Dobbiamo smettere di guardare ai poveri come fossero degli oggetti. Stiamo rischiando di distruggere il pianeta e il futuro dell’umanità: non basterà certo distribuire le risorse in modo più equo, bisogna ripensare e ricreare l’intera organizzazione sociale. Il quotidiano messicano 24 Horas ha chiesto a John Holloway cosa pensa della Crociata nazionale che il governo ha lanciato contro la fame. Una campagna moderna, che, naturalmente, utilizza anche la rete: per ogni «mi piace» sul sito governativo, l’impresa Alpura-Nestlé dona un «cuartito» di latte per i bisognosi. Ci sono anche i gusti di vaniglia, cioccolato e fragola. La propaganda è più ricca, se a sostenerla ci sono amici facoltosi. Ma cos’è la ricchezza? Per Holloway è certamente una categoria da aprire, come molti altri concetti chiave del suo pensiero critico
intervista di Juan Luis Ramos a John Holloway
La tendenza mondiale a far crescere la povertà impone un ripensamento del modello sociale attuale a partire dalla categoria della ricchezza della gente. La prima cosa da fare, propone John Holloway, è smettere di considerare i poveri come oggetti. Considerato nell’ambito accademico come un pensatore del marxismo autonomo, Holloway è divenuto noto in tutto il mondo con la pubblicazione di «Cambiare il mondo senza prendere il potere», un libro che prospetta la possibilità di una rivoluzione attraverso le azioni quotidiane di rifiuto e organizzazione contro la società capitalista. Irlandese, trapiantato in Messico dall’inizio degli anni Novanta, Holloway ha sviluppato il suo pensiero molto da vicino al movimento zapatista. Da diversi anni, insegna all’Istituto di Scienze Sociali e Umanità della Benemerita Università Autonoma di Puebla.
Qual è la differenza tra l’essere poveri in America latina e in Europa?
La povertà è terribile in qualsiasi parte del mondo. Mi pare, comunque, che dovremmo cercare di rompere la categoria della povertà così come la conosciamo. Se pensiamo alle persone come “poveri”, poi cominciamo a vederle come oggetti. La differenza tra le privazioni in America latina e in Europa ha a che vedere con la storia stessa delle regioni e con il lascito dello sfruttamento coloniale di centinaia di anni in America. Quello che si vede oggi in Grecia, Portogallo e Spagna è però molto drammatico. La tendenza mondiale va nella direzione della crescita delle povertà, per questo dobbiamo ripensare il modello sociale attuale a partire dalla categoria della ricchezza della gente.
Come si può sviluppare questa ricchezza?
Non si tratta di fare una re-distribuzione più equa ma di ripensare e ricreare l’intera organizzazione sociale. Dobbiamo cambiare il mondo in modo da rispettare l’interazione con la terra. Se continuiamo a pensare in funzione del denaro, continueremo a seguire il cammino dell’industrializzazione finendo per distruggere il pianeta e il futuro dell’umanità. La sola via d’uscita che vedo è che la gente prenda il mondo nelle sue mani e si assuma la responsabilità. Lo stanno già facendo gruppi di resistenza in diverse parti del mondo, come gli zapatisti in Chiapas.
Cosa pensa della Crociata contro la fame?
La campagna della Segreteria dello Sviluppo Sociale (Sedesol) del governo messicano guarda alla gente come oggetto delle politiche statali. Il problema non è la povertà ma il fatto che viviamo in un sistema dove non abbiamo la possibilità di sviluppare la ricchezza delle nostre capacità e di godere di ciò che produciamo. Non credo che la Crociata abbia molte possibilità di successo. Purtroppo, ogni campagna del governo è immersa in un mondo di corruzione e nella promozione di interessi privati. Quando poi vediamo gli accordi che vengono siglati tra Sedesol e imprese come Nestlé o PepsiCo, sappiamo da quella campagna non arriverà alcuna soluzione.
Anche il governo del Brasile ha fatto accordi con le grandi multinazionali e ha ottenuto risultati.
In Brasile i governi del Partido de los Trabalhadores (Pt), come quello di Lula, sono molto compromessi con gli interessi imprenditoriali e con il rafforzamento del capitale brasiliano. Forse si può anche arrivare a ridurre la povertà ma viviamo in una situazione di gravi urgenze e, se guardiamo a quello che i governi brasiliani hanno fatto in quanto a distruzione dell’ambiente e dei movimenti sociali, è davvero difficile pensare che da lì possa venire una qualche soluzione.
Malgrado la povertà, in America latina la gente dice di sentirsi felice, come mai?
Probabilmente c’è una qualche relazione tra il successo economico e la tristezza. In un certo senso, l’economia dipende dalla disciplina della popolazione. Le grandi economie hanno una lunga tradizione che rispetta un ordine per il quale la gente lavora e non ha neanche il tempo per ridere. La crisi attuale nasce dal tentativo di imporre quella disciplina al mondo intero: non una migliore qualità della vita, si tratta realmente di lavorare senza pensare, di rispettare gli ordini, di produrre e contribuire a una crescita sempre più rapida in un mondo che, come ormai sappiamo tutti, non può continuare a crescere così. L’attuale riforma dell’educazione (in Messico) è progettata in questo senso.
Cosa pensa di quella riforma?
Cerca di imporre realmente quella disciplina per metterci al pari dello sviluppo mondiale. La riforma è pensata per creare esseri automatizzati, educati al fine di lavorare e produrre una ricchezza di cui non potranno godere. È una riforma completamente imposta dall’alto.
È ancora attuale il marxismo?
Quel che continua ad essere attuale è l’urgenza di cambiare l’organizzazione sociale perché quella che abbiamo ci sta portando al disastro. Per questo dobbiamo trasformarci in una società più ribelle contro l’imposizione del capitalismo. Qui il pensiero che si richiama a Marx ha un’opportunità perché è molto ricco di idee che possono nutrire quella ribellione.
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L’ultima grande crisi del capitale si risolse con la Seconda guerra mondiale e con il massacro di 50 miilioni di persone. John Holloway pensa che il rischio di una nuova ecatombe sia reale ma che la crisi è anche un’espressione dell’incapacità da parte del capitale di sottomettere il nostro fare alla sua logica. Possiamo aprire crepe nel tessuto della sua dominazione.
Dobbiamo lavorare più velocemente, dobbiamo fare tutto più velocemente. Soltanto così riusciremo a produrre più profitto per il capitale. Oppure possiamo dire che ci sono cose più importanti nella nostra vita, possiamo mettere una barriera alla velocità che ci impone. È questa la crisi del capitale. Il nostro rifiuto si esprime in molte forme. Non solo nelle grandi proteste ma anche nelle piccole crepe in cui cerchiamo di vivere in un altro modo. Possiamo ribellarci ma fino a quando accetteremo il dominio del denaro, il capitale proverà a riappropriarsi della nostra ribellione. Come possiamo rompere quel dominio? È questa la vera sfida della crisi del mondo contemporaneo. Non abbiamo risposte ma dobbiamo continuare a cercare (traduzione e montaggio di Paola Mele & InsOrto Rimini).
La rivoluzione dei poveri è cominciata
Jaean Robert è un architetto svizzero, migrato in Messico da quarant’anni, docente universitario di Storia delle tecnica. Amico e collaboratore di Ivan Illich ha scritto articoli e libri preziosi dedicati ai temi della critica allo sviluppo. Il più importante è «La potenza dei poveri», tradotto e edito in Italia da Jaka book (ne parliamo qui), una lunga conversazione con Majid Rahnema. Di seguito, un’intervista a Robert a proposito di povertà, crisi, cambiamento.
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