Siamo fatti di tempo. I piedi del tempo camminano nei nostri piedi. Prima o poi, si sa – spiegava Eduardo Galeano – i venti del tempo cancellano le tracce. È trascorsa una settimana dalle celebrazioni della Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata 75 anni fa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Nel ricordarla, Sergio Mattarella, presidente di uno dei Paesi che vanno fieri della complicità nel genocidio di Gaza, ha scritto che “oggi come allora l’importanza di quel documento consiste nell’anteporre all’esercizio del potere l’inalienabile dignità inerente alla persona”. Preziose parole gettate al vento, che non possono non suonare come vuota retorica pensando alle migliaia di bambini di Gaza che non compaiono nelle statistiche perché giacciono sotto le macerie, oppure ai 25mila di loro diventati orfani. Fra un mese, fra un anno, ovunque sia – nella Gaza planetaria che è ormai il nostro mondo – comprate un pezzo di stoffa e uno spago per far volare in cielo l’aquilone delle loro speranze tradite e raccontatene la storia. Più o meno come invitava a fare per lui, se fosse morto, Refaat Alareer, poeta palestinese e insegnante di letteratura del mondo. Tra i fondatori del progetto “Noi Non Siamo Numeri”, Refaat aveva sei figli, è stato eliminato dal gioco della vita il 6 dicembre da una bomba “non intelligente” israeliana. Lo ricorda, proprio in apertura del suo articolo, Sarah Babiker, che conclude, senza alcuna retorica, ricordandoci che quella Dichiarazione, che universale non è stata mai, è ormai del tutto svuotata di senso. Oltraggiata dall’ipocrisia delle celebrazioni, dalle complicità e dall’indifferenza verso lo sterminio come pratica politica legittima, invecchia “come una logora fanzine che nessuno ha mai preso sul serio”. I venti del tempo, a Gaza e in molti altri altrove, ne hanno cancellato perfino le tracce
Refaat Alareer ha scritto che se fosse morto avrebbe voluto che si raccontasse la sua storia. Voleva che qualcuno comprasse per lui un pezzo di tela e uno spago e costruisse un aquilone che volasse sui cieli di Gaza, per portare speranza a un bambino che aspetta un padre che non tornerà.
Quel poeta, scrittore, attivista e insegnante palestinese è stato assassinato il 7 dicembre, il giorno dopo che gli Stati Uniti hanno usato il loro potere nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per garantire che la sola cosa che i bambini di Gaza che possano veder volare sulle loro teste siano bombe. Come quella israeliana, precisa, che ha ucciso lui, i fratelli e i nipoti. Proiettili che ammazzano genitori, figli e poeti. Detonazioni che massacrano la speranza.
Libertà, giustizia, pace nel mondo, dignità intrinseca (all’essere umano in quanto tale, ndt) diritti uguali e inalienabili, famiglia umana. Tutti questi concetti confluiscono nelle prime frasi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che il 10 dicembre ha compiuto 75 anni. “Non basta parlare di pace; bisogna crederci. E non basta credere; bisogna lavorare per conseguirla”, diceva una delle sue precorritrici, l’allora first lady statunitense Eleanor Roosevelt. Nei successivi 75 anni, il suo paese ha lavorato per la guerra. Due giorni prima che questa dichiarazione piena di speranza compisse 75 anni, gli Stati Uniti hanno permesso, con il loro veto, nel quadro delle Nazioni Unite, che un nuovo genocidio continuasse senza alcun freno.
“Il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità”, si legge nel preambolo della Dichiarazione Universale. Il riferimento è chiaro e concreto, non si tratta delle atrocità del colonialismo, non si tratta della schiavitù. La barbarie di cui parla la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è quella dell’Olocausto. La Seconda Guerra Mondiale è fresca nella memoria, sei mesi prima l’ONU avrebbe riconosciuto lo Stato di Israele.
Il “disconoscimento e il disprezzo” dei diritti umani del popolo palestinese è diventato subito un patto criminale, guidato da Israele e dagli Stati Uniti, e ratificato con la loro inerzia dagli stessi paesi che rivendicano un posto speciale nella concezione dei diritti umani, la liberale Europa, capace di chiudere gli occhi di fronte al genocidio del popolo palestinese mentre fa affari con coloro che lo perpetrano. Oppure capace di chiedere moderazione nel massacro, mentre commercia in armi letali che di “moderazione” non hanno proprio nulla.
Come l’industria del genocidio nazista aveva pretese di modernità e sistematicità, così Israele sviluppa app e mappe digitali per dire agli abitanti di Gaza da quale quadratino di terra devono fuggire per poi indicarne uno nuovo senza smettere un minuto di bombardarli. Oppure Israele avverte con chiamate telefoniche ed e-mail i suoi obiettivi che verranno uccisi. Refaat viveva sotto questa minaccia, a quanto pare le sue parole erano “terroristiche” in questo universo parallelo della narrativa israeliana dove tutto sembra terrorismo o sostegno al terrorismo tranne il record di morti civili.
Bisognerà fare attenzione, perché tracciare parallelismi tra la barbarie nazista e quella sionista sarebbe antisemitismo, dicono coloro che si auto-ergono a custodi della memoria dell’Olocausto, l’IHRA. Sempre più stati in Occidente lo sostengono. Non solo: anche criticare Israele è antisemita. Una delle ultime personalità ad assaporare la portata di tanta confusione è stata la pensatrice Judith Butler, ebrea lei stessa, che andava a partecipare, la settimana scorsa, a un dibattito sulla strumentalizzazione dell’antisemitismo a Parigi, in rappresentanza dell’organizzazione Jewish Voice for Peace, un incontro sospeso dalla giunta comunale della capitale francese per la sua natura “polemica”.
Settantacinque anni dopo, i “diritti” di uno Stato coloniale schiacciano i diritti umani delle palestinesi e dei palestinesi, quelli che si basano sulla “dignità intrinseca in ogni essere umano”. C’è chi fa poesia per esorcizzare la morte e c’è chi fa tik tok per banalizzarla. I video degli israeliani che deridono la popolazione di Gaza, prendendosi gioco della distruzione e della morte, mostrano che la “dignità intrinseca nell’essere umano” è solo una formula per la cui irrilevanza sono già morti 10mila ragazzi e ragazze negli ultimi due mesi. Più di 20mila persone in totale. Le foto scattate dall’esercito israeliano che ritraggono decine di uomini in mutande, umiliati ed esposti come un trofeo di guerra, avallano questa sfida alla dignità intrinseca dell’altro.
Nel frattempo, da quando Elon Musk ha incontrato Benjamin Netanyahu in Israele, il magnate è diventato diligente, gli attivisti di tutto il mondo constatano come le loro timeline di X si riempiano di post filo-israeliani, come ha denunciato lo stesso Alareer prima della sua morte. Allo stesso tempo, di tanto in tanto i profili di chi denuncia la strage diventano invisibili. Chissà cosa avrebbe fatto Goebbels se avesse avuto a sua disposizione l’impero degli algoritmi. Ancora una volta, biosgna fare attenzione. Si sa che, 75 anni dopo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l’obiettivo è più confrontare i genocidi che emularli.
“Quanto sangue, quante vite palestinesi, quante volte dovremo andarcene perché Israele sia soddisfatto”, si domandava Refaat in un articolo scritto per il New York Times, mentre Israele bombardava Gaza, nel 2021. Con le lacrime agli occhi, mentre le settimane si accumulano nella fossa comune dell’impotenza, milioni di persone nel mondo si pongono la stessa domanda. E non trovano risposta da nessuna parte. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, intanto, invecchia e corre verso la morte, come una logora fanzine che nessuno ha mai preso sul serio.
Fonte e versione originale: El Salto
Traduzione per Comune-info: marco calabria
L’ultima poesia di Refaat Alrareer, poeta palestinese, insegnante di letteratura del mondo e fondatore del progetto «We are not Numbers». Alrareer è stato ucciso da un bombardamento mirato israeliano il 6 dicembre 2023 nella Striscia di Gaza.
Se dovessi morire,
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia
per vendere le mie cose
per comprare un po’ di carta
e qualche filo,
per farne un aquilone
(fallo bianco con una lunga coda)
cosicché un bambino,
da qualche parte a Gaza,
guardando il cielo
negli occhi
in attesa di suo padre che
se ne andò in una fiamma
senza dare l’addio a nessuno
nemmeno alla sua stessa carne
nemmeno a se stesso
veda l’aquilone, il mio
aquilone che tu hai fatto,
volare là sopra
e pensi per un momento
che un angelo sia lì
a riportare amore.
Se dovessi morire,
fa che porti speranza
fa che sia un racconto!
Maria Teresa Sarli dice
Pisngo!!!!