La 31esima edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina è tornata in presenza mantenendo però anche la possibilità di potervi assistere online. Fino all’8 di maggio 49 film, di cui 26 in anteprima in Italia, presentati in lingua originale con sottotitoli in italiano e preceduti da una video di presentazione dei registi/e. Un’occasione non solo per conoscere e fare circolare il cinema contemporaneo dei tre continenti, ma anche la sua estetica
Dopo due anni di assenza dalle sale, il festival non è stato realizzato nel 2020 e ha avuto una edizione interamente online nel 2021, la 31esima edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina torna in presenza mantenendo però anche la possibilità di assistervi online. Il Festival, che ha aperto venerdì 29 aprile con la prima italiana di Twist à Bamako, del francese Robert Guédiguian, continuerà fino a domenica 8 maggio con una ricchissima programmazione di film, incontri con gli autori, ed eventi speciali sul cinema e le culture dei 3 continenti. Il Festival occupa 5 sale a Milano mentre una selezione di film verrà presentata a Torino in collaborazione con il con il Museo del Cinema. Più avanti sarà possibile assistervi a Bari nell’ambito della rassegna Registi Fuori dagli Schermi.
Tutti i 49 film, di cui 26 in anteprima in Italia, sono presentati in lingua originale con sottotitoli in italiano e vengono preceduti da una video di presentazione dei registi/e . Gli stessi/ Le stesse saranno inoltre presenti in sala o online per una sessione di domande dal pubblico. Cinque sono le sezioni cinematografiche in concorso: Lungometraggi Finestre Sul Mondo – una selezione di 10 film, scelti tra recenti produzioni di fiction e documentari provenienti dai 3 continenti; Cortometraggi Africani – film brevi (fiction e documentari) realizzati da registi provenienti da tutta l’Africa e dalla diaspora; Concorso Extr’a – 16 film di registi italiani (o stranieri residenti in Italia) girati nei tre continenti, o film aventi come soggetto le tematiche dell’Italia multiculturale; Sezione Flash – anteprime italiane di opere recenti di registi affermati, film acclamati dalla critica o premiati nei maggiori festival internazionali; infine E Tutti Ridono – sezione dedicata alle commedie provenienti dai 3 continenti. La sezione fuori concorso presenta invece opere recenti di alcuni membri della Giuria Internazionale: Prasanna Vithanage, Karine de Villers e Mario Brenta.
Oltre alla possibilità di accedere ai film mediante l’acquisto di biglietti singoli, sono disponibili 6 tipologie di abbonamento che prevedono agevolazioni per under25 e un abbonamento cumulativo valido per sala e online. Tra gli abbonamenti online è disponibile un pass mensile FESCAAAL + MYmovies One che da la possibilità di accedere non solo ai film del festival ma anche di altri festival italiani tra cui la Biennale Channel con contenuti dalla Mostra di Venezia, Far East FF e molti altri.
FESCAAAL rivolge particolare attenzione al tema dell’educazione interculturale e alla conoscenza delle società e delle culture di Africa, Asia e America Latina e presenta quest’anno la la terza edizione del progetto MiWorld Young Film Festival – MiWY promosso dalll’Associazione COE in partnership con Fondazione ISMU e gemellato con Castellinaria, festival del cinema giovane di Bellinzona. Docenti di scuole secondarie di primo e secondo grado avranno la possibilità di iscrivere le proprie classi per assistere a proiezioni in presenza, oppure online, oltre che a partecipare a dibattiti con registi ed esperti. Ai docenti vengono inoltre forniti materiali didattici di approfondimento, schede di preparazione e di post-visione per il lavoro in classe.
I film proposti affrontando tematiche quali l’immigrazione, i diritti umani, l’equità di genere, l’integrazione delle minoranze, nell’ambito del nuovo insegnamento dell’Educazione Civica, hanno lo scopo di decostruire stereotipi per costruire una società più inclusiva che sappia abbracciare la complessità e la diversità del mondo a partire dai giovani.
Il festival, all’interno di un sistema di distribuzione che, escludendo il crescente interesse commerciale di Netflix, continua ad essere prevalentemente orientato alle produzioni occidentali, rappresenta un’occasione non solo per conoscere e fare circolare il cinema contemporaneo dei tre continenti, ma anche la sua estetica. Gli incontri con i protagonisti, giovani promesse e registi più affermati spesso non giustamente riconosciuti nel panorama italiano, permette inoltre la circolazione dei loro nomi. Nell’ambito dell’economia della conoscenza, e dell’industria culturale a cui la settima arte appartiene, dove visibilità, contatti e circolazione sono i nuovi valori richiesti non si tratta di poca cosa.
Se finalmente anche l’Italia sta diventando inevitabilmente più multietnica e multiculturale e, se pur a fatica, stiano emergendo discussioni legate alla necessità di denunciare il razzismo strutturale legato al passato colonialista europeo, troppo poca attenzione ancora si presta alle storie dei paesi Africani, Asiatici e Latino Americani.
Il cinema offre un mezzo accessibile di trasmissione di conoscenza e/o, quantomeno di immediato innesco di curiosità. Lo stesso film di apertura del festival, Twist à Bamako, nella sua semplice trama – una storia d’amore e di militanza politica a ritmo di twist – ambientata negli anni 60 del post indipendenza del Mali – facilita una serie di osservazioni. Vale la pena soffermarsi su quella che è stata una delle ispirazioni del film e che ha rappresentato una manifestazione culturale importante in West Africa: il ritratto fotografico. Il film è stato infatti ispirato dalle fotografie di Malick Sidibé, fotografo maliano noto per i suoi studi in bianco e nero sulla cultura popolare negli anni ’60 a Bamako. Famoso nella sua comunità, nel 1994 ha tenuto la sua prima mostra internazionale ricevendo molti elogi dalla critica. Il lavoro di Sidibé da allora è diventato famoso su scala mondiale e nel 2007 ha ricevuto un Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia diventando sia il primo fotografo che il primo africano a ricevere tale premio.
Mentre il periodo delle lotte di indipendenza africane viene associato alle prodezze dei suoi militanti, figure storiche delle lotte nel continente, il film mostra le difficoltà di una transizione complessa legata a storie spesso troppo semplificate da una certa lettura idealista. Se l’indipendenza era da tutti voluta, l’emancipazione non veniva vista da tutti allo stesso modo.
Il film mette in luce quindi le relazioni conflittuali non solo tra colonizzato e colonizzatore, ma anche delle relazioni interne tra rivoluzionari e le elites locali, spesso beneficiate dai regimi coloniali. Relazioni che si riflettono nel difficile equilibrio tra contemporaneità (non modernità) e tradizioni, tra ideali rivoluzionari e benefici economici. Complessità spesso tuttora presenti nelle società post/neo-coloniali africane e che istigano domande sul significato sul processo mai del tutto raggiunto di decolonizzazione economica, sulla relazione tra internazionalismo e universalismo.
Il film sottilmente denuncia gli interventi internazionali che hanno tragicamente marcato la storia del continente. Dalla politica francese di Jacques Foccart, al brutale assassinio di Patrice Lumumba. Non nega le contraddizioni legate alla presa di potere da parte dei regimi socialisti africani succeduti alla occupazione colonialista, tra questi – oltre al Mali di Modibo Keïta – menziona la Guinea di Sekou Toure e il Ghana di Kwame Nkrumah. Come in una domanda rivolta dal protagonista: “È l’Unione Sudanese o il KGB di Stalin?”.
Il tutto sullo sfondo dei sogni e entusiasmo di un gruppo di giovani che, a ritmo di una musica occidentale, che – come dice l’avventore della sala da ballo in seguito alla visita della commissione disciplinare – incita alla depravazione, “ma ciò nonostante si sono bevuti tutto!”. La musica, simile alla rumba di Papa Wemba, l’Afrobeat di Fela Kuti, il Chimurenga di Thomas MapfumoThomas Mapfumo per citarne alcuni, ha occupato un ruolo importantissimo nei vari movimenti di liberazione, insieme alla danza, che, in Africa è parte di ogni manifestazione politica. Così la musica torna nel 2012, ancora una volta legata alla politica, questa volta dei barbuti.
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