo di seguaci della violenza del calibro di Ronald Reagan e Margaret Thatcher

È morto la notte del 30 agosto all’età di 91 anni, Mikhail Gorbaciov. È stato un uomo politico straordinario; onesto, coraggioso e umanista. È l’unico politico che ho conosciuto e con cui ho avuto a che fare personalmente la cui foto ho incorniciato nella mia libreria. Se avessi potuto aver a che fare con Mandela, Gandhi, Ho Chi Minh o il Che e posare con loro, avrei incorniciato anche una foto con loro, ma non è successo. Gorbaciov era un tipo simpatico, aveva senso dell’umorismo ed esente da ogni arroganza. Con le migliori qualità di un figlio di muzhik di Stavropol quale era, tendeva a vedere negli altri l’aspetto positivo. Credeva nella capacità delle persone e delle società di avanzare verso qualcosa di meglio. Senza quel fondo di ingenuità e ottimismo nei confronti delle persone e del mondo, non sarebbe mai stato in grado di proporsi obiettivi come porre fine alla Guerra Fredda o democratizzare il sistema sovietico.
L’ingenuità e l’ottimismo, oltre al coraggio, sono essenziali per un uomo politico che vuole cambiare le cose. Quei tratti fanno di Gorbaciov una figura universale. Armati solo di pragmatismo e di calcolo aritmetico, i realisti non cambieranno mai il mondo. Se poi sono mediocri amministratori di “quello che esiste” e sono soggetti a interessi finanziari, commerciali e oligarchici, come di solito accade, non c’è alcuna via d’uscita…
Gorbaciov era tuttavia, allo stesso tempo, un animale politico. La cosa più curiosa della sua ingenuità era che viveva con la pelle di un lupo, con le competenze necessarie per muoversi e ascendere nel mondo della nomenclatura sovietica, un universo pieno di intrighi attraverso i quali è riuscito a salire dal più basso al più alto. Ancora più curioso è che, in questa scalata, Gorbaciov sia stato promosso dai suoi mentori – fondamentalmente da Yuri Andropov – proprio per il fondo di onestà che si vedeva in lui e che lo rendeva preferibile ad altri, come Gregori Romanov o Viktor Grishin, nell’URSS degli anni Settanta e Ottanta. Questo fatto suggerisce che un sistema che era storicamente erede sia di Stalin che della destalinizzazione, un sistema che pensavamo così marcio forse non lo fosse poi tanto, visto che alcuni dei suoi massimi esponenti erano ancora in grado di distinguere, valorizzare e potenziare le qualità positive di Gorbaciov e perferirle a quelle dei suoi avversari.
Nel gruppo dirigente sovietico che lo accompagnava, c’erano altri personaggi che ho conosciuto personalmente e che ho sempre considerato onesti; il primo ministro Vladimir Rizhkov, per esempio, o il membro del Politburo Yegor Ligachev, che finì per essere un avversario di Gorbaciov e che la leggenda occidentale trasformò in una specie di demone con la coda e le corna, oppure il maresciallo Sergei Akhromeyev… Però Gorbaciov si distingueva chiaramente tra tutti loro.
Anomalia nazionale
Dal punto di vista della tradizione laica del potere di Mosca, Gorbaciov è stato un’anomalia. Quella tradizione, sia nel cosiddetto comunismo che nell’era zarista, si basava sull’autocrazia. La tendenza naturale del sovrano autocratico è quella di accumulare e centralizzare sempre più potere nella sua persona. Gorbaciov ha rotto con quella logica. Ha delegato il potere autocratico alle camere rappresentative. Questo non aveva precedenti nella storia laica russa ed è stato interpretato come debolezza dalla mentalità arcaica e tradizionale della società. Gorbaciov era chiaramente avanti ad essa. Credeva nella democratizzazione – e in un socialismo più umano – e si è suicidato politicamente sull’altare di quella convinzione, perché in Russia era un generale senza un esercito per lottare per quella causa. Ricordo le sue dichiarazioni, molto chiare, davanti a una ventina di giornalisti russi e stranieri radunati al Cremlino il giorno dello scioglimento dell’URSS, in cui ha menzionato la solitudine di Gesù Cristo sulla croce. Lo fece senza la minima presunzione. I giornalisti russi presenti non compresero quell’analogia. Gli americani (Bill Keller – poi direttore del New York Times e David Remnick del Washington Post) sorrisero cinicamente. Io rimasi senza parole. Era consapevole di quell’equivoco, ma non gliene importava: era in pace con se stesso. Per questo non è una figura tragica, come affermano erroneamente tanti osservatori.
Gorbaciov era un socialdemocratico, ma un socialdemocratico nelle condizioni dell’URSS. In un universo senza potere finanziario, senza proprietà privata e in cui la politica dominava l’economia, essere socialdemocratici non aveva nulla a che fare con la socialdemocrazia della SPD o del PSOE. Lui era per democratizzare il socialismo. Parole importanti senza la minima relazione con l’azione dei Mitterrand, dei Soares, dei González e di altri personaggi.
La società russa che tanto ha criticato Gorbaciov ha preferito seguire leader-caudillos come Boris Eltsin, o poi Vladimir Putin, molto più tradizionalisti e in linea con la loro mentalità. Gorbaciov non aveva nulla a che fare con la creazione dell’attuale sistema politico russo, un insieme di statalismo moscovita e capitalismo parassitario dei magnati. Al contrario, con Gorbaciov come zar, l’avversario, Boris Eltsin, potè vincere le elezioni. Eltsin non acconsentì la stessa cosa: quando il suo potere fu messo in discussione, tirò fuori i carri armati e sparò contro il suo parlamento, fedele alla tradizione autocratica e con gli applausi dell’Occidente. Il sistema politico della Russia odierna è figlio di Eltsin, e dell’Occidente, tanto o più che non della tradizione sovietica. Il futuro, se fosse vero che un giorno si andrà verso un mondo migliore, dipende dall’esempio e dai precedenti che Gorbaciov ha stabilito.
Troppo ottimista nei confronti dell’Occidente
Nella politica internazionale, Gorbaciov ha intrapreso qualcosa di altrettanto eroico. Si è concentrato sull’annullare il conflitto Est-Ovest con l’idea di affrontare le sfide del secolo che minacciano l’intera umanità: l’apocalisse nucleare, il riscaldamento globale, la disuguaglianza Nord/Sud, le pandemie, potremmo aggiungere adesso… Insomma, la necessità nel secolo attuale di un mondo in armonia. Per far ciò, parlava di “sviluppare l’enorme potenziale del socialismo” e della necessità di promuovere una nuova civilizzazione, concetto che prese da Einstein e che è sempre stato il suo riferimento ultimo.
Tutto questo, che detto da un predicatore di provincia sarebbe stato banale e irrilevante, era, per quanto erratico fosse, sensazionale in bocca al leader di una delle due superpotenze mondiali. Ma su quel cammino epocale Gorbaciov dimenticò l’imperialismo, vale a dire il dominio mondiale delle nazioni più forti sulle più deboli, lo sviluppo diseguale e la competizione per le risorse. Ci manca ancora una prospettiva storica per giudicarlo, ma è evidente che quella dimenticanza è stata disastrosa e colossale.
Con l’URSS non ancora dissolta, l’Occidente ha ricevuto il via libera per rafforzare ancora il suo controllo sul petrolio, con la prima guerra in Iraq. Poi tutti gli spazi da cui si è ritirata l’URSS sono stati occupati dalla Nato contro la Russia, operazione che continua ancora oggi con drammatiche conseguenze belliche. In Occidente non si credeva in alcuna “nuova civilizzazione”. Gli interlocutori di Gorbaciov erano politici volgari e reazionari come Ronald Reagan o Margaret Thatcher, e socialdemocratici che sposarono il loro neoliberismo, come Mitterrand o González. E nel sistema in cui erano collocati quei leader non c’era la minima intenzione di riforma. Gorbaciov ha mostrato che ciò che non era riformabile non era il comunismo, ma il capitalismo.

Nell’operazione di riunificazione della Germania, Gorbaciov ha commesso un errore monumentale di cui abbiamo discusso animatamente in più occasioni: avrebbe potuto condizionare la riunificazione alla firma di un documento che escludeva l’adesione della Germania alla NATO così come il suo allargamento a Est, un tema che rimase poco più che nelle dichiarazioni verbali di buone intenzioni. Gorbaciov non lo fece sebbene l’opinione pubblica tedesca fosse chiaramente favorevole a farlo. L’opportunismo occidentale, e soprattutto quello degli Stati Uniti, che senza la NATO avrebbero perso il controllo sull’Europa; il caos russo degli anni ’90, con tre colpi di stato, e l’ansia dei Paesi ex vassalli di Mosca di diventarlo di Washington, hanno fatto il resto. Per tutte quelle ragioni, la ritirata imperiale della Russia non ha contribuito alla necessaria integrazione globale ma all’avanzata e alla crescita dell’altro gangster globale della Guerra Fredda, che da allora passa da una guerra all’altra. È stata una grande occasione persa. Si spera che non sia irrimediabile, per l’umanità e per il pianeta.
A un quarto di secolo dalla fine della Guerra Fredda, i muri Nord/Sud, vecchi e nuovi, hanno trasformato in minuzia quella “cortina di ferro” del comunismo. La mancanza di libertà che esisteva nei paesi dell’Est Europa, nel quadro di quel mix di socialismo e dittatura, impallidisce di fronte alla povertà, e ai rapporti di disuguaglianza, sfruttamento e vassallaggio che imperano nella maggior parte del mondo, compresi alcuni dei paesi un tempo dominati dall’URSS che oggi soffrono del consueto miscuglio di democrazia di bassa intensità e capitalismo.
Da questo punto di vista, quello di Gorbaciov è stato un equilibrio molto, molto ambiguo. Nonostante questo bilancio, credo fermamente che Mikhail Gorbaciov possa essere considerato una delle grandi personalità del XX secolo. Un russo universale che possiamo collocare nella galleria dei grandi uomini universali, accanto a Mandela, Gandhi, Ho Chi Minh o Che Guevara.
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Rafael Poch-de-Feliu è stato corrispondente da Mosca dal 1988 al 2002.
Fonte e versione originale in castigliano: ctxt Luces y sombras de Mijaíl Gorbachov (1931-2022)
Traduzione per Comune-info: marco calabria
Per me Gorbaciov non è stato che un imbecille nelle mani di chi ne capiva più di lui, americani o non che fossero. Gorbaciov non ha mai inteso nulla in ogni direzione e l’autore dell’articolo con parole ben diverse dalle mie finisce per riconoscerlo.