In Europa è in corso un processo di reindustrializzazione enorme di cui si parla poco e quando lo si fa la parola d’ordine imposta dall’alto è transizione ecologica: l’obiettivo è inserire sensori in ogni oggetto per il profitto di poche imprese multinazionali. Per fare un microchip servono 32 litri di acqua e buona parte di questa deve essere “ultrapura”, di qualità migliore quindi di quella potabile. Un’automobile smart, per fare solo un esempio, di microchip ne contiene circa 1.500, una elettrica 3.000… Una delle aree in cui si riversano più investimenti (pubblici) in questa direzione è in Francia, ma alcune multinazionali del settore hanno filiali anche in Sicilia, dove la siccità ha già raggiunto record impensabili. Però possiamo dormire sonni tranquilli: le multinazionali dei microchip promettono di piantare alberi…
Ciò che viene chiamata “transizione ecologica” non ha nulla a che vedere con l’ecologia.
La Capgemini Engineering, multinazionale fondata a Grenoble in Francia, si occupa di tutto. Al centro, la guerra con le sue “incredibili opportunità”:
E attorno alla guerra, l’ingegneria biologica, il turismo, le assicurazioni, l’energia, “media & entertainment“. Capgemini si dichiara “leader nella mobilità sostenibile“, e qui potete leggere della transizione ecologica nei veicoli militari pesanti della Capgemini. Dice la Capgemini, “… la nuova generazione di veicoli militari agevolati dalla rete informatica da soli non sono particolarmente letali. Questi veicoli realizzano la loro letalità grazie ai sistemi a cui sono connessi, ne consegue un effetto moltiplicatore di forze, a mano a mano che si aggiungono più veicoli alla rete”. Infatti, quella che chiamano transizione ecologica dipende, non certo dalla biosfera, ma dai semiconduttori, che permettono di inserire ovunque i microchip, detti in francese puce, la “pulce”. La reindustrializzazione, dove si prevedono investimenti pari a 3,4 trilioni di dollari e in cui la Capgemini gioca un ruolo decisivo, permetterà di inserire sensori in ogni oggetto, dall’auto ai prodotti negli scaffali, ma persino nei corpi umani e nell’aria, grazie allo smartdust che dovrebbe diffondere sensori sul modello del polline dei soffioni.
Poi, certo, promettono pure di piantare alberi (“Capgemini pledges to plabnt 20 milion trees by 2030” dicono on line con tanto di foto).
I semiconduttori ci sembrano eterei, tanto diversi dai rombanti motori dei camion puzzolenti. Fanno tanto comodo, ad esempio se ti senti solo e vuoi avere un’intelligenza artificiale amica con cui fare quattro chiacchiere (non me lo sono inventato). Sappiamo vagamente qualcosa di miniere di coltan nel Congo, o fabbriche a Taiwan…
In un luogo dove nessun telefono riceve, e la sera compare anche una lucciola, ci sono due compagni che – come la Capgemini – provengono anche loro da Grenoble, che mi raccontano una storia che non conoscevo.
Gli amici diffondono, solo nel loro comune, un giornale rigorosamente cartaceo e senza pubblicità, che si chiama, Le Postillon (il sito molto austero serve solo per raccogliere gli archivi). E vendono a mano, 4000 copie alla volta. Grenoble (Graçanòbol). “Capitale verde europea” nel 2012, al governo il Partito Ecologista, è il più grande polo europeo della nanotecnologia. E adesso è prevista un’espansione enorme degli impianti, il più grande progetto non nucleare della Francia. L’Europa sta infatti riversando su Grenoble un fiume di soldi miei-e-tuoi, in nome della transizione ecologica: l’anno scorso, Macron in visita ha promesso di regalare 2,3 miliardi di euro di soldi pubblici alle aziende di semiconduttori coinvolte: STMicroelectronics, proprietà congiunta della banca Bpifrance e del ministero dell’Economia e Finanza italiano; Soitec; e la GlobalFoundries, con sede nelle gloriose isole Cayman dove hanno abolito le tasse per i ricchi, e di proprietà della Mubadala Investment Company a sua volta proprietà del governo di Abu Dhabi.
Se pensate che la transizione ecologica ci salverà, almeno, dagli effetti negativi dei carburanti fossili, abbiamo una notizia per voi: è stata un’annata eccezionale per la British Petroleum, che quest’anno ha potuto pagare dividendi ai propri investitori per 7 miliardi di dollari. Insomma, come è ovvio, il nuovo non sostituisce, si aggiunge, e aumenta quindi l’impatto distruttivo della tecnosfera sul mondo.
La Soitec, sempre a Grenoble, presenta così il proprio lato umano:
E per mettere microchip a tutto, le due aziende, una volta a regime, insieme consumeranno più acqua di tutti gli abitanti non-chip di Grenoble. O se preferite, consumeranno l’equivalente di 700.000 docce al giorno. Questo i grenoblesi, che vedono con preoccupazione sciogliersi i vicini ghiacciai e seccare il fiume Isère, e dove nel settembre del 2023 era stato dichiarato lo “stato di catastrofe naturale” per la siccità, non se l’aspettavano. Infatti, ci vogliono, dicono, 32 litri di acqua per fare ogni microchip, o puce come li chiamano in Francia. E buona parte di questa deve essere acqua cosiddetta “ultrapura”, di qualità migliore quindi di quella potabile.
Leggo che un’automobile smart, di microchip ne contiene circa 1.500, una elettrica 3.000. 3000 x 32 = circa 100.000 litri di acqua, cioè quanta ne consumi tu (media italiana) in un anno e mezzo.
La STMicroelectronics opera anche in Italia, ad Agrate Brianza, dove ha compiuto risolto un passo decisivo per salvare il pianeta. La STMicroelectronics ha da poco invece ricevuto due miliardi di euro “europei” (cioè miei e tuoi) per la sua filiale a Catania. In Sicilia, la siccità porta a invitare a macellare gli animali, pur di non negare la doccia ai turisti. E proprio a Catania, la pioggia l’anno scorso è stata paragonabile a quella delle zone aride della Libia e del Marocco. Come nel lontano Taiwan, colpito dalla siccità per altri motivi, dove il governo paga i contadini per non coltivare il riso: l’acqua serve all’industria dei semiconduttori. E tra mangiare e assicurare ai clienti l’app che permette di far partire in remoto la lavatrice, si sa cos’è più importante.
La STMicroelectronics consuma ogni anno 20.000 tonnellate di prodotti chimici, che poi riversa nel fiume Isère. STMicroelectronics e Soitec non solo sono autorizzati a riversare ogni anno nel fiume Isère una quantità di azoto pari agli scarti di una città di 53,000 abitanti. Tra gli scarichi, i famigerati Pfas, gli inquinanti “eterni” e indistruttibili; “senza certi Pfas – dichiara al Financial Times un dirigente industriale – la produzione di semiconduttori è semplicemente impossibile”. L’invisibile, intangibile mondo virtuale, nella sua immaginata eterica purezza, divora.
L’Irlanda ha pensato bene di sfruttare il peccato originale dell’Unione Europea: “ogni stato fa le tasse come gli conviene, ma chi riesce a insinuarsi nel mio stato può fare ciò che vuole in tutta Europa“. Così si è riempita di multinazionali, che danno lavoro a molti irlandesi, ma non pagano quasi niente, e quindi distruggono le tassatissime aziende del resto del Continente: se il negozietto sotto casa chiude perché Amazon fa tanto comodo, e se la famiglia che ci campava viene sostituita dall’immigrato che corre contromano in bici per consegnare perché ha paura che il microchip che lo controlla lo faccia licenziare per una frazione di secondo di ritardo, è anche per questo. Qualche giorno fa, abbiamo letto che nel 2023, i data center di queste aziende hanno consumato più energia elettrica che tutte le utenze urbane dell’Irlanda, in un paese che importa il 70% della propria energia: credevano di farla furba, e invece pagano anche loro.
Ora, a cosa servono tanti microchip?
Ognuno di noi può tirare fuori innumerevoli esempi, ma mi ha colpito il progetto Smart Land, che consiste nel prendere piccoli borghi o comuni e digitalizzarli esattamente come se fossero delle smart city, tramite l’introduzione della cosiddetta intelligenza artificiale, con telecamere ovunque, e con milioni di acquivori microchip, ovviamente con la scusa della sicurezza e della sostenibilità. Come la Val Bidente che sogna di diventare un unico meccanismo di sensori. A Grenoble è nata così una bella resistenza, attorno al blog stopmicro38, al collettivo di Pièces et Mains d’Oeuvres e a quelli di Postillon, che hanno portato diverse migliaia di persone in piazza, hanno promosso denunce e smosso la città, e ottenuto anche la sospensione dei lavori di espansione.
Penso alle parole di Lao Tzu: trascritto in tanti modi, vuol dire semplicemente “Vecchio Maestro”, dicono che fosse un bibliotecario che a ottant’anni decise di “andare verso ovest”, diventando un eremita, o forse no, o forse non è mai esistito. In una delle molte possibili traduzioni (Robert G. Henricks), si legge:
“Per coloro che vorrebbero prendere il controllo del mondo e agire di conseguenza… vedo che con questo non avranno successo.
Il mondo è un vaso sacro;
Non è qualcosa su cui si può agire.
Chi agisce su di esso lo distrugge;
Chi si aggrappa ad esso lo perde.
Con le cose, alcune vanno avanti, altre le seguono;
Alcune sono calde, altre fredde;
Alcune sono ferme e forti, altre sottomesse e deboli.
Alcuni si innalzano, altri cadono.
Perciò il Saggio rifiuta l’estremo, l’eccessivo e lo stravagante”.
* Miguel Martínez è nato a Città del Messico, è cresciuto in giro per l’Europa e soprattutto in Italia, ed è laureato in lingue orientali (arabo e persiano). Di mestiere fa traduttore e trascorre molto tempo in un giardino comunitario del borgo San Frediano Oltrarno di Firenze. Questo il suo mai banale blog. Ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
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