
di Stefano Rota
Basta prendere un treno che arriva da lì e diretto a Genova, o viceversa, per rendersi conto del perché quel confine sta assumendo un’importanza cruciale. A Ventimiglia si stanno sperimentando e concretizzando le nuove alleanze europee in materia di politiche migratorie e le nuove leadership che governeranno, insieme a Salvini, a lungo in Europa. Su questo, purtroppo, dubbi non ce ne dovrebbero essere.
È un luogo dove si costruisce e si palesa il potere come rapporto tra forze, sempre impari, qui tra dominanti del centro e subalterni delle periferie; una disparità che non impedisce ai secondi di costituirsi come una forza che mobilita i ed è alimentata da corpi sovversivi; dove lo Stato ribadisce la propria idea di universalità, situata e circoscritta, nel momento in cui si rispecchia nell’altro che da tale universalità è escluso e che tramite la sua esclusione le dà sostanza e validità; dove la coscienza, ideologia o pensiero, che di tale universalità è la forma culturale tradotta e interiorizzata individualmente e collettivamente, si arricchisce tramite la sussunzione della forza dell’altro, ribadendo la propria parzialità ed egemonia attraverso la definizione dei criteri e gradi di accettabilità, delle tecniche di respingimento, dei dispositivi messi in atto per contenere, classificare, separare, escludere dall’inclusione, includere differenzialmente. Che tipo di linguaggio si genera quando l’enunciazione del “Pensiero di Stato” si trova faccia a faccia con ciò che di fatto lo costituisce (il suo Altro) e, allo stesso tempo, lo mette in discussione, rendendolo così palpabile, vivo e, appunto, enunciabile? I postulati, che stanno alla base di quella enunciazione, sanciscono un’omogeneità (molto presunta e poco sostanziale e per questo neanche troppo urlata, ma sufficientemente sostenuta dalla riproposta continua del binomio territorio-popolazione autoctona come unico e indiscutibile fondamento della cittadinanza) su cui si fondano, devono trovare il modo di includere quella forza antagonista e sovversiva, trasferendola in un’area che giustifichi la sua esistenza senza produrre eccessive riflessioni, quindi in una zona preriflessiva, che implicitamente ammetta in qualche modo quella presenza, frammentandola e riconoscendola in alcune sue componenti con pratiche discorsive che rimbalzano da un talk show a un altro, da un giornale all’altro. Da qui, i distinguo tra chi proviene da aree di guerra e chi no, tra chi appare più propenso a percorsi d’integrazione e chi meno (principalmente sulla base della fede religiosa), ma anche le esternazioni sull’utilità dei migranti (la recente affermazione di Boeri sulla necessità della presenza dei migranti per pagare le pensioni degli autoctoni va in questa direzione), da contrapporre – ipocritamente, perché rigorosamente dentro le logiche di mantenimento del confine netto tra “noi” possessori del territorio e titolari della cittadinanza, quindi autorizzati a decidere cosa ci serve e cosa no e scegliere di conseguenza e “loro” – alle violente esternazioni salviniane, alle quali grattano via solamente la parte più ruvida e odiosa di superficie.
https://comune-info.net/2018/07/ventimiglia-venti-di-un-mondo-diverso/
Se è vero, come è vero, che il colonialismo ha segnato la fase costituente del ciclo lungo, epocale, che da decenni ha assunto la forma del neoliberismo globalizzato, è altrettanto vero che, all’interno di questa forma, e nell’ultimo ventennio in modi sempre più marcati, quel binomio tra popolazione autoctona e territorio non si è mai spezzato e non ha mai cessato di riprodurre un modello di cittadinanza a forma piramidale, la cui composizione riproduce il sistema di cittadinanza coloniale. Come al tempo del colonialismo, vengono sistematicamente escluse da qualunque dibattito le condizioni strutturali, i presupposti culturali, le relazioni economiche, le condizioni di vita e di lavoro fuori dal “centro” – intendendo oggi con quel termine non esclusivamente e genericamente l’Europa, perché la “periferia” è oggi parte strutturante dell’Europa – e le relazioni centro-periferia, che assumono forme sempre più violente e devastanti di neo-estrattivismo. Viene rimossa una storia che si snoda lungo due secoli, vengono sottaciute responsabilità, pratiche criminali al limite – in certi casi ben oltre quel limite – del genocidio.
Mentre si discutono politiche a livello europeo che sanciscono ogni volta in modo più chiaro l’indisponibilità da parte di tutti i governi a qualunque forma di discussione politica globale che tenga conto dello scenario reale in cui prendono vita le migrazioni, sul versante francese del confine a Ventimiglia si adottano pratiche abominevoli, come tagliare le suole delle scarpe ai ragazzini intercettati per non fargli tentare nuovamente di attraversare il confine, o cambiargli la data di nascita per farli risultare maggiorenni e non essere in obbligo di accoglierli, prima di rimandarli in Italia.
https://comune-info.net/2018/06/la-distruzione-dellempatia/
Per questi, così come per altri mille diversi motivi che ognuno potrà individuare sulla base della propria sensibilità politica, sul peso che si vorrà dare a un aspetto o a un altro, la manifestazione di Ventimiglia si impone come un appuntamento con la storia, perché in quel pezzo di terra rivierasca si sta scrivendo la nostra storia che, se non ci saranno cambiamenti sostanziali e oggi francamente non traguardabili, ci accompagnerà per molto tempo.
14 LUGLIO:
TRENO PER VENTIMIGLIA DA GENOVA
Lascia un commento