di Francesco Biagi
L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio
Italo Calvino, Le Città Invisibili
Due giorni (4 e 5 luglio) di iniziative, biciclettata, dibattiti, banchetti informativi, musica, cibo equo e solidale, gioco, svago, scambio per ricordare alla città di Pisa che il Distretto 42 e il Municipio dei Beni Comuni sono realtà diffuse che vivono ben oltre i cancelli ancora chiusi (dal 22 aprile, il giorno dello sgombero del Distretto 42) di via Giordano Bruno 42. A Pisa, dunque, c’è chi si ostina a sperimentare il “diritto alla città”, tema ovunque piuttosto attuale.
Al diritto alla città è dedicata una raccolta di saggi scritti da David Harvey e pubblicata dalla casa editrice Ombre Corte qualche anno fa (“Il capitalismo contro il diritto alla città”): il titolo evidenzia il conflitto che contraddistingue il nostro tessuto socio-politico contemporaneo. Da una parte il progetto neoliberale plasma la città e gli spazi in cui viviamo per modellare la nostra vita, dall’altra, da un po’ di tempo a questa parte, il concetto di “diritto alla città” delinea sempre più tutte quelle controcondotte di resistenza.
A utilizzare per primo quell’espressione (“diritto alla città”), negli anni ’60 è il sociologo francese Henri Lefebvre, come possibile risposta ai processi di accumulazione ed espropriazione che la proprietà privata e la rendita finanziaria attuano sulla città nelle società modellate da un capitalismo più maturo. Oggi, invece, svariati movimenti sociali e numerose rivolte trovano in questa idea legittimazione, riconoscimento e dignità. Dubitiamo, ad esempio, che il movimento “sem techo” o il movimento dei raccoglitori di plastiche in Brasile possano conoscere Lefebvre e la sua produzione bibliografica, ma riconoscono in quelle parole una possibilità concreta di emancipazione, di fuoriuscita dal loro stato di minorità invisibile. Una pista di riflessione interessante sarebbe studiare come al giorno d’oggi – nel pieno della crisi finanziaria – cittadini, gruppi sociali e movimenti ritrovino identità e senso per il loro agire politico in un termine coniato più di quarant’anni fa. Interessante potrebbe essere comprendere la genealogia (in senso foucaultiano) di questo termine, per analizzarne lo sviluppo concreto, storico che sta avendo nelle pratiche politiche attuali. È un concetto che oggi – assieme al termine “beni comuni” – ha assunto un carattere “polemico” per dirla con Jacques Rancière, istituendo nel “disaccordo” del conflitto per il “diritto alla città” nuove vie inedite per l’ideale democratico.
Le città – come ha ben descritto Saskia Sassen – sono diventate il nuovo dispositivo capace di riterritorializzare la sovranità in base ai flussi dell’economia globale. L’autrice ha coniato il termine di “città globali” per indicare quei nodi urbani cruciali a definire i rapporti di potere politici ed economici che hanno ridisegnato il mondo nell’epoca della globalizzazione neoliberista. La città è oggi il luogo per eccellenza del capitalismo globale, è il luogo in cui tutto è posto al servizio dei consumi e della merce attraverso i dispositivi spettacolari ed edonistici ben descritti da Guy Debord ne “La Società dello Spettacolo”. È il luogo delle decisioni economico-politiche che supera lo scenario della sovranità statuale per come lo abbiamo conosciuto dalla nascita dello Stato moderno in poi. Non sempre è il luogo della produzione, ma è certamente il luogo dove la manodopera occupata o non occupata (e mantenuta come “esercito di riserva” per scoraggiare la richiesta di maggiori diritti) abita, spesso ai margini del benessere che offrono le merci da loro assemblate. Ma è, simultaneamente, anche il luogo di nuove opportunità (come evidenzia Max Weber fin dai primi anni del Novecento), dove dovrebbe vivere il vero progetto urbano costruito intorno alla polis, ovvero la convivenza aperta e plurale degli uomini. Oggi questo progetto sta rischiando seriamente di essere compromesso a causa del modello di città imposto dall’idea neoliberale. Un modello di città che tanti sociologi oggi concordano nel definire come “duale”, evidenziando l’estrema contrapposizione fra gli spazi addomesticati dalla globalizzazione economica e la progressiva marginalizzazione di tutti quei soggetti, istanze e stili di vita non conformi a questo disegno.
I centri urbani attraverso i processi di gentrificazione sono sempre più modellati attraverso degli standard precostituiti che l’antropologo francese Michel Agier ha chiamato “città generica”. “Generica” perché ritrovabile dappertutto, un modello di città omogeneizzato, che viene applicato sistematicamente per sottomettere i luoghi di vita alla circolazione spettacolare delle merci e dei consumi. La valorizzazione speculativa di molti spazi abbandonati o chiusi a causa della crisi economica assume proprio questa matrice: non i bisogni dei cittadini, nessuna progettazione urbanistica partecipata, ma l’imposizione di luoghi che permettono profitto economico a prescindere dalla loro utilità e sensatezza. Questi processi, come ha ben messo in luce Agostino Petrillo nel suo ultimo libro “Peripherein. Pensare diversamente la periferia”, sembrano ricordare a tratti la città vittoriana ottocentesca poiché contribuiscono da una parte all’espulsione delle classi popolari dalla zone più centrali delle città verso le periferie, dall’altra alla stigmatizzazione e marginalizzazione delle nuove povertà prodotte dal sistema stesso. In questo modo in nome della “sicurezza” si colpiscono occupanti di spazi abbandonati al degrado, migranti, poveri, senzatetto, prostitute e chiunque assuma atteggiamenti “devianti” dal benessere imposto attraverso il modello urbano neoliberale.
David Harvey nelle sue opere ha messo in luce come dagli anni ottanta le politiche di governo urbano si siano progressivamente orientate verso forme di imprenditorialismo e business avendo come unico obiettivo quello di creare condizioni favorevoli per attrarre profitti (imprese, turismo e investimenti di diverso tipo), tutto ciò a detrimento delle politiche di redistribuzione, che avevano invece caratterizzato la crescita delle città in epoca fordista. L’idea dei commons urbani si inserisce in questo contesto mettendo in evidenza i processi di spoliazione che sono insiti nelle politiche neoliberali e che riguardano la città. Harvey distingue i “beni pubblici” dai “beni comuni” tracciando una differenza fondamentale.
Nel libro Città ribelli l’autore riflette sulle ultime mobilitazioni urbane e indica nell’azione politica diretta dei movimenti sociali il nodo cruciale per l’essenza “comune” che ha come posta in gioco il “diritto alla città”: «piazza Syntagma ad Atene, piazza Tahrir al Cairo e Plaça de Catalunya a Barcellona erano semplici spazi pubblici. Sono diventate un bene collettivo urbano quando le persone le hanno occupate per esprimere le loro visioni politiche e avanzare le proprie richieste. La strada è uno spazio pubblico che, nel corso della storia, l’azione sociale ha via via trasformato in un bene comune del movimento rivoluzionario o in un luogo di sanguinosa repressione».
L’uso comune, il riutilizzo comune di uno spazio sono poste in gioco di un conflitto costante. Il concetto di “comune” è una relazione socio-politica che si attiva e nasce dentro processi emancipativi di riappropriazione collettiva, mentre il concetto di “pubblico” rimane ancora troppo ancorato ai gangli dei dispositivi statuali. È nel solco di questo lavoro “comune” che si costituisce il “diritto alla città”. La città è tale non solo per una conformazione geografica o urbanistica, ma per la costruzione comune tessuta dagli abitanti. La piazza, la strada diventano beni comuni urbani nella loro dilatazione simbolica ma anche pratica dell’azione politica comune. La piazza e la strada sono il luogo della rivolta, della presa di parola degli esclusi, ma anche il luogo della loro repressione attraverso la violenza diretta o la neutralizzazione dello spirito critico attuata dai dispositivi spettacolari e fascinatori del capitalismo.
A Pisa accade che il Municipio dei Beni Comuni è ancora vivo, anche se non ha ancora trovato una soluzione – dopo lo sgombero del 22 aprile – per il Distretto 42. Il Distretto 42 è stato concretamente chiuso, ma la polis che lo animava è viva anche se rimane dispersa fra i mille rivoli della città in cerca di uno spazio. Infatti venerdì 4 e sabato 5 luglio sarà tempo di “Back to the city”, l’iniziativa del Municipio dei Beni Comuni che porterà in piazza San Martino tutta la variopinta galassia del Distretto 42, per poter ricominciare a tessere una relazione con quartiere e con la città certo mai interrotta, ma con nuovo slancio, e sopratutto insieme. Due giorni di iniziative per ricordare alla città che il Distretto 42 è una realtà diffusa. Un programma ricchissimo che si aprirà il 4 luglio con l’Anti-degrado bici tour, una maratona a pedali che toccherà quegli spazi che in città sono ancora chiusi, oggetto di degrado e abbandono, per riaprirli nel segno di un’idea di città più giusta, nelle forme festose e colorate delle critical mass: partenza alle 17,30 da piazza Manin per seguire un percorso che toccherà quartieri e spazi “sensibili”.
Giornata di piazza invece quella del 5 luglio, quando piazza San Martino sarà riempita dalle attività di associazioni e collettivi sin dal pomeriggio. Alle 16,30 il fittissimo programma della giornata sarà inaugurato dal dibattito organizzato da Sinistra per… “Dalla Tutela volontaria al lavoro sottopagato: quali prospettive di reddito, fra precariato e volontariato?”, mentre alle 18,30 sarà la volta di Un ponte per… con l’incontro dal titolo “Emergenza Iraq: la nuova guerra in corso, l’impegno delle nostre associazioni”. Il dibattito sarà moderato da Latif al Saadi – giornalista iracheno che vive in Italia da oltre venti anni, e da Martina Pignatti Morano – Presidente di Un ponte per… associazione che dal 1991 organizza campagne contro la guerra e la violenza che hanno pervaso l’Iraq e gestisce progetti di cooperazione a sostegno della società civile e dei movimenti sociali, per la giustizia sociale e i diritti umani. Una piazza dunque che finalmente ridarà voce alle componenti sommerse di questa città e a mettere in relazione i percorsi e le lotte esistenti sul territorio. Per questo, a partire dalle ore 16, numerosi saranno i banchetti informativi che costelleranno piazza San Martino: da Fratelli dell’Uomo a Greenpeace, da Ingegneria senza Frontiere fino alla Casa della Donna, ADMI, Università Aperta Conoscenza Bene Comune, Municipio dei Beni Comuni, Progetto Rebeldia, Legambiente, Wwf, Circolo Agorà, Chicco di Senape, Distretto Economia Solidale Altro Tirreno (DESAT), Queersquilie #comemivorrei, Africa Insieme, Circolo Anarchico Libertario Vicolo del Tidi, Imago, Freedom R-Evolution (ParkourPisa).
Alle 17 partiranno le attività, numerosissime: dalla merenda biologica e locale a cura del Gruppo di Acquisto Solidale Rebeldia al laboratorio per grandi e piccini “Gioco dell’oca sui combustibili fossili” a cura di Greenpeace, dal laboratorio di riciclo a cura di Fratelli dell’uomo fino a quello dedicato alla cioccolata a cura del Chicco di Senape. Sarà allestita una mostra fotografica sul Parco di Cisanello a cura di Legambiente e WWF – Pisa, e poi SWAP Party, Tree – climbing, un punto Ciclofficina, presso il quale verranno poi distribuiti i biglietti della Ciclolotteria, Comix crossing in collaborazione con la Biblioteca Popolare Babil, mentre l’associazione Equilibri Precari allestirà una parete d’arrampicata per i più piccoli. Spazio anche a hennè e treccine e alle videoinstallazioni a cura del collettivo CinemAlt, mentre il Municipio dei Beni Comuni darà la possibilità a tutti coloro che lo vorranno possibilità di scaricare il materiale prodotto nell’ultimo anno. dall’ex Colorificio al Distretto 42. Dalle 19,30 sarà servita una cena a base di piatti tipici Senegalesi, mentre alle 20:30 partirà lo spettacolo di danza del ventre a cura della Compagnia Aradia. Alle ore 22 gran finale con il Live concert dei “Trebor Noff” (psychedelic blues), dal vinile Radio Roarr Volume 0.
Un “Back to the city”, un ritorno al futuro per la città di Pisa due giorni per incontrarsi, per affermare senza eccezioni la volontà di riaprire i cancelli dell’ex Caserma Curtatone e Montanara, per essere di nuovo spazio aperto a fronte di una chiusura che non rappresenta nessuno, che toglie la voce a quanti invece hanno ancora volontà di dire la propria. Studenti, lavoratori, migranti, donne, uomini, bambini che sono piazza e che tornano in piazza – nella piazza del quartiere San Martino – per confrontarsi con tutta la città, portando nelle strade il proprio vissuto, le proprie attività che vedono riflesso il loro diritto alla città nello spazio aperto della politica e della socialità. Due giorni non solo di socialità e di festa ma anche di discussione, e confronto, per riportare la politica – quella vissuta, praticata dal basso – al centro dell’attenzione di ciascuno. Una spazio franco in cui tutto il sommerso ritorni a galla, le vertenze e i bisogni siano al primo punto di ogni percorso, e le relazioni tra le persone, i gruppi e le associazioni riemergano per diventare più forti di prima. Tornare in piazza per essere di nuovo spazio aperto, perché i cancelli del Distretto 42 presto saranno di nuovo spalancati.
DA SEGUIRE:
4 luglio: piazza Manini (17,30) partenza “Antidegrado Bici Tour”
5 luglio: piazza San Martino (dalle 16)
Invito speciale al quartiere San Martino
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