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di Marco Boschini
Ceres è un piccolo comune montano in provincia di Torino. Qui, nell’aprile del 2014, si sparge in fretta tra i mille abitanti la notizia dell’arrivo di diciotto rifugiati richiedenti asilo, a cui ne seguiranno altri quarantadue pochi mesi dopo nella vicina Pessinetto. In paese nessuno spiaccica una parola di inglese o francese, tranne Luca e Laura, che da subito si fanno in quattro per accogliere i nuovi cittadini, dando loro qualche strumento per orientarsi. Nasce così un primo esperimento di corso di italiano per stranieri.
Poi l’intuizione. Luca lavora come lighting designer nello spettacolo, Laura è stata a lungo commerciante, ora non lavora più da dieci anni. Entrambi sono accomunati da un pensiero antirazzista che li porta ad essere in prima linea nel campo del sociale, con svariate iniziative di volontariato e di cittadinanza attiva. Un giorno iniziano a cantare qualche canzone per facilitare l’apprendimento. I canti tradizionali, antichi, hanno una matrice comune in tante parti del globo. Si spalanca così un mondo che trasforma questa esperienza di comunità in quello che è oggi: un coro.
Ora, immaginate un gruppo di dieci persone, di cui otto africani, che girano per le valli esibendosi nelle piazze e nei teatri proponendo canti popolari, prevalentemente in dialetto piemontese e franco/provenzale, oltre ad un paio di canzoni africane composte da loro. “CoroMoro” è ospite di associazioni, enti locali, pro loco, tutti i concerti sono aperti e gratuiti. Qui lo scopo non è quello di raccogliere fondi, ma curiosità ed empatia. La musica è il mezzo per riempire la distanza intrisa di paura e intolleranza in un Paese che qualcuno racconta come un luogo inospitale e chiuso. Ecco perché insistere nel raccontare storie vive, belle, che si rincorrono a migliaia come rigagnoli nascosti di un fiume in piena. Il fatto che nessuno ne parli, non significa che non esistano.
“A Ceres ci hanno invitato alla festa dell’assunta il 16 agosto… però prima abbiamo avuto successo al di fuori di qua – mi racconta Laura -, nei paesi vicini come Lanzo, Ciriè e anche Torino. A “casa nostra” facciamo un po’ più fatica, veniamo accettati, in alcuni casi con grandissimo amore”.
Dice lo scrittore Nick Hornby che “la musica ha un grande potere: ti riporta indietro nel momento stesso in cui ti porta avanti, così che provi, contemporaneamente, nostalgia e speranza”. La nostalgia di un futuro altro, la speranza di riuscire a costruirlo dal basso, con azioni concrete e lungimiranti una visuale e una visione diversi. Un coro è anche un modo per azzittire e allontanare gli schiamazzi di un’intolleranza organizzata che soffia sul fuoco di quest’estate così sfacciatamente volgare.
Laura, Luca, Musa, Moustapha, Michael, Yunus, Boto, Maurice, Aliu, Omar. Sono i loro nomi.
Ci sono storie che bisogna conoscere. Persone che vale la pena incontrare. Sono l’unico vero antidoto alla rabbia che ci circonda. “Il bello della musica è che quando ti colpisce non senti dolore”, parola di Bob Dylan.
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