“Ci hanno detto che non volevano mescolarsi con i neri. L’amore che avevo per questo Paese è scomparso”. Studenti stranieri e lavoratori migranti denunciano, delusi, discriminazioni, razzismo e maltrattamenti per chi, come tutti gli altri in fuga dalla guerra, non godeva però del “privilegio” della nazionalità ucraina. Sembrava che salire su quel treno per Leopoli fosse come salire sul Titanic, dice un ragazzo originario del Sudan. Un reportage dal valico di frontiera con la Polonia racconta l’odissea di un giorno di marzo delle persone in fuga dall’Ucraina nate lontano dall’Europa

È appena l’alba a Medyka, al confine sud-orientale tra Polonia e Ucraina, quando inizia a nevicare. Accanto al valico di frontiera, in attesa di un autobus che li porti a Przemysl, dove si trova la stazione dei treni, le decine di persone rannicchiate lungo la strada non sanno più cosa fare per scrollarsi di dosso il freddo. Potrebbero andare al supermercato, a 50 metri di distanza, ma rischierebbero di perdere il posto sul pullman. Così resistono, ancora tremando. In questo gruppo di origine eterogenea, dall’Africa all’Asia centrale, ci sono studenti e lavoratori migranti, ma quasi nessun ucraino. Persone che hanno vissuto ai margini delle tensioni politiche fino allo scoppio della guerra. E ci sono coloro per i quali fuggire dal conflitto si sta rivelando particolarmente doloroso.
Il gruppo si è andato formando nel corso delle ore, come uscito goccia a goccia da quell’imbuto che è diventato il valico di frontiera. L’ultima fermata prima della strada recintata per la Polonia è gremita di gente. Così i profughi escono, avanzano, mortificati. Una giovane donna cerca di tornare indietro, perché ha lasciato lì le valigie. “Cammina, non puoi tornare indietro, adesso il bagaglio non è importante”, le dice il militare con cui cerca di ragionare, che oscilla tra comprensione e fastidio.
Una studentessa di 25 anni di Yaoundé, in Camerun, che preferisce non dire il suo nome perché non vuole guai, descrive il clima di razzismo sopraggiunto in Ucraina , dove si trovava da cinque mesi e dove fino a una settimana fa si sentiva la ben accolta. Il viaggio verso il confine è stato un calvario, soprattutto le due notti all’aperto che ha dovuto trascorrere a un posto di blocco prima del confine dove i militari impedivano loro di passare perché gli ucraini avevano la priorità, denuncia. “Non lo capisco. È come se dessero a noi la colpa della la guerra. Sono delusa, sopraffatta, traumatizzata”.
La donna, che sta finalmente per salire su uno dei pullman, racconta episodi duri, come entrare in un ristorante per riscaldarsi ed essere subito cacciata. “Ve lo assicuro […] Ci hanno detto che non volevano mescolarsi con neri”.
Un’esperienza simile la raccontano due studenti di medicina di un piccolo paese dell’Africa meridionale che chiedono di non essere riconosciuti, perché sono pochi quelli che vanno all’estero per studiare e non vogliono che la denuncia causi loro problemi per recuperare le pratiche universitarie. Hanno lasciato la città di Ivano-Frankivsk, a 200 chilometri dal confine, venerdì pomeriggio e non sono riusciti ad attraversare fino a lunedì mattina, dopo aver trovato un ingorgo al confine. “Per avanzare di 200 metri ci sono volute tre ore”, dicono.
Hanno camminato per 25 chilometri fino a raggiungere un posto di blocco dove hanno dovuto passare due notti. All’aperto, senza cibo, senza servizi igienici, bruciando stoppie per sopportare le temperature sotto lo zero dell’inverno ucraino. “Tutto l’amore che avevo per questo paese [l’Ucraina] è scomparso. Non vorrei tornare indietro, è finita”, dice una di loro, quella che si alza da terra per parlare, perché all’altra le gambe fanno troppo male.
Secondo la sua testimonianza, che coincide con quella di più di una dozzina di persone in questo e in un altro valico di frontiera, le file al primo posto di blocco militare ucraino erano così fitte e sono durate così a lungo che le persone cadevano a terra per la stanchezza. “Un uomo ha avuto un attacco di panico ed è caduto. Sembrava fosse morto e la gente gli è passata sopra“, dice. Nel frattempo, si vedeva che gli ucraini potevano passare liberamente.
Alcuni studenti hanno affrontato le guardie, che hanno risposto con violenza. Molti di questi episodi hanno raggiunto i social network attraverso video registrati con i telefoni cellulari. Il governo nigeriano ha protestato contro il trattamento riservato dall’Ucraina ai suoi cittadini. “Sembrava che avessero scaricato la loro frustrazione su di noi; è stata una delle peggiori esperienze della mia vita”, aggiunge la donna.

Il treno per Leopoli, come il Titanic
Nel centro di accoglienza improvvisato su una nave commerciale dopo il valico di Korczowa, a circa 25 chilometri da Medyka, ha trascorso due giorni Eyad Hilal, proveniente da Kharkov, dove oggi si intensificano gli attacchi russi. Seduto su una branda, mangiando di gusto da una latta di conserve, Hilal, 26 anni, è originario del Sudan (“a casa si parla nubiano, come i faraoni”, aggiunge), racconta la sua esperienza con calma, come fosse la storia di qualcun altro.
“Il primo giorno degli attacchi, i proiettili hanno cominciato a cadere prima delle 5 del mattino e non sono cessati fino alle 22”, ricorda. Nonostante abbia esitato, perché aveva un lavoro, studia fisioterapia e aveva ambizioni per il futuro, alla fine ha deciso di andarsene. Salire sul treno per Leopoli è stata un’avventura.
“Era come il Titanic”, dice. Un uomo gli ha puntato una pistola addosso mentre stava cercando di salire nel vagone, perché lui voleva far entrare la sua famiglia, ma ha corso il rischio e si è intrufolato lungo il corridoio. Arrivato a Leopoli, ha dovuto percorrere “40 chilometri” a piedi prima di arrivare a passare due notti al freddo alle porte della frontiera, intanto vedeva la fila degli ucraini che avanzava.
“Sono tempi turbolenti, ma l’esercito e la polizia ucraini dovrebbero essere più professionali”, critica Hilal. “Meglio morire mentre si dorme per una bomba che qui per il freddo”, è arrivato a a pensare. Alcuni si sono arresi per la paura di finire congelati, ma lui ha tenuto duro e alla fine è riuscito ad attraversare. “I miei piani sono stati distrutti”, si lamenta ora, anche se il trattamento amichevole dalla parte polacca gli ha fatto “recuperare un po’ di fiducia nell’umanità”.
Hilal cercherà di contattare un cugino in Sudan, ma rimarrà sulla nave di Korczowa per un’altra notte.

Ritorno?
Il giorno successivo, il paesaggio umano è molto diverso. Di ucraini non ne sono rimasti quasi, il che sembra confermare un trattamento privilegiato per l’attraversamento, e abbondano i tratti somatici tipici della gente dell’Asia centrale. “Ratatatá”, ripete, imitando il rumore di una mitragliatrice, un giovane uzbeko per spiegare i motivi della sua fuga. Akramjon, 19 anni, e i suoi amici Otabek e Abdultijan, dicono che ci sono volute sette ore per attraversare il confine e che spera di tornare in Ucraina per finire gli studi.
Al contrario, Ala e Jalil, tunisini di 22 anni, uno studente di medicina, l’altro aspirante ad entrare nell’accademia militare di Odessa, non hanno alcuna voglia di tornare. Entrambi sono stati sorpresi dalla guerra nella città di Dnipro, nel centro del paese. “Una donna obesa ha perso i sensi, è passata un’ambulanza ma non si è fermata”, critica. I militari “ridevano”, aggiunge.
Il gruppo, in cui c’erano anche studenti siriani, ha camminato due notti e un giorno per raggiungere il confine, aiutato da vicini che hanno offerto loro del cibo, stando ben attento a evitare il possibile attacco di qualche cinghiale. Ora fanno la fila per ricevere una carta SIM con cui telefonare. Le famiglie non hanno avuto loro notizie da quando la batteria si è esaurita. Della situazione politica che ha portato alla guerra qualcuno dice che non vuol più sapere nulla. “Non mi interessa, me ne vado.”
Fonte: el diario-es
Traduzione per Comune-info: marco calabria
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