Il viaggio è un buco nero che vogliono dimenticare. Partono quasi tutte da Benin City, nel Delta State nigeriano, con un pullman verso il confine nord. Poi il deserto, le carceri libiche, le connection house, dove le ragazze diventate schiave devono prostituirsi sette, otto, dieci volte al giorno. E ancora i barconi, i Cas. E quel maledetto debito da pagare per essere arrivate vive in Europa, per essere sopravvissute alle violenze sessuali di gruppo, alle torture in Libia: per questo hanno conti bancari nigeriani dove mandare i soldi che guadagnano prostituendosi, anche in questi giorni di festa. Le loro storie mostrano come sono intrecciati i domini del patriarcato, della violenza, del razzismo e della mercificazione. “I loro corpi sono di tutti, chiunque può pagarli – scrive Cristina Formica -, chiunque può averli, valgono poco”

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Il vento freddo di Roma in questi giorni di Natale non ferma le ragazze sulla strada, seminude nonostante il freddo, sembrano allegre perché si muovono tanto, ma forse è il freddo che le ballare da ferme. Le macchine sostano in doppia fila per pattuire il costo della prestazione, le ragazze sono giovani e belle, danzano mentre aspettano il cliente, si sporgono al passare di ogni auto. Ma quelle sotto i lampioni di viale Togliatti sotto tutte bianche, vengono dai paesi dell’Est Europa.
Le ragazze nere sono in una zona più buia, l’unità di strada le trova vicino al Mattatoio, lì c’è meno luce ma il passaggio dei clienti è uguale, costante. Le ragazze nere si prostituiscono nelle periferie, nelle strade di campagna, dopo la periferia romana, lungo le strade consolari. Valgono meno delle ragazze bianche, i costi per l’atto sessuale sono più contenuti. La fila delle ragazze è lungo la via Tiberina, tra Roma e Fiano Romano, i loro corpi sono nudi, espongono il sedere in modo provocante, sono tante e anche loro molto giovani (leggi anche Prostituzione. Qualche interrogativo di Lea Melandri, ndr).
Le ragazze nere devono pagare il debito per essere arrivate vive in Europa, per essere sopravvissute alle violenze sessuali di gruppo, alle torture in Libia. Vengono dai paesi subsahariani, tante dalla Nigeria ma anche dal Camerun, dal Togo, dal Ghana. c’è chi dice che erano prostitute anche nel loro paese, che hanno spostato il commercio dei loro corpi lungo strade più ricche.
Le ragazze raccontano di aver fatto mille lavori, venditrici e cuoche, sarte e parrucchiere, qualcuna ha studiato un po’ di più, quasi tutte hanno pochi anni di istruzioni, alcune sono analfabete. Sono giovani tutte quante, hanno cicatrici sul viso, sui seni, sulle gambe: si vede che sono segni di coltello, ma non dicono mai come sono stati fatti. Raccontano delle loro famiglie numerose, in genere il padre ha altre mogli e loro sono figlie solo della madre. Spesso sono prime figlie, con fratelli e sorelle più piccole da mantenere.
Il viaggio è un buco nero che vogliono dimenticare: raccontano che amiche di famiglia, amici dei padri, ragazze come loro combinano una fuga che ormai ha già tutto di noto. Forse sanno già che dovranno prostituirsi, ma che effetto farà loro questo sacrificio le ragazze non lo sanno. I viaggi partono quasi tutti da Benin City, nel Delta State nigeriano, e iniziano sempre con un pullman verso il confine nord; poi ci sono degli alberghi, degli uomini che le accompagnano con l’intento neanche tanto sottile di sorvegliarle. E magari sono questi uomini i primi a stuprarle. Poi ci sono i viaggi nel deserto libico, dove i pick-up carichi di esseri umani sono fermati dai militari o dai predoni, e lì le violenze sono di gruppo, magari le ragazze rimangono incinte ma non sanno chi dei loro stupratori è il padre di questo figlio. Se rimangono incinte possono subire aborti maldestri, a volte procurati con le botte, perché il loro corpo non può modificarsi pena la perdita del guadagno. Il debito infatti parte da Benin City, e si azzera dopo mesi, a volte anni, dal primo viaggio. Come una partita di monopoli, le ragazze sono rapite e portate nelle carceri libiche, dove i carcerieri scelgono ogni giorno una vittima, magari anche una ragazzina di dieci anni. Anche gli uomini sono stuprati, o costretti a commettere stupro, ma se hanno una donna con loro sarà lei a farsi stuprare, così da proteggere un marito, un fratello, un amico. Le ragazze nere hanno paura dei musulmani, che le costringono a rapporti anali dolorosi e senza precauzioni: molte si ammalano di malattie che in patria le condannerebbero, mentre in Europa potranno avere comunque un futuro. Dopo le carceri, in Libia ci sono le connection house, dove le ragazze diventate schiave devono prostituirsi sette, otto, dieci volte al giorno. Non possono uscire, il loro viaggio si riduce ad un letto sporco e a un uomo violento, che cambia nelle ore ma sempre violento rimane. Perché tutte le ragazze prima o poi cedono, e le cicatrici sui loro seni sono la testimonianza della loro resistenza: cicatrici di sigaretta spenta sul corpo, ancora coltelli, accette, pezzi di pelle che sono strappati e non si rimarginano mai.
Ma il loro corpo è sempre stato di tutti: anche a casa non hanno avuto un uomo che le proteggesse, il loro essere si è tradotto in piacere maschile sin da quando erano bambine. Alcune sono andate a servizio a dodici anni, e lì lo stupro del padrone di casa è garantito, fino a che la moglie vede la gravidanza, inizia ad avere paura di essere spodestata, e le caccia. Ed allora diventano ragazze di strada, e hanno magari quindici anni. Le loro storie parlano di povertà, di lavori precari, e il loro sorriso è ormai spento dalla violenza che le accompagna per sempre. Sono ragazze dure, reagiscono spesso violentemente, si difendono sempre perché hanno dovuto imparare a farlo.
Nella connection house tutte si prostituiscono, ma i soldi non vanno a loro. La ragazza può scegliere se accettare la violenza sessuale continua, oppure si oppone e allora sono botte, cicatrici, sono legate al letto, sono piegate in tutti i modi possibili. Spesso sono uomini nigeriani che le sorvegliano e le stuprano in continuazione per ricordare loro chi comanda. I loro corpi sono liberati quando pagano il primo viaggio, quello fino a Tripoli, ma i soldi che devono pagare dipendono da quante volte sono rapite in Libia, fanno anche quattro volte dal nord al sud, dal deserto al mare, e il debito aumenta perché le ragazze devono mangiare, un po’ riposare, e il guadagno sui loro corpi aumenta.
Ad un certo punto qualcuno dice di prendere una barca, che parte da Tripoli o da Misurata verso l’Italia. I tentativi della partenza possono essere più di uno, a seconda di cosa fa la pattuglia militare di turno, o del tempo cattivo. La barca costa più delle ragazze, e bisogna fare in modo che arrivi a destinazione. Qualche ragazza non vuole partire, magari ha un bambino piccolo, tutte hanno paura del mare perché non hanno mai visto tanta acqua e non sanno nuotare. A forza di botte sono costrette a salire a bordo, pigiate con le altre ragazze su gommoni scadenti, con uomini impauriti come loro. Salgono tutti senza niente, non hanno abiti né documenti, non hanno acqua e mangiare, bisogna sperare che il viaggio sia veloce e che il sole non li uccida. Bisogna sperare che la barca non si rovesci, che il mare sia calmo, che qualche barca di pescatore li salvi, che ci sia una nave di ONG che le soccorra. Le navi militari europee non arrivano più nel mar Mediterraneo, potrebbe arrivare una pattuglia libica e di nuovo il carcere, le botte, le violenze. Potrebbe accadere che il mare sommerga tutto, e nessuno sa nuotare.
Il primo debito la ragazza che va sulla barca l’ha pagato e qualcuno, o spesso qualcuna, ha telefonato alla connection house per comprare cinque, sei, dieci ragazze, al costo di mille euro l’una.
Il primo debito è stato pagato, ed erano milioni di naria che in Europa non sono niente, ma in Nigeria sono tanti soldi. Per questo la ragazza ha fatto il giuramento magico, il rito ju-ju, dove un sacerdote le ha tagliato i peli del pube, delle ascelle, le unghie, ed ha messo tutto in un sacchetto, facendole giurare che avrebbe pagato il debito del viaggio pena la morte dolorosa per sé e per i familiari. Forse la ragazza non sa bene quanto crescerà il debito, pensa che alla fine uno stupro è uno stupro, nel cortile della casa della mamma o in un ghetto libico non fa tanta differenza.
Ma i mille euro iniziali, nel percorso tra la Libia e Lampedusa, diventano 20.000, 30.000 euro. La ragazza vale di più se è molto giovane, magari è una ragazzina di quattordici o quindici anni ma è già donna, e può far guadagnare molti soldi perché c’è più tempo per sfruttarla sessualmente. Se è una bella ragazza meglio, ma sulle strade italiane ed europee guadagnano anche quelle meno belle, il costo per la prestazione sessuale parte da cinque euro, è tutta una questione di prezzo.
Se la barca arriva, la ragazza deve chiamare un numero che ha imparato a memoria, e la maman le dirà dove deve andare. Anche quelle piccole devono dichiararsi maggiorenni, e il poliziotto italiano che le scheda le guarda distrattamente, per cui le date di nascita, come i nomi, sono spesso sbagliate. La ragazza è istruita a dichiarare la maggiore età, sennò lo stato italiano le colloca in casa famiglia e per diverso tempo non possono restituire il debito. Sono tutte ragazze con i corpi magri, in Libia non ingrassi, il benessere inizia solo dopo essere sopravvissute al mare. Ma a volte devono scappare subito, l’iter per la richiesta di Asilo Politico neanche inizia perché la maman richiede immediatamente indietro i soldi che ha pagato per farle arrivare. A volte sono fermate sulle strade di provincia italiane, carabinieri solerti le portano al CIE, e se sei fortunata un’associazione antitratta raccoglie la tua storia e riesce a fermare il tuo rimpatrio. Le ragazze ottengono l’Asilo Politico, la tratta di esseri umani è motivo di protezione internazionale, ma non tutte riescono ad avere il tempo perché i loro diritti siano riconosciuti, lo stato italiano è lento, ci vogliono due anni per avere il mano il permesso di soggiorno. La ragazza ha un costo, e la maman vuole guadagnare.
A volte invece le ragazze sono accolte in un CAS dove è accolto anche il loro sorvegliante. Le minacce avvengono davanti a tutti, operatori e polizia non si accorgono che le ragazze sono seguite e indirizzate verso la prostituzione in un luogo che dovrebbe essere protetto. Sono i loro protettori che l’hanno vinta, a volte sono i fidanzati che le hanno messe incinte prima di partire dalla Libia, la gravidanza può aiutare ad avere il permesso di soggiorno. Continuano ad essere picchiate le ragazze, e hanno conti bancari nigeriani dove mandare i soldi che guadagnano prostituendosi.
A volte le ragazze denunciano, si fidano della polizia italiana e vanno fino in fondo, forniscono numeri cellulari che però smettono di rispondere. La magistratura archivia la denuncia perché gli aguzzini si rendono irreperibili, tranne poi incontrarli per caso a piazza Vittorio a Roma, nelle strade di Bari, nei CAS dove si dovrebbe realizzare la prima accoglienza. Oppure la ragazza è brava pure lei nel rendersi irreperibile, ma le telefonate alla mamma in Nigeria portano le minacce di chi ha pagato il viaggio, e rivuole indietro quanto speso più il guadagno. Il debito aumenta fino a 50.000 euro, se la maman ti deve alloggiare e darti da mangiare. Magari dormi per terra, magari devi anche pulirle casa, ma i soldi che vali crescono, e tu devi cambiare strada dove prostituirti, perché magari cambi regione. In Piemonte, in Calabria, in Veneto, a Roma. La strada è sempre la strada, ed il tuo corpo continua a valere.
I loro corpi sono di tutti, chiunque può pagarli, chiunque può averli, valgono poco.
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Cristina Formica, sociologa, si occupa da diversi anni di donne migranti
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