di Monica Di Sisto
I problemi dell’immigrazione non sono solo dei paesi del sud ma “dell’Europa tutta”. C’è bisogno di “una nuova politica Ue per l’immigrazione legale”, e per questo l’Unione europea si doterà di “un commissario speciale per l’immigrazione che lavori insieme a tutti gli Stati membri e con i paesi terzi più interessati“.
Presentando le sue priorità politiche ai parlamentari di Strasburgo, il commissario europeo designato Jean Claude Juncker ha sicuramente impresso una svolta di immaginario alla riflessione dell’Europa sulle migrazioni, nominandola, come molti suoi predecessori da decine di anni si sono persino rifiutati di fare, ed anzi ponendola al centro delle politiche attive dell’Unione per i prossimi cinque anni. Il punto, però, è che a questa ammissione si è aggiunta comunque l’immediata affermazione, contenuta nel suo documento programmatico, che “un budget di appena 90 milioni” per Frontex, cioè per l’iniziativa di respingimento più netta di cui l’Europa si sia mai dotata, “certamente non basta” per i compiti.
Per di più, nella parte del documento in cui tratteggia la sua strategia per portare l’Europa fuori della crisi, lungi dall’immaginare un futuro più solidale e sostenibile – cioè l’unica vera strada che potrebbe portarci fuori dalla crisi di modello di convivenza democratica della comunità internazionale sul pianeta -, Junker ha elencato le solite vecchie ricette: più competizione sui mercati globali, anche se con l’obiettivo di recuperare risorse per il welfare in casa.
Come se le centinaia di migliaia di persone che mettono a rischio la propria vita per cercare un futuro diverso per se stessi e le proprie famiglie non fossero il portato primo di questa idea che si possa continuare a pensare ad un’Europa “giardino”, senza occuparci della devastazione sociale e ambientale che l’agenda coloniale prima, e quella neocoloniale racchiusa nella strategia offensiva economica Europa 2020 hanno distribuito tutto intorno a noi, ed in primis nel Mediterraneo, progressivamente deindustrializzato e depredato con questi stessi, fallimentari, obiettivi. ll numero dei profughi sbarcati sulle coste italiane dall’inizio del 2014, infatti, ha già ampiamente superato il totale degli arrivi registrati nel 2013 attestandosi a fine agosto, oltre le 100.000 unità.
La società civile del Mediterraneo (e non solo) darà vita a Lampedusa al festival Sabir dall’1 al 5 ottobre, nell’anniversario della morte di 368 migranti annegati per sfuggire alla guerra militare, ma anche economica e sociale che anche l’Europa non ha intenzione di cessare con il resto del mondo e se stessa. Lampedusa ormai è il simbolo di come l’Europa ha trattato l’immigrazione, e in generale il proprio futuro. Vorremmo che a partire da quest’anno diventasse anche il simbolo di come mettere al centro cultura, ambiente, convivenza e benessere, cioè l’unica soluzione per tutti per smettere di scappare: dalla guerra, dalle altrui scelte sbagliate, ma anche dalla nostra cattiva coscienza.
Lascia un commento