Elisabetta Cangelosi è ricercatrice in Scienze sociali e segue da tempo i temi dei beni comuni. Fa Comune insieme a noi dall’inizio e dedica una parte importante del suo tempo e dei suoi saperi in diversi movimenti. La scorsa settimana, ad esempio, era a Roma per introdurre uno dei gruppi di lavoro del seminario transnazionale Production and Common. Elisabetta vive tra Parigi e Bruxelles, città che ama perché più di altre abitate da cittadini con origini, storie, lingue diverse. Il 13 novembre era a settecento metri dal Bataclan, il 22 marzo era nella sua casa di Bruxelles, a dieci minuti dalla fermata della metro Maelbeek. Nel messaggio che ci ha inviato, tra l’altro, si legge: «Martedì sera un giornalista di Der Spiegel mi ha guardato piuttosto perplesso quando gli ho tradotto cosa avessi scritto, con un gessetto viola sull’asfalto davanti alla Bourse. Ero in buona compagnia. Le foto hanno fatto il giro del mondo. Quello che diceva il testo sull’asfalto era: “Non avrete il nostro odio…” »
di Elisabetta Cangelosi*
Martedì sera un giornalista di Der Spiegel mi ha guardato piuttosto perplesso quando gli ho tradotto cosa avessi scritto, con un gessetto viola sull’asfalto davanti alla Bourse. Ero in buona compagnia. Le foto hanno fatto il giro del mondo. Quello che diceva il testo sull’asfalto era:
“Non avrete il nostro odio, continueremo a fare un mondo più giusto”.
Ho cercato di spiegargli che sì, certo, che sono arrabbiata e scioccata, ma che non intendo cascare in questa trappola. Che Bruxelles è un posto bellissimo perché ci sono persone di tutte le “culture”, di tutte le religioni, di tutti le origini. Mi ha chiesto se non cambierà. Gli ho risposto che spero di no. Perché io ho l’ho scelta per viverci proprio per questo.
Quello che non gli ho detto è che è la seconda volta. E non sono certo l’unico caso. La seconda volta in meno di sei mesi. Ci sono tre posti che chiamo “casa”, due di questi sono Parigi e Bruxelles. Il 13 novembre ero a settecento metri dal Bataclan, chiusa in un ristorante, oggi mi passavano le ambulanze sotto casa. Maelbeek è a dieci minuti da casa.
Quello che non gli ho detto è che l’aeroporto Zaventem di Bruxelles lo conosco bene, troppo bene: non sarei riuscita a spiegargli che no, io non voglio odiare nessun gruppo sociale o etnico. Non ci sto ad alimentare l’odio. Perché è di questo odio che si nutrono le relazioni sociali costruite con ingiustizia e violenza.
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Se nel vagone della metro c’erano – e certamente c’erano – le persone che ci sono ogni giorno, quelle per cui sorrido (se fuori non è troppo grigio!) quando prendo la metro ci sono vittime di origine, religioni e lingue diverse. Ci sono vittime “bruxellesi”, quelle che rendono questa città un posto strano e un po’ speciale.
Sono scioccata, come lo ero il 13 novembre. Sono arrabbiata certo. Ma non smetterò di guardare il mondo dal basso, non smetterò di oppormi con tutta me stessa alle forme di dominio. E non smetterò neanche di prendere la metro, come non ho smesso di uscire la sera a Parigi.
Accanto alla scritta che ho fatto io, sull’asfalto di place de la Bourse, ce n’era un’altra: “Bruxelles bruxellera toujours”. Non so spiegarvela. Ma è una bella cosa…
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