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Il rosso antico

Patrizia Cecconi
14 Giugno 2014
Sulla sponda nord del Mediterraneo oggi viene considerato un’erbaccia infestante perché il suo valore commerciale, un tempo rilevante nell’industria conciaria e nella tintura dei tessuti, è ormai privo di significato. Il sommacco non ha retto la competizione con i colori chimici, neanche in Sicilia, dove fino agli anni Cinquanta era al centro di un commercio fiorente. Eppure, le sue splendide macchie sono fiamme nella magia dell’autunno. Macchie rosse, di un rosso che sfuma nel marrone e nel porpora, un rosso summaq, direbbero in Palestina, dove quest’alberello è ancora molto apprezzato, come in tutto il Medio Oriente. La spezia che se ne ricava è usata da millenni anche per profumare i cibi e per le notevoli proprietà curative, a cominciare da quelle antiossidanti, ricercatissime per contrastare l’invecchiamento delle cellule

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di Patrizia Cecconi

Il suo nome scientifico è Rhus coriaria e appartiene alla famiglia delle anacardiaceae, come il più conosciuto pistacchio. E’ alto circa 3 metri, ha foglie composte, imparipennate  e infiorescenza a pannocchia. La sua origine è la fascia compresa tra l’Europa meridionale e il vicino oriente fino all’Iran, l’antica  Persia dove il suo uso risulta plurimillenario. Il nome comune, in italiano, è sommacco siciliano e chiaramente deriva dall’arabo ( سماق ) la cui pronuncia è, appunto, summaq, non troppo distante dalla pronuncia in lingua farsi, la lingua parlata in Iran. Lo si trova, a volte, in forma arbustiva e selvatica in aree abbastanza estese, perché cresce bene  e si diffonde con facilità anche nei terreni più poveri e aridi. Oggi, sulla sponda europea del Mediterraneo non è più utilizzato né apprezzato, mentre fino alla metà  del “900 era fonte di  reddito, soprattutto in Sicilia, perché largamente  impiegato nell’industria conciaria e tintòria.  Ma ormai i suoi tannini sono stati sostituiti dalla chimica e il povero alberello ha finito per essere considerato un brutto infestante chiamato spregiativamente “scotano” e, pur se in autunno i boschetti di sommacco formano delle bellissime macchie rosse nel paesaggio, nessuno lo prende più in considerazione e il suo destino sembra ormai segnato dalla caduta del suo valore economico.

In Medio Oriente, invece, quest’alberello è ben considerato grazie alle bacche da cui si ricava una delle spezie più usate ed apprezzate. Il suo crescere con facilità, quindi, non lo fa  considerare un infestante, bensì una benedizione. La spezia che se ne ricava è usata da millenni sia nell’alimentazione che nella farmacologia. Il suo nome è il nome stesso dell’albero. Con variazioni grafiche, più che fonetiche, lo si può trovare nella traslitterazione in caratteri latini come sumak o summaq o somac. In Palestina la sua presenza è talmente familiare che può capitare di sentir chiedere a un negoziante  السماق لون في ثوب أريد     che tradotto  significa: “Voglio un abito color summaq”, vale a dire di quel particolare rosso con tendenze al porpora e al marrone che si ricava solo dalle bacche essiccate e macinate del Rhus coriaria, l’unica specie di Rhus che può essere utilizzata come alimento, sebbene con alcuni accorgimenti. Infatti, anche i frutti della Rhus coriaria sono tossici se ingeriti freschi, ma le popolazioni mediorientali che li utilizzano da millenni sanno che vanno raccolti in estate, poco prima della maturazione, e lasciati essiccare. A questo punto perdono la loro tossicità e vengono  macinati e trasformati nella polvere rossa, pregiata e vagamente profumata di limone,  che viene cosparsa sui cibi e che entra nella miscela più tipica e “identitaria” della Palestina: lo zaatar, accompagnando il timo, che ne è la base (a volte sostituito dall’origano) e il sesamo, che ne è l’altra componente di rispetto. Per avere qualche ricetta particolarmente gustosa, sarà bene consultare il sito fidafood.blogspot.com della blogger palestinese Fidaa Abuhamdiya che si occupa di cibo e cultura. Secondo alcune fonti, la scoperta di questa spezia capace di sostituire l’aceto risalirebbe agli antichi romani che impararono a usarla durante il loro dominio nella regione. Tuttavia in Persia, ben prima dei romani,  il summaq rientrava già nell’antichissima tradizione del “nawruz”, il capodanno iraniano pre-islamico che coincide con l’equinozio di primavera e che si fa risalire a Zoroastro (o Zatathustra). Il festeggiamento, tuttora molto seguito dal popolo iraniano benché osteggiato dall’integralismo religioso dei suoi governanti, è altamente simbolico e, tra i sette cibi che imbandiscono la tavola del nawruz come buon auspicio per il nuovo anno, sono presenti le bacche di summaq. Girando nei suq palestinesi, invece, il summaq si trova solitamente in polvere e spesso fa parte, accanto ad altre spezie, di splendide composizioni colorate in cui spicca con il suo rosso scuro. Si trova a volte anche sulle tavole palestinesi, dove viene servito in piattini di ceramica artigianale, accanto alle vivande su cui può essere spolverizzato a piacere, rendendole gradevoli e maggiormente digeribili. Ma passiamo alle proprietà salutistiche che si ricavano dalla Rhus coriaria.

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Va premesso che quando il grande Linneo classificò la pianta dando alla specie il nome di “coriaria” lo fece conoscendone l’uso occidentale, cioè quello dei “cuoiai” che ne utilizzavano foglie e corteccia per conciare e tingere le pelli, perché quello era il solo uso che se ne facesse in Occidente. Ecco perché a tutti gli effetti, dall’antichità ad oggi, il summaq, in quanto spezia, ha identità squisitamente mediorientale. Anche l’uso terapeutico, tuttora conosciuto e praticato in Palestina, ha la stessa origine. Nel medioevo la medicina araba, del resto al pari della filosofia e di varie scienze, si diffuse anche in Italia. La medicina si diffuse in particolare attraverso la Schola Salernitana e ancora si trovano scritti, ormai da collezione, che raccomandano l’uso delle bacche di sommacco, essiccate e pestate, per calmare i dolori di stomaco, (due mesi fa a Jenin ne ho sperimentato personalmente una tisana in seguito a un attacco di gastrite ed ha funzionato alla perfezione) e per almeno altri dieci disturbi comprese gengiviti e congiuntiviti. Andando indietro nel tempo, risulta che anche Dioscoride ne conoscesse l’efficacia come antinfiammatorio, ma fu soprattutto il grande medico arabo Yuhanna ibn Masawaih, conosciuto come Mesue il Vecchio o Giovanni di Damasco, vissuto tra l’ottavo e il nono secolo d.C.  a  descriverne dettagliatamente le proprietà che fanno di questa spezia un toccasana per l’apparato gastro-intestinale, per abbassare la febbre e per combattere le infiammazioni. Da Mesue il Vecchio a Matteo Plateario, uno dei quattro maestri della Schola Salernitana, il rimedio passò in Italia, ma mentre qui è andato perdendosi, in Medio Oriente viene tuttora usato per diverse patologie legate all’apparato gastro-intestinale. Ma il bello del summaq, la carta vincente che forse può farne qualcosa di più di una gradevole spezia mediorientale con qualche appendice di natura fitoterapica, è la scoperta del suo straordinario potere antiossidante. Nella tabella ORAC ( Oxigen Radicals Absorbance Capacity) che misura le capacità di  assorbimento dei radicali liberi, il summaq è ai vertici degli antiossidanti, il che significa che è in grado di combattere ogni forma d’invecchiamento cellulare, da quelle meno serie di carattere estetico, quali il rilassamento epidermico,  a quelle più gravi quali il morbo di Alzheimer o l’insorgenza tumorale. Non resta quindi che farne uso, magari acquistandolo nella sua terra d’elezione, quella in cui io stessa l’ho conosciuto e apprezzato e dove, grazie alla sua resistenza alle più crudeli condizioni ambientali,  è riuscito a sopravvivere nonostante i continui furti d’acqua che rendono arida la terra su cui cresce.

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Per le consulenze in arabo ringrazio i mie amici M. Al Laham e M. Ghazawnah

Patrizia Cecconi, studiosa di psicologia sociale e presidente dell’associazione Amici della mezzaluna rossa palestinese rossa. Ha scritto diversi libri: Lessico deviante e Vagando di erba in erba. Racconto di una vacanza in Palestina,  Città del sole edizioni; Belle e selvatiche. Elogio delle erbacce Chimienti editore. Tra le molte altre cose, cura un blog dedicato alla vita delle piante in Palestina, la terra che le scorre nelle vene, dove pubblica i testi che ha scelto di inviare a Comune-info e all’agenzia di stampa Nena News, diretta da Michele Giorgio, storico corrispondente del manifesto, la fonte italiana più autorevole e attenta alle notizie mediorientali.

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 L’adesione di Patrizia Cecconi alla campagna Ribellarsi Facendo 

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