Prima la lettera del Consorzio dei bambini rifugiati e migranti inviata al ministro degli Interni del Regno Unito per denunciare che tre delle persone che la signora Patel voleva deportare in Ruanda, sono ragazzini non accompagnati classificati come adulti dai computer del suo ministero. Poi l’intervento della Corte europea dei diritti umani, legata non all’Unione ma al Consiglio d’Europa di cui il Regno Unito è rimasto membro, che ferma in extremis il volo verso Kigali degli altri. Niente da fare: la forsennata determinazione di Priti Patel, nata a Londra da genitori provenienti dall’India, malgrado le proteste delle autorità religiose e delle associazioni umanitarie britanniche che parlano di “vergogna”, non si ferma. Ci riproverà presto. Sul programma che prevede la deportazione in Ruanda dei richiedenti asilo arrivati in modo illegale attraverso il Canale della Manica, il governo di Boris Johnson ha investito 140 milioni di euro (solo un volo a Kigali costa mezzo milione), quindi bisogna cambiare al più presto le norme che ostacolano l’allontanamento degli intrusi a migliaia di chilometri dalle frontiere britanniche. La signora Patel sta già organizzando il volo del prossimo Boeing, perché quel programma è “moralmente responsabile” e il suo governo non può accettare che qualcuno metta in discussione “il diritto a controllare le proprie frontiere”. Che quelle persone siano state sottoposte a persecuzioni e torture non importa – le procedure britanniche per verificare le richieste di asilo impiegano fino a cinque anni – tutt’al più si farà maggiore attenzione a verificare che abbiano intrapreso lo sviluppo adolescenziale. Alessandro Ghebreigziabiher ha scritto una delle sue Storie e Notizie prima che l’intervento della Corte europea fermasse la deportazione dei minori di 14 anni, a poche ore dal decollo del Boeing, ma la sostanza mostruosa di quella scelta politica non ne viene affatto scalfita

Immaginate ciò che sta accadendo nel Regno Unito, e che non è tanto lontano da ciò che succede nel nostro paese, come una di quelle storie di fantascienza del secolo scorso, che anticipavano le follie del futuro per farci riflettere su quelle attuali.
C’è una fila, d’accordo? Una lunga coda di ragazzini, tutti sotto i quattordici anni, in accordo al racconto reale. Ragazzini che come i coetanei nel resto del mondo sono in costante cammino verso un domani che ignorano, o che vorrebbero disperatamente migliore di ieri e di sicuro non peggiore di oggi. Sotto quegli sguardi, taluni incolleriti, altri spaventati e altri ancora assenti, che è la cosa peggiore, hanno i medesimi sovrumani sogni e le stesse impossibili aspirazioni di ogni giovane nato con una sottovalutata dose di fortuna in tasca. È così, lo dico per esperienza. Il più delle volte ci vuole solo molto più tempo affinché il tenero che resta venga fuori e si faccia ammirare.
Al termine della fila, a indirizzare i nostri verso la scaletta di un gigantesco aereo che sembra un malefico drago pronto a inghiottirli nel suo ventre, vi è un automa.
Una macchina, capite? Un robot senz’anima o neppure l’illusione di averla; un essere che tale non è, privo di sentimenti ed empatia; un oggetto animato solo da un insieme di zeri e uni, per il quale l’umanità è solo una parola, un mucchio di dati, una successione di cifre da soppesare e organizzare, seguendo pedissequamente i compiti suggeriti dal programma. Ed è inutile ricordare che dietro quest’ultimo, prima o poi, ci troverai una persona in carne e ossa, perché il tempo vola e divora le nostre vite, così come quel mostro che sembra un aereo.
Nel mentre, nella scena evocata, i ragazzini, ripeto, i ragazzini vengono identificati e mandati in pasto alla famelica fiera, in procinto di sollevarsi in alto verso l’inferno.

Esagero? È come vuoi chiamarlo il Ruanda, quando non hai neppure quattordici anni e ti ci portano da solo, a migliaia di chilometri dal luogo in cui sei nato e da cui sei fuggito per sopravvivere alla morte?
A quel punto mettiamo che alcuni tra noi – mi auguro in molti – si alzino dalla poltrona o dal divano increduli.
Come? Dei minorenni? Neanche quattordici anni? Ma sono poco più che bambini… è assurdo, è sbagliato, è atroce, già.
Nondimeno la scena va avanti imperterrita, perché oramai solo un fragile schermo è ciò che ci divide da tali insane vicende.
E quand’anche fossimo in grado di far sentire la nostra voce all’addetto, sarebbe inutile, no?

L’ho detto all’inizio della fiaba: la nota frustrante è che colui che si arroga il diritto di condannare dei ragazzini a tale triste destino è un robot, il quale non è in grado di comprendere le nostre umane istanze.
Be’, quella più inaccettabile e mostruosamente criminale è che nel mondo reale, in questo preciso momento, è proprio ciò che sta facendo il governo britannico, trattando come un adulto chiunque si sia macchiato del delitto di approdare sulle coste della celebrata Regina dei record senza il presunto diritto di inginocchiarsi di fronte a lei e godere della sua benevolenza…
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