La selezione e la cura di un testo sono ancora più al centro del lavoro di chi fa editoria, mentre il libro digitale comincia a trasformare le nostre abitudini. Di sicuro, la diffusione dei software libero, dei progetti di co-working e di sottoscrizione libera legata al web mostrano che valori come collaborazione volontaria e libertà di accesso sono conciliabili con la redditività ma anche con il diritto a un’equa retribuzione. Non è detto che vincano sempre i mercanti
Il dibattito su cosa debba intendersi ai nostri tempi per editore è ufficialmente aperto da un po’, da quando il libro digitale ha cominciato a far cigolare molte certezze fin lì oliate e per lo scatenarsi delle polemiche sulla condizione di precarietà ormai insostenibile dei lavoratori della “cultura”. La tentazione più ricorrente è quella che porta a declinare il ruolo dell’editore in negativo: ormai sappiamo benissimo cosa non deve fare. In ordine sparso abbiamo imparato che: non deve restare arroccato sui suoi privilegi cartacei; non deve affacciarsi con superficialità all’era dell’ebook; non deve negarsi alle biblioteche; non deve mettere il profitto al di sopra del suo progetto culturale; non deve sfruttare i propri dipendenti; non deve essere a pagamento per gli autori; non deve arrendersi alle clausole prepotenti della grande distribuzione (nazionale e internazionale); non deve inquinare il mercato vendendo sconti invece che libri; non deve aggirare la legge sul prezzo del libro.
E si potrebbe continuare, anche in virtù della considerazione che ad assumersi oneri e onori di questo ruolo sono spesso soggetti nuovi, che finora avevano giocato altri ruoli, complementari, nella filiera editoriale. Un editore attivamente coinvolto in questo dibattito, :duepunti edizioni di Palermo, per simboleggiare «l’attuale sistema editoriale con i suoi monopoli, le concentrazioni e le contraddizioni» usa la metafora della ruota del criceto, che rende bene l’idea della condizione di chi «si affanna a far girare un meccanismo insensato, che non lo porta da nessuna parte, a vantaggio di altri».
Andrea Libero Carbone, uno dei tre editori di :duepunti, ha provato a spiegare durante l’incontro intitolato L’importanza di essere indipendente, andato in scena all’interno dell’ultima edizione di “Più libri più liberi”, quali debbano essere le direttrici verso cui l’editore di oggi dovrebbe proiettarsi. I suoi interlocutori erano Fabrizio Venerandi, uno dei due editori di Quintadicopertina (trovate una riflessione sul suo intervento in questo post della co-fondatrice Maria Cecilia Averame), e Marco De Rossi di Oil Project. Venerandi ha sottolineato come oggi gli editori siano quasi tutti omologati nella definizione del “prezzo psicologico” (x,49/ x,99) imposto da Apple e altri grandi store. Una trattazione più esaustiva del pensiero di Carbone e dei suoi co-editori la si trova invece nel volumetto Essere editori oggi, che sarà in distribuzione a fine gennaio nelle librerie fiduciarie della casa editrice, e acquistabile anche attraverso il sito della stessa al prezzo di € 3. La versione digitale sarà disponibile per l’acquisto sul bookshop online di :duepunti e in Open Access sul loro laboratorio digitale hypercorpus.it. Lungo le pagine si prova a rispondere in positivo alla domanda con cui si apre questo articolo. Innanzitutto, se ci fossero stati dubbi, viene sancito che spetta agli editori stessi sollevare il problema: «Per via del suo ruolo di tramite, proprio nell’ora in cui gli spazî di circolazione delle idee tendono a organizzarsi in forma di reti a seguito di un forte processo di disintermediazione – dal momento che dunque è in gioco il senso stesso del suo operare –, a un editore spetta perciò chiamare con urgenza autori e lettori a una riflessione comune: in che consiste fare libri oggi? Che significa essere editori oggi?»
Le risposte non tardano ad arrivare. Dal libretto di :duepunti: «oggi non si tratta più soltanto di fare libri. […] Essere editori oggi significa non solo e non tanto fare libri, materiali o immateriali che siano, ma occuparsi della selezione, cura, messa in forma, pubblicazione e diffusione del testo inteso nella sua accezione semiotica più ampia. Il mestiere dell’editore, in questo senso, non è più limitato alla sfera dell’éditeur o del publisher, ma si estende a quella più ampia e diversificata del curatore-editor.»
Per fare dei passi avanti, tuttavia, occorre scrollarsi di dosso assiomi che rischiano di non essere più validi. Il concetto risaputo che «un libro viene dato alle stampe perché l’editore lo considera coerente con la sua linea editoriale e ritiene che offra un contributo valido sul piano culturale, sperando naturalmente che le risorse investite nella pubblicazione possano dare anche qualche frutto» farebbe pensare che l’eventualità di potersi affrancare (col digitale, ad esempio) dai costi e dai rischi connessi al mestiere di editore (i quali gli impongono «l’esercizio della virtù del coraggio») non faccia comunque decadere la sua funzione selettiva; in quanto la conseguente «disponibilità di un numero virtualmente illimitato di testi» non sarebbe sufficiente «a garantire ai fruitori una maggiore libertà di scelta in autonomia rispetto ai passaggi di mediazione che caratterizzano il sistema tradizionale» per il tutto sommato semplice motivo che «per il singolo lettore medio è evidentemente impossibile operare una selezione informata su diverse migliaia di titoli». Fate attenzione prima di assentire, perché l’ammonimento successivo è che «nell’era ormai avanzata del web 2.0 i lettori (come tutti i fruitori) sono riuniti in comunità interconnesse e costituiscono uno o più soggetti collettivi. La selezione a valle può essere svolta da un’intera comunità auto-organizzata e coordinata non solo con successo – grazie a strumenti come la catalogazione dal basso, il corpus delle recensioni e delle critiche dei lettori, il cosiddetto crowd-sourced tagging ecc. – ma senz’altro con un’efficacia ben maggiore di quella che può ottenere il singolo editore o un gruppo di redattori.»
Anche la cura del testo può adesso essere scissa dalla figura dell’editore dato che le migliorie «possono essere apportate in maniera completa e soddisfacente dall’autore o dai fruitori, a patto che il testo sia diffuso in forma modificabile o comunque in modo che sia previsto uno scambio di informazioni o un feedback. Su questo piano, la pietra di paragone è costituita naturalmente dai software open source che grazie al concorso della comunità libera degli sviluppatori raggiungono livelli di funzionalità, qualità operativa e aggiornamento, nonché di riduzione di errori e malfunzionamenti (bug) impensabili per i software proprietari».
Dopo essersi liberati di vecchi presupposti, ecco che si può riprovare a inquadrare il nuovo editore che verrà: «quando le abitudini di consumo della cultura si orienteranno in massa verso il digitale, le funzioni “materiali” fondamentali dell’editoria tradizionale, infatti – la ricerca di soluzioni vantaggiose per la stampa, la regia e il coordinamento del sistema che assicura promozione, diffusione, distribuzione ecc. – sono pressoché annullate; le funzioni “immateriali” invece – la scoperta di autori, la selezione e la cura dei testi, l’invenzione di nuove formule editoriali – sono radicalmente trasformate in modo tale che l’editore non ha più una posizione egemone, ma occupa un nodo di una rete estesa e complessa. Il ruolo specifico che l’editore può svolgere in corrispondenza di questo nodo (ammesso che la specificità del ruolo abbia ancora senso) è in una parola (presa in prestito dalla teoria delle reti) quella del broker tra diversi cluster. Questo ruolo comporta che le sue scelte siano orientate esclusivamente da criteri di interesse culturale e include anche e soprattutto la creazione di strumenti e la promozione di occasioni per lo scambio e la condivisione dei testi e di materiali ed esperienze collegati ai testi».
Il passo successivo è quello di porsi in relazione con la smaterializzazione del testo che «circola di fatto liberamente e gratuitamente dal creatore al fruitore». Per evitare di ridursi al ruolo di «“sorvegliante”, un po’ sbirro, un po’ spione e delatore» e al contempo lottare contro la crescente precarizzazione del lavoro editoriale, e del lavoratore della cultura in genere, l’editore dovrà «cercare e praticare in maniera condivisa soluzioni innovative».
Una delle risposte che prova a dare :duepunti passa attraverso la sua «piattaforma digitale sperimentale» Hypercorpus. La loro dichiarazione di intenti suona così: «Agli autori chiediamo di concederci la possibilità di distribuire in accesso libero e gratuito, con una licenza Creative Commons, la versione digitale della maggior parte possibile del nostro catalogo, parallelamente alla messa in commercio dei libri digitali e tipografici (anche in adesione alla Dichiarazione di Berlino sull’Open access alle opere pubblicate con contributi pubblici).
Ai lettori chiediamo di sostenerci attraverso gli strumenti che di volta in volta riterranno più opportuni: non solo continuando ad acquistare i nostri libri – tipografici o elettronici che siano – ma anche aderendo alle campagne di sottoscrizione libera, crowdsourcing e alle altre formule di finanziamento che intendiamo mettere in atto. E soprattutto partecipando con commenti, critiche e proposte a questa riflessione comune.
Per parte nostra, rinnoviamo il nostro impegno per la qualità e le buone pratiche del lavoro editoriale e per la promozione e il sostegno della libera circolazione dei beni comuni culturali, nonché alla trasparenza sui meccanismi di valutazione e selezione delle opere pubblicate e sulle forme di finanziamento pubblico o di sostegno privato di cui dovessero beneficiare».
Ecco che si arriva a un’altra questione cruciale: come si può immaginare remunerativa l’attività dell’editore se la linea di pensiero oggi prevalente «considera la cultura come un bene comune, promuovendo il libero accesso ai saperi, la condivisione della conoscenza e lo scambio equo delle competenze»? Secondo :duepunti occorre «ripensare alla radice il lavoro editoriale, a cominciare da una nuova definizione dei termini, dei ruoli e delle poste in gioco», ma partendo dalla felice constatazione che «la diffusione dei software open source e dei progetti di co-working mostrano che valori come collaborazione volontaria e libertà di accesso sono conciliabili con la redditività e soprattutto con il diritto a un’equa retribuzione del lavoro».
Innanzitutto andrebbe capito che le rivendicazioni dei soggetti coinvolti nel lavoro editoriale dovrebbero includere il presupposto che «molti piccoli/medi editori si trovano in una condizione in tutto e per tutto simile a quella degli altri lavoratori autonomi – per livello retributivo, precarizzazione lavorativa ed esistenziale, assenza di garanzie previdenziali ecc.». Per questo motivo una soluzione, comune, la si potrà ricercare soltanto orientandosi «verso l’elaborazione comune di un modello collaborativo sostenibile». Tale passaggio implica un cambio di paradigma rispetto alla consueta «quantificazione mercantile delle prestazioni»: andrà considerata la sua portata politica, intesa «nei termini dell’effettiva costruzione di un diverso modello di società e di un’altra economia».
Se occorre dare per assodato (si veda l’analisi di Luisa Capelli uscita sulla rivista Alfabeta2) che la pubblicazione di libri cartacei («materiali») per gli editori piccoli e medi sia giunta «a un vero e proprio stallo sul piano della sostenibilità economica» (dato che il punto di pareggio non è mediamente raggiungibile se non precarizzando il lavoro e ricorrendo al credito bancario), allora, tra le altre cose, è inevitabile passare per le forche caudine della determinazione del prezzo per porre rimedio. Proviamo a concentrarci proprio su questo elemento, nell’ultimo anno sottoposto a forte stress da prestazione dalla comparsa della Legge Levi che ha indirizzato gli occhi di tutti proprio su di lui (…).
Si parte dall’analisi dell’attuale composizione del prezzo che per il 60% e oltre «è imputabile a costi di intermediazione, soprattutto quando il canale di vendita è la grande distribuzione». Per provare a ripensarlo gli editori di :duepunti assumono che il nuovo prezzo debba essere portatore di due caratteristiche direttive: «la verificabilità e la trasparenza», (…) Dovrà essere immaginato come «un cocktail» le cui componenti vanno determinate come quote parti da suddividersi tra chi ha contribuito alla realizzazione del libro. Il lettore sarà chiamato alla fine a pagare «soltanto il lavoro che è effettivamente servito alla creazione del libro».
Per procedere effettivamente a quantificare queste parti, il primo presupposto ritenuto equo è che «all’autore e all’editore spetti un’uguale retribuzione». Nel caso di un testo tradotto, invece, «quanto spetta all’autore andrebbe ugualmente ripartito con l’editore, e una somma uguale dovrebbe essere percepita dal traduttore». (…)
A restare fuori sono i famigerati costi di intermediazione. Tuttavia essi sono pari a zero nel caso in cui il lettore acquisti direttamente dall’editore. Gli editori di :duepunti lo sottolineano probabilmente a suggerire che una transazione diretta di questo tipo sia auspicabile in una visione più rosea del futuro dell’editoria.
Proprio quello della trasparenza è un concetto che sta particolarmente a cuore a noi di Tropico del Libro. Abbiamo allora chiesto a :duepunti, per integrare quanto letto nel loro libro, nel tentativo di capire come si materializzerà il prezzo trasparente nelle loro edizioni e come :duepunti pensa di spiegare ai lettori il senso dell’operazione. Ci ha risposto Giuseppe Schifani: «Intanto la nostra formulazione del prezzo trasparente riguarda l’ambito delle pubblicazioni digitali che metteremo in vendita esclusivamente attraverso il nostro sito. In questo modo, abbattendo cioè le intermediazioni legate alla distribuzione che non si rende più necessaria grazie agli strumenti online, intendiamo interloquire direttamente con il lettore finale (filiera corta) e metterlo direttamente in relazione con la struttura di produzione editoriale. Questo da un lato aumenta la consapevolezza negli acquisti: si seguono le pubblicazioni di una casa editrice perché se ne apprezza la linea editoriale e non perché questa è posta in cima alle segnalazioni dei bookshop per aver pagato in pubblicità. (…) A nostro avviso il ruolo dell’editore sta mutando insieme agli oggetti e ai contenuti con cui ha sempre lavorato. Sfuggendo allo schema classico che lo vede produttore di libri, l’editore può, ma forse deve, trasformarsi pienamente in operatore culturale e guardare con maggior coerenza alla propria funzione sociale….».
La versione completa di questo interessante articolo, arricchita di diversi link, è su Tropicodellibro.it con il titolo Fare libri oggi: qual è il prezzo giusto da pagare per l’editoria del futuro?.
Alessio dice
Libro, equo e sostenibile? E’ un progetto ideato da Rikrea, design sostenibile, per i lettori e anche per le piccole case editrici e librerie. Se questo progetto sarà realizzato, sarà possibile recarsi in una piccola libreria, scegliere un e-book, sedersi per un caffè… e in pochi minuti avere una copia stampata del libro scelto! Le applicazioni possibili sono tante: libri fuori catalogo, la creazione di una rete globale di distribuzione elettronica di testi cartacei, la possibilità di avere una vasta collezione a disposizione in braille per i non vedenti, in caratteri più grandi per gli ipovedenti, libri in lingua originale, oppure con la traduzione a lato. Senza inutili e dannose spese economiche e ambientali di trasporto e stoccaggio, senza la stampa di libri che non verranno mai letti… SE VI PIACE, VOTATELO SUBITO E CONDIVIDETE CON GLI AMICI!!! Mancano pochi giorni alla fine del concorso.
COME SI VOTA: dalla pagina http://www.che-fare.com/progetto/e%E2%80%90paper-book bastano pochi click:
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Grazie e buone letture!