I diversi cambiamenti sociali ai quali stiamo assistendo sono sempre meno prevedibili. Il mondo non è immobile, con l’incertezza arrivano i pericoli quanto le possibilità per costruire mondi nuovi. La nuova introduzione all’edizione italiana di Discorso sull’autogoverno, il libro di Matthew Wilson che si interroga su come si possano prendere decisioni in una società non organizzata sullo Stato


Questo libro (Discorso sull’autogoverno) è stato pubblicato per la prima volta nel 2014, meno di dieci anni fa, ma in questo lasso di tempo il mondo è andato incontro a cambiamenti profondi. E continua a cambiare a ritmo sostenuto, con modalità che non si vedevano da molti anni. Alla fine della Guerra Fredda, gran parte del mondo ha seguito una traiettoria più o meno lineare, con il neoliberismo che si diffondeva inarrestabile in tutto il pianeta. I cambiamenti cui stiamo assistendo ora sembrano meno prevedibili. La nostra epoca, tristemente segnata da una pandemia che, al di là delle devastazioni nel mondo reale, costituisce anche una metafora dell’epoca in cui ci troviamo a vivere, è caratterizzata da un certo caos: è il classico «interregno» di cui parlava Gramsci, un tempo e un luogo in cui il vecchio sta (forse) morendo ma il nuovo non è ancora nato. Tutto sembra fermo, il mondo appare immobile, eppure le cose stanno andando impercettibilmente fuori controllo. L’ascesa di un populismo di estrema destra ha minacciato di trasformare gli Stati neoliberali in Stati fascisti. Perfino alcuni capitalisti sembrano preoccupati. Pur essendo il presidente del paese più potente del mondo, Trump è stato di fatto messo a tacere da due delle più potenti corporations del mondo. Con l’ascesa di Biden molti si sono rilassati, convinti che ora la democrazia è salva. Ma gli anarchici, e molti altri insieme a loro, sanno che, al massimo, il vecchio ordine mondiale ha temporaneamente ripreso il suo corso, e questo non è certo un motivo per festeggiare.
All’inizio del xxi secolo, David Graeber sosteneva che stava per andare in scena una battaglia tra capitalismo e anarchismo. Ma a dire il vero, ben più che l’anarchismo è stato piuttosto il ritorno dell’estrema destra a minacciare lo status quo. E non è solo il fascismo a riaffacciarsi sulla scena mondiale. Con una rapidità notevole, il socialismo è stato riabilitato in diversi paesi, dando o ridando vita a nuovi partiti di sinistra e a vecchi partiti di centro-sinistra in cui un rinnovato dibattito interno spinge per un ritorno alle radici socialiste. Si direbbe che il secolo anarchico profetizzato da Graeber non sia durato a lungo.
Al momento in cui scriviamo, fare previsioni di qualunque tipo, anche solo sul futuro prossimo, appare un esercizio futile. Ma questa stessa constatazione – mettere in rilievo il caos e l’incertezza – significa mettere in rilievo i tratti cruciali del nostro tempo. Con l’incertezza, arrivano i pericoli, ma anche le possibilità. Per beneficiare di queste possibilità, e per contrastare questi pericoli, gli attivisti radicali devono imparare dal loro passato e interrogare più criticamente le loro teorie e la loro pratica. Chi di recente ha sentito il richiamo della politica elettorale, del partito e dello Stato, potrebbe già dare una valutazione delle relative esperienze. In pochi anni, l’improvvisa speranza che (per molti) si era manifestata sotto forma di Podemos e Syriza, Corbyn e Sanders, si è notevolmente ridimensionata, se non del tutto estinta. Senza dubbio, è stata la consapevolezza dei limiti della lotta nello e per lo Stato che ha contribuito a rendere popolari i movimenti sociali che alla fine degli anni Novanta e oltre hanno rifiutato la politica partitica optando per un approccio più anarchico e prefigurativo al cambiamento sociale. Ma gli anarchici devono ora prendersi del tempo e chiedersi perché l’esplosione dell’attivismo di ispirazione anarchica che ha dominato in maniera così profonda il campo politico radicale intorno alla fine dello scorso secolo sembra essersi anch’essa dissolta, e perché molte delle persone coinvolte in quei movimenti si sono lasciate nuovamente invischiare dalla politica elettorale.
Nelle mutate, e mutevoli, circostanze appena descritte, questo libro potrebbe ora apparire irrilevante, o di un qualche interesse solo per lo storico. Parla di movimenti sociali che si sono disintegrati, e di discorsi e idee che non sembrano più costituire il senso comune della politica radicale, come invece era vero solo pochi anni fa. Ma è proprio questo che rende ancor oggi rilevanti gli argomenti trattati. Contro la forza dell’ottimismo acritico che pervadeva i vari movimenti sociali anarchici, sostenevo già allora che l’anarchismo era costellato di contraddizioni e problemi, e che l’enfasi posta sulla prefigurazione come strumento per il cambiamento sociale era costantemente mal applicata: non stavamo prefigurando o costruendo un altro mondo, una nuova democrazia, ma stavamo semplicemente protestando in modo un po’ diverso. Quando ho poi assistito al lento ritorno dell’energia radicale nella politica partitica, ero ovviamente rattristato, ma non sorpreso. Come sostengo qui, molto di ciò che abbiamo fatto era dichiaratamente di natura temporanea, e ha funzionato così bene e così a lungo solo perché non era destinato a durare. E di certo i miei argomenti non miravano ad accelerare quel processo: non argomentavo contro l’anarchismo, ma contro alcune delle sue ossessioni più ideologiche, e contro il modo in cui si articolavano in questi nuovi movimenti sociali.
Volevo, e voglio ancora, vedere un anarchismo che sia preparato a costruire davvero un nuovo mondo, e non semplicemente a fare una prova generale incentrata sulla protesta. Se vogliamo convincere ancora una volta la gente che l’anarchismo costituisce un’opzione politica praticabile, dobbiamo fare un passo indietro rispetto agli ultimi decenni e riconsiderare ciò che abbiamo fatto e ciò che abbiamo pensato. Dobbiamo per esempio ascoltare le voci critiche di altre parti della sinistra che spesso hanno individuato debolezze nel nostro movimento che noi siamo stati incapaci di vedere. Questo non significa, naturalmente, che dobbiamo essere d’accordo con tutte quelle critiche, ma solo che dobbiamo trovare risposte nuove e migliori alle valide questioni che hanno sollevato.
Proprio nel momento in cui ci veniva detto che le battaglie ideologiche del xx secolo erano una cosa del passato, abbiamo visto riemergere sulla scena mondiale – forse perché era stato emarginato per così tanto tempo – un anarchismo pervaso da un inusitato senso di trionfalismo. Di fronte all’evidente e completo fallimento del comunismo di Stato e del capitalismo, ci siamo forse sentiti un po’ troppo sicuri di avere tutte le risposte, un po’ troppo compiaciuti al pensiero che ci avrebbero dovuto dar retta da molto, molto tempo. Certo, è proprio così: gli anarchici hanno sempre avuto tanto da offrire. Ma non abbiamo tutte le risposte, e abbiamo sbagliato molte cose. Se vogliamo che i decenni a venire siano modellati dalle idee anarchiche, dobbiamo assicurarci che quelle idee siano le migliori possibili.
Ascoltando e leggendo
i media di questi giorni sull’affaire Cospito mi preme far riflettere seriamente sull’essenza del vero anarchismo che non può essere assolutamente violento per sua natura intrinseca. Ricordate i tempi dei finti anarchici provocatori fascisti infiltrati come Mario Merlino?
Scriveva CARLO CROSATO nel 2020 sul Manifesto:
«Gli anarchici li han sempre bastonati», cantava Guccini nel 1976, riassumendo la storia travagliata di un movimento i cui membri sono sempre stati malvisti, perseguitati, fucilati. Se per vittoria si intende l’imporsi definitivo di un obiettivo, perseguendo l’eliminazione di ogni forma di dominio, l’anarchismo ha sempre perso.
Rappresentando una sorta di coscienza critica e intransigente del vivere civile, gli anarchici hanno infastidito il quieto scorrere della storia al punto da meritare la peggior fama, sia essa dovuta a effettive esperienze controverse sia essa dovuta alla diffidenza derivante dall’ignoranza.
Va assolutamente superato il pregiudizio sul legame presunto fra anarchia, violenza e caos. L’anarchia, anzi, nell’espressione di massima coerenza, si lega all’elaborazione filosofica della nonviolenza, in un arricchimento reciproco volto a sradicare non solo il dominio istituito con la violenza, ma anche il dominio che la violenza stessa rappresenta, fosse anche transitoria e funzionale a un fine più alto. Eppure tale pregiudizio permane, a legittimare l’esclusione dell’istanza critica che l’anarchismo anima collocandosi sul margine esterno di ogni realtà istituzionale, spesso scoprendola poggiata sul puro abbandono fideistico.
L’anarchico chiede conto della coerenza tra principi e strumenti con cui essi vengono perseguiti: per questo non può accettare la contraddizione di una convivenza pacifica raggiunta e conservata mediante la coercizione, fuori e dentro lo Stato. Quella anarchica è una ricerca critica e autocritica di coerenza così pervicace da portare a una paradossale diversità di declinazioni di pensiero, prodotti di un dialogo incessante possibile proprio per l’assenza di punti insindacabili da difendere, che non sia quello della liberazione dal dominio e dalla coercizione. L’anarchico non ha un’immagine irenica dell’uomo, ma rappresenta la convivenza pacifica di liberi ed eguali come un intenso lavoro sulla realtà collettiva e individuale. Decenni di riflessione anarchica hanno saputo elaborare proposte concretissime e interessanti senza ricorrere per nulla a forme violente che caratterizzano invece frange di falsa e provocatoria identificazione con il vero pensiero anarchico che guarda caso mette invece sempre il fondamento della sua azione nell’ educazione.”
Sarà un caso che il pensiero
anarchico è stato ed è osteggiato dal fascismo, dal massimalismo comunista, dal
liberalesimo e dal capitalismo?
Una cosa è certa comunque Cospito e gli sparuti violenti nelle piazze sarebbero anarchici?”
Restando nel campo pseudo libertario è utile rammentare questa nota in Lezioni di Anarchia Edicola 518: Si rinunci all’ingenuità ma anche alla mera speranza: perché la ribellione è un fatto istintivo, mentre l’anarchia è una squisita questione progettuale.
E per chiudere ricordiamo un grande artista libertario che scrisse mentre dipingeva i suoi paesaggi sociali urbani e rurali:
« Il primo disegno rappresenta un povero vecchio filosofo che, dopo aver creduto che era giunto il momento, guarda ironicamente la grande città che dorme; vede il sole sorgere radioso e, fissandolo molto attentamente, vede scritta in lettere luminose la parola ANARCHIA; la Tour Eiffel cerca di nascondere il sole allo sguardo del filosofo, ma non è ancora abbastanza alta e abbastanza larga per celare l’astro che c’illumina.
Questo filosofo rappresenta il tempo, poiché ha una clessidra presso di sé, che sarà ben presto vuota e che egli s’accinge a rigirare per iniziare una nuova era. Vedi che è del simbolismo!…
(Pissarro)
Il fondamento dell anarchia, quella autentica è a mio avviso l’educazione, meglio se incidentale,il mutuo appoggio, l’auto organizzazione, la non violenza.