Anche nel più piccolo dei paesi del Centroamerica, dove migra un quarto della popolazione e 160 milionari raccolgono ancora i frutti dell’87 per cento della produzione nazionale, l’esperienza di governo della sinistra progressista, quella guidata dallo storico Frente Farabundo Martì, che aveva vinto le ultime due consultazioni presidenziali, sembra destinata al tramonto. Non ha cancellato le disuguaglianze sociali e ha seminato molta delusione. Nel voto del 3 febbraio non dovrebbe succedergli la destra tradizionale ma un candidato che esalta il suo nuovo profilo post-ideologico, piuttosto vuoto di contenuti ma capace di raccogliere l’avversità maturata verso la vecchia politica. I movimenti più vivi del pueblo rojo, in particolare quello per la difesa dell’acqua pubblica e quello per la depenalizzazione dell’aborto e contro la violenza sulle donne, restano senza rappresentanza. La loro è una battaglia politica che va combattuta in profondità e ogni giorno
di Maria Teresa Messidoro*
Mentre il mondo è mediaticamente invaso da commenti sulla situazione attuale in Venezuela ed è completamente indifferente agli ultimi assassini di dirigenti comunitari e sindacalisti in Colombia (si veda qui in Osservatorio dei diritti, o alle minacce contro esponenti del mondo femminista in Guatemala, così come denuncia il movimento Defensoras de los derechos humanos nella sua campagna “Defendamos las defensoras” , passa quasi sotto silenzio la partita che si svolgerà in El Salvador il 3 febbraio, il primo “campo” centroamericano del 2019 in cui si gioca una disputa politica importante.
Dopo le elezioni presidenziali in El Salvador, seguiranno infatti quelle a Panama in maggio, in Guatemala in giugno, mentre nel Cono Sud del continente latinoamericano il mese caldo sarà ottobre, quando si definirà il nuovo presidente di Argentina, Uruguay e Bolivia.
Ufficialmente i candidati alla presidenza sono quattro: Nayib Bukele per GANA, Gran Alianza por la Unidad Nacional, Hugo Martínez per il partito di sinistra FMLN, Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, Carlo Calleja per il partito tradizionale di destra ARENA, Alianza Republicana Nacionalista e Josué Alvarado, del partito VAMOS.
Alla presentazione dei primi tre candidati abbiamo già dedicato la prima parte delle riflessioni qui annotate.
Il quarto, Alvarado, rappresenta una formazione molto giovane nel panorama salvadoregno: infatti è stata costituita meno di un anno fa e si rivolge soprattutto ai connazionali costretti ad emigrare negli Stati Uniti o in altri paesi del mondo. Ricordiamo che il 25% della popolazione di El Salvador migra verso altri paesi, e di circa 1.600.000 emigranti (dati del 2017) il 90% ha come destinazione finale gli Stati Uniti, seguiti a grande distanza dal Canada, dove risiedono circa 51.000 salvadoregni, il 3%; da notare che l’Italia si posiziona al quinto posto, con la sua comunità di quasi 13.000 persone.
Dati e tabelle in https://datosmacro.expansion.com/demografia/migracion/emigracion/el-salvador
Inoltre, sempre secondo dati ufficiali, le rimesse dei migranti dal 2015 al 2017 sono aumentate del 10%, rappresentando nel 2017 il 18,3% del Prodotto Interno Lordo. VAMOS non intende stabilire alleanze con altre formazioni politiche, quelle di sempre, che secondo Alvarado “la maggior parte del popolo salvadoregno ormai rifiuta e non accetta come propri rappresentanti”; se ci sono dei dubbi sulla nuova formazione politica è sufficiente aggiungere che il candidato di VAMOS è un imprenditore radicato da anni negli Stati Uniti, padrone della catena “Rio Grande Food”, catena che fabbrica e commercia prodotti guanaco (cioè salvadoregni tradizionali) soprattutto negli Stati Uniti.
Nelle ultime settimane la campagna elettorale si è fatta più serrata e sono emersi alcuni punti interessanti: mentre su un canale televisivo veniva trasmesso il confronto tra tre dei candidati alla Presidenza, su un altro canale Bukele presentava il suo programma elettorale e le sue idee innovatrici; inutile dire che la Plataforma de Nuevas Ideas ha riscosso la maggior audience. Il suo Plan de gobernanza ha uno stile innovativo, rifiutando la forma attuale, che viene definita antica, burocratica, poco agile e capace soltanto di generare corruzione. Bukele propone un sistema sinergico e moderno per le prese di posizione che dovranno essere assunte dal nuovo Governo, con verifiche in tempo reale del modo di governare; i suoi contendenti, soprattutto Martínez, lo accusano di plagio, di scarsità di contenuti, etc… Ma quando Bukele fu sindaco di Nuevo Cuscatlan e di San Salvador le modernizzazioni che promise furono realizzate, per questo la gente crede in lui. Ma poi nelle urne? La chiusura della sua campagna elettorale, avvenuta sabato 26 gennaio nella Plaza Gerardo Barrios, nel centro storico di San Salvador, si è conclusa con una scena ad effetto: Bukele alza la mano, mentre migliaia di persone lo imitano e dice: “Giuriamo di votare il 3 febbraio, giuriamo di mobilitare tutti quelli che possiamo perché vadano a votare, giuriamo di non disperdere nessun voto e di difendere ciascun voto perché da ciascun voto dipende il futuro del paese”, frase seguita da uno spettacolo pirotecnico nei cieli della capitale. Ma non tutto è facile come appare: la maggior parte dei convenuti indossavano magliette azzurre, il colore del Movimento Nuevas Ideas di Bukele, ma non di GANA, il partito ufficiale che lui rappresenta nella competizione; inoltre, la piazza, piena, non era però stracolma, secondo il giornalista del quotidiano digitale Il Faro, Arysbell Arismendi.
Bukele, che a molti ricorda il francese Macron, ha centrato la propria campagna elettorale nel rifiuto della mala gestione della classe politica tradizionale del suo paese; ma le contraddizioni ci sono: in quasi quattro mesi di campagna elettorale, non si è mai concesso ad un confronto – scontro con i suoi rivali; non ha mai spiegato chiaramente le sue conversazioni con l’ex fiscal general Luis Martínez, attualmente incarcerato, né i rapporti tuttora esistenti con alcuni membri della direzione del FMLN né tantomeno quali sono gli accordi raggiunti con il partito GANA affinché questa formazione accettasse in dirittura d’arrivo la sua candidatura. Infine, non si conosce in che modo si finanzia la sua campagna elettorale, né chi comporrà , in caso di vittoria, il suo governo, presentato teoricamente come nuevo.
Uno degli ultimi sondaggi dell’università centroamericana UCA di San Salvador ci dice che GANA potrebbe ottenere il 44% dei voti, ARENA il 19,7%, l’FMLN il 10,6% e VAMOS lo 0,8%. Ma ben il 23% della popolazione, nel sondaggio di dicembre, non era ancora sicuro se andare a votare o no. Ed è anche a questa platea che si rivolge Hugo Martínez, curiosamente, una volta tanto, “unito” con ARENA, per cercare di frenare la valanga-Bukele.
Martínez, sicuramente il più preparato professionalmente e accademicamente dei quattro candidati, sconta soprattutto la cattiva gestione e la conseguente pessima immagine dell’attuale dirigenza del FMLN.
Nella chiusura della sua campagna elettorale, ha cercato di rianimare ed entusiasmare il pueblo rojo dei simpatizzanti del FMLN, coloro che credono ancora nella bontà di un partito che ha subito la peggior sconfitta elettorale dopo gli Accordi di Pace del ’92; Hugo Martínez è stato Ministro degli Esteri di un governo che cinque anni fa promise di aumentare fino al 6% del Prodotto Interno Lordo le risorse nel campo dell’educazione, di fatto però mantenendo soltanto il programma del vaso de leche (il programma che prevede la colazione gratuita nelle scuole, manovra che ha caratterizzato molti governi progressisti latinoamericani), la consegna gratuita delle uniformi e delle scarpe agli studenti, lasciando inalterata la struttura della scuola pubblica. Molto interessante è la radiografia del sistema educativo salvadoregno sempre realizzata da Il Faro, a volte ambiguo nella sua equidistanza tra diversi soggetti politici e sociali del paese, ma in questo caso completo e ricco di molti dati.
Martínez è stato anche esponente di un governo incapace di affrontare alla radice il problema delle maras, che controllano purtroppo parti significative del territorio nazionale: progetti di prevenzione e di reinserimento a lungo termine, coniugati con un superamento strutturale dei malesseri della società, non sono stati portati avanti con efficacia e coraggio, come richiesto invece a gran voce dalla società civile. Contemporaneamente, proprio nei primi giorni di gennaio di quest’anno, ARPAS (Asociación de Radios y Programas Participativos de El Salvador ) ha denunciato che mentre le autorità governative parlano dell’attuazione del Piano “El Salvador seguro”, consentono comportamenti repressivi della polizia, come è accaduto il 31 dicembre, nel Comune di Nejapa, quando tre pattuglie della Guardia Nazionale hanno fatto irruzione nel Centro de Capacitación para el Desarrollo Local (CECAP), aggredendo un gruppo di volontari di Radio Juventud, ferendone gravemente uno e danneggiando le attrezzature. La criminalizzazione dei giovani, soprattutto quelli più poveri e meno inquadrati, è grave, come lo è l’acuirsi di un atteggiamento sempre più arbitrario e violento da parte delle forze di polizia.
Il pueblo rojo è quello che in questi anni ha lottato e lotta cocciutamente contro la privatizzazione dell’acqua, come ha dimostrato ancora nell’ultima manifestazione del 26 gennaio a San Salvador. La Alianza Nacional contra la Privatización del Agua è anche l’istanza popolare che più si oppone alla creazione delle ZEE, Zonas Ecónomicas Especiales , anche in El Salvador, esperienza che dovrebbe coinvolgere 26 comuni della regione costiera orientale del paese. Nonostante le dichiarazioni dell’attuale governo di “sinistra”, questa legge rientra in un piano neoliberista più ampio, consentendo la privatizzazione di risorse naturali vitali senza nessun beneficio per le popolazioni locali, anzi, danneggiandole gravemente.
Il pueblo rojo è quello che, soprattutto nella sua componente femminista, partecipa alle lotte di un movimento che instancabilmente richiede la depenalizzazione dell’aborto, la condanna delle violenze contro le donne in un paese ancora fortemente machista. L’ultimo slogan diffuso nella rete è stato “Salvemos Imelda”; Imelda è una delle 17 donne incarcerate e condannate fino a 30 anni di reclusione per “omicidio”, cioè procurato aborto. Proprio il 17 gennaio si è diffusa la notizia che Pablo Enriquez Ayala, di 71 anni, è stato rinviato a giudizio per violenza aggravata e continuativa contro la giovane Imélda Cortez, delitto commesso per ben sette lunghi anni. Speriamo si faccia giustizia.
Vedere https://las17.org/ e
https://www.revistagatoencerrado.com/el-agresor-de-imelda-es-enviado-a-juicio/
Infine, va ricordato che come spesso si afferma quando si parla dei governi progressisti latinoamericani, anche in El Salvador, nonostante il tentativo di ridurre la povertà, che pure coinvolge ancora il 30% della popolazione locale, non si è intaccato, per incapacità o volontà, la cronica disuguaglianza sociale: secondo gli ultimi dati Oxfam, 160 milionari nel paese accumulano l’87% della produzione nazionale, essendo la loro ricchezza pari a quasi 27 volte quanto viene investito in educazione.
Che l’era dei governi progressisti sia terminata anche in El Salvador e che sia necessario un nuovo, autentico, fiero, movimento popolare anche in El Salvador?
* vicepresidente Associazione Lisangà culture in movimento
Raúl Reyes dice
Voglio trovare Maria Teresa Messidoro.