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Esplosione metropolitana

Paolo Berdini
23 Maggio 2012

I dati provvisori del censimento della popolazione di Roma e della sua provincia delineano una situazione urbanistica fuori controllo, frutto invitabile dell’assenza di un governo pubblico delle città e dei territori: l’intera provincia di Roma è stata coinvolta nella dissennata crescita urbana di Roma e ne paga i prezzi più elevati.

Cominciamo da Roma. L’Istat certifica un ulteriore lieve declino demografico della capitale che si attesta su un valore di poco superiore ai due milioni e seicento mila abitanti. Erano 50 mila in più nel precedente censimento (2.663 mila abitanti). Nonostante la gigantesca quanto immotivata offerta di questi ultimi dieci anni dovuta al piano regolatore liberista voluto dal sindaco Veltroni, la città non cresce. Segno evidente che i valori immobiliari sono così alti da essere insostenibili per la maggior parte della popolazione romana che è stata così costretta a trasferirsi nella immensa periferia metropolitana. E i numeri del disastro annunciati sono davvero impressionanti. Il litorale sud di Roma che comprende Anzio, Ardea, Nettuno e Pomezia è diventata una città di oltre 190 mila abitanti. Venti anni fa erano 120 mila. Nell’ultimo decennio la percentuale di incremento è stata del 31%. Anche il litorale nord (Ladispoli, Cerveteri fino a Civitavecchia) si avvia a diventare una grande conurbazione: oggi la sua popolazione complessiva supera i 150 mila abitanti e il dato più impressionante è quello di Cerveteri che con un aumento percentuale del 34% sul decennio 2001/2011 raggiunge le dimensioni di 35 mila abitanti. Il comprensorio del lago di Bracciano che raccoglie anche Anguillara e Trevignano ha dimensioni demografiche più modeste rispetto ai due precedenti (poco più di 50 mila abitanti), ma presenta – anche grazie alla linea ferroviaria metropolitana che lo collega velocemente con la capitale – un aumento percentuale del 30% nel decennio.

La valle del Tevere occidentale (Fiano, Capena e altri centri minori) supera ormai i 40 mila abitanti complessivi e il dato di Fiano – fortemente connesso con Roma per la presenza del casello autostradale lungo l’A1 – fa comprendere bene le dimensioni dei fenomeni in atto: in venti anni la sua popolazione è raddoppiata e oggi supera 13 mila abitanti. Sul lato opposto del fiume, la conurbazione tra Monterotondo e Mentana insieme agli altri comuni più piccoli ha una dimensione tre volte più grande in assoluto del precedente (120 mila abitanti totali) e in particolare Monterotondo raggiunge 40 mila abitanti. Anche in questo caso, potente fattore di sviluppo è stata la linea ferroviaria metropolitana che collega l’area con Roma. Analogamente fuori di ogni controllo sono i dati della grande area urbana formata da Guidonia e Tivoli: oltre 150 mila abitanti di cui 80 mila nella sola Guidonia che diventa la terza città del Lazio (dopo Latina) con un territorio pressochè privo di sevizi e con una della più alte percentuali di abusivismo d‘Italia.

Resta infine l’area dei Castelli romani, fino a pochi decenni fa cantata da poeti e pittori per la bellezza dei suoi spazi aperti. Gli attuali 360 mila abitanti hanno sconvolto la geografia dell’antico vulcano che si presenta, ad eccezione dell’area boscata centrale, come una grande conurbazione senza soluzioni di continuità.

Di fronte a questo impressionante fenomeno di esplosione metropolitana, resta da chiedersi quale sia la qualità urbana di questi nuovi centri assurti a città di medie dimensioni in due decenni e quale sia la struttura di trasporto su ferro che garantisce ai nuovi abitanti di poter arrivare senza sforzo a Roma, luogo dove sono rimasti concentrati tutti i principali luoghi di lavoro pubblico e privato. Le risposte sono entrambe preoccupanti. «Non ci sono risorse», così ci dicono ad ogni occasione. Così i piccoli centri senza alcun servizio di qualità, senza scuole superiori e senza un parco urbano degno di questo nome, sono oggi città medie di 40/50 mila abitanti ma continuano ad essere prive di servizi di qualità perché non ci sono risorse da investire. Gli abitanti espulsi da Roma sono dunque condannati a vivere in condizioni sociali peggiori di quelle della capitale.

Condizioni peggiori che sono ulteriormente aggravate dalla crisi della mobilità. Roma è perennemente paralizzata dal traffico automobilistico privato, ma in media i suoi abitanti percorrono per raggiungere il posto di lavoro una distanza media di dieci chilometri. Chi è stato espulso verso l’area metropolitana percorre anche più di cinquanta chilometri per raggiungere la città ed è – salvo rare eccezioni – costretto a farlo con la propria automobile per la mancanza di collegamenti degni di una città capitale e di un paese civile. Esistono infatti soltanto due ferrovie efficienti, quelle che collegano i comprensori di Bracciano e di Monterotondo. Tutta l’altra gigantesca area metropolitana è costretta a raggiungere Roma con l’automobile. Tre ore al giorno di media tra andata e ritorno di media gettate via per spostarsi. Una vita condannata nell’immobilità, per giunta aggravata dall’insostenibile prezzo della benzina.

Al danno di essere stati costretti a trasferirsi lontano dalla capitale si aggiunge dunque anche la beffa di vedere aggravate le proprie condizioni di vita. In termini di qualità dei luoghi urbani per l’assenza di servizi pubblici; in termini di qualità della vita per le lunghe ore gettate via nella propria automobile; in termini economici per i costi esorbitanti degli spostamenti. Questo sconvolgente risultato è stato causato dalla cancellazione di qualsiasi regola: ci hanno raccontato che lasciando mano libera all’iniziativa privata tutto sarebbe stato risolto. Era vero il contrario e oggi scopriamo il terribile imbroglio. Dobbiamo invertire la rotta e investire risorse economiche nelle città e nei sistemi di trasporto collettivi. Soltanto con la mano pubblica si creano migliori condizioni di vita e di uguaglianza tra i cittadini.

(A proposito di città da ripensare e di architettura e decrescita: suggeriamo la lettura di «La città inedita» di Serge Latouche)

Comments

  1. Michelangelo says

    23 Maggio 2012 at 09:34

    La cosa assurda sta nel fatto che il SUNIA denincia 250000 abitazioni sfitte a Roma.
    I prezzi delle case restano alti, consumiamo territorio e non facciamo un fiato per la prossima speculazione edilizia che ci sarà con la dismissione delle caserme e delle case degli ex enti previdenziali.
    Rivoluzione subito e case popolari prima.
    M!!!

    Rispondi
  2. Citta Invisible says

    23 Maggio 2012 at 11:09

    Su questi temi, Paolo Berdini (urbanista, docente all’Università di Tor Vergata e autore dei libri “La città in vendita” e “Le mani sulla città”) interviene a un incontro promosso da Italia Nostra Castelli Romani e Alternativ@Mente: giovedì 31 maggio alle 18 a Frascati (Scuderie Aldobrandini, Piazza G. Marconi).

    Rispondi

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