La notizia è ormai ufficiale: il campo di Choucha, in Tunisia, sarà smantellato senza che sia stata trovata una soluzione per i migranti che ancora ci vivono. Una petizione internazionale chiede che ne sia bloccato lo sgombero.
di Amisnet
La Croce Rossa tunisina e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) hanno dato l’annuncio ufficiale lo scorso 3 ottobre, mentre in Italia si celebrava la ricorrenza del naufragio di Lampedusa. Entro il 15 ottobre il campo di Choucha, in Tunisia, sarà definitivamente smantellato senza che sia stata trovata una soluzione per i profughi che ancora ci vivono.
Aperto nel 2011 a seguito della guerra in Libia contro Gheddafi, il campo di Choucha, in Tunisia, ha accolto decine di migliaia di persone in fuga, successivamente, ma solo in parte, ricollocate in paesi del nord America o nord Europa.
Gestito dall’UNHCR, il campo è stato ufficialmente chiuso nel giugno del 2013, ma ha continuato ad essere abitato da quei migranti che nonostante la fuga dalla Libia non hanno mai ottenuto il riconoscimento di rifugiato o che sono scappati “troppo tardi” per riuscire ad ottenere un visto per il nord.
Per oltre un anno Choucha, che si trova in un’area isolata e semi arida della Tunisia a 20 km circa dalla Libia, ha continuato ad essere abitata da decine di famiglie di scampati dalla guerra contro Gheddafi, in condizioni a dir poco drammatiche. Dopo la partenza dell’UNHCR sono stati infatti tagliati l’approvvigionamento di acqua, cibo e i principali servizi interni come l’infermeria.
Nonostante le numerose manifestazioni e sit-in di protesta portati avanti dai migranti in tutti questi anni il dramma di Choucha non è mai stato preso seriamente in considerazione, spingendo molti a preferire un viaggio sulle carrette del mare dirette a Lampedusa piuttosto che rimanere in Tunisia, senza garanzie.
Alcune delle persone scomparse nei naufragi del Mediterraneo provenivano proprio da Choucha. Ciò nonostante nè l’Unione Europea, nè le altre organizzazioni internazionali e tantomeno il governo tunisino – che ancora non ha approvato una legge in grado di mettere in pratica il diritto di asilo sancito dalla nuova Costituzione – sono stati in grado di offrire una soluzione ai richiedenti asilo di Choucha provenienti per lo più dall’Africa subsahariana ma anche dal Medio Oriente e da paesi come il Bangladesh.
Agli abitanti di Choucha viene oggi offerta o l’evacuazione forzata verso una città della Tunisia o il rimpatrio volontario nel proprio paese d’origine.
Nel primo caso tuttavia, non esistendo ancora in Tunisia una legge, il trasferimento verrebbe effettuato senza nessuna garanzia di asilo per i richiedenti asilo e senza uno specifico accordo tra governo tunisino e UNHCR.
Il rimpatrio si scontra invece con il netto rifiuto dei profughi di Choucha che in diversi casi sono stati costretti a fuggire dal proprio paese e che, rientrando, metterebbero a rischio la propria incolumità.
L’offerta delle organizzazioni internazionali si limiterebbe inoltre ad un rimborso delle spese di viaggio.
L’unica soluzione possibile, si legge nell’appello sottoscritto anche da AMISnet, è che i richiedenti asilo di Choucha vengano trasferiti e accolti in un paese che tuteli l’asilo. A questo link la petizione per bloccare lo sgombero del campo e chiedere l’apertura di un corridoio umanitario.
*Leggi anche l’approfondimento “Tunisia. Due anni dopo, il tempo che resta ai rifugiati di Choucha“.
*Articolo originariamente pubblicato sul sito dell’agenzia Amisnet e ripreso dall’Ossservatorio Iraq, Medioriente e Nordafrica
La foto è di Najib Abidi.
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