Con la visita ai lof (vedi nota in coda alla prima parte, qui la seconda) mapuche che costeggiano il lago Nahuel Huapi, si conclude il grande reportage di Raúl Zibechi dalla Patagonia argentina. In questa terza e ultima puntata, sono decisamente protagoniste le donne, a cominciare da Amancay, lonko del lof Kinxikew. Si tratta di un caso molto raro nella secolare tradizione degli indigeni che abitano questo meraviglioso territorio: la figura del lonko, un po’ portavoce e un po’ autorità politica della comunità, è infatti del tutto maschile. Alle donne con le doti adatte ad assumere un’autorità, per molti versi altrettanto importante ma molto più spirituale, la cultura mapuche ha infatti riservato il ruolo di machi. Con ogni evidenza, qualcosa sta cambiando in profondità anche tra le e i mapuche delle terre originarie. Lo conferma anche il racconto, della stessa Amancay, sulla rottura prodotta (e poi curata secondo i principi della giustizia comunitaria) nel lof in seguito all’emersione della denuncia sulla violenza sessuale domestica. Si tratta di cambiamenti lenti e profondi, dunque di cambiamenti veri, quelli che sono il risultato, come precisa Raúl, delle fatiche comuni capaci di far germogliare la vita di mondi nuovi in territori tanto difficili quanto estremi
Costeggiando l’esteso lago Nahuel Huapi raggiungiamo le comunità che si sono formate all’interno del parco nazionale omonimo. Il panorama è impressionante: sotto la cordigliera innevata appaiono boschi di cipressi verdi che si adagiano e baciano le acque trasparenti dei laghi.
Il lof Kinxikew ha creato il “Campeggio Mapuche Manke Ruka”, dimora dei condor, che occupa la riva del lago. Toki, quattro anni, figlio della lonko Amancay, ci saluta, correndo da una parte all’altra e annunciando il nostro arrivo.
Il lof ha scelto una donna come lonko, qualcosa di eccezionale nel mondo mapuche ma che, forse, annuncia i tempi nuovi che cominciano a transitare.
Bandiera alla mano, Amancay inizia una lunga spiegazione della storia della Wenufoye, la bandiera della resistenza mapuche creata in un incontro a Temuco nel 1992, sulla base di circa 500 proposte presentate. Ogni colore rappresenta le vite che popolano le diverse regioni. L’azzurro rappresenta l’acqua, ma anche l’abbondanza e la spiritualità. Il verde la natura e la terra ed è il simbolo del femminile. Il rosso è la forza ma anche la storia e memoria mapuche.
“Il disegno centrale è il kultrún, il tamburo, ma anche il sole, con il disegno circolare della nostra cosmovisione. Solo le autorità toccano il kultrún e lì appaiono il sole, la luna e le stelle”, dice Amancay, accarezzando la tela. È la bandiera che sventola nei conflitti, quella che fiammeggiava in tutto il Cile durante la rivolta del 2019, e che Amancay definisce “il nostro simbolo politico”.
Poi parla dei danni causati dal patriarcato e inizia a spiegare come le donne affrontano gli abusi da parte di uomini e familiari.
La lotta dentro la lotta
Il territorio conteso si estende per 12mila ettari all’interno dei parchi nazionali. Le autorità e i proprietari terrieri hanno intentato causa contro di loro, considerandoli “usurpatori”. Spiega che tra le comunità della zona si è creato un “cerchio di autorità” composto da sei donne e tre uomini. “Vogliamo dimostrare che abbiamo la capacità di sostenere le nostre comunità”, spiega la lonko.
Ci porta sulla riva del lago per iniziare la cerimonia dei lafkenche (gente dei laghi), dalla quale le comunità ricevono forza e potenza. “Il suono dei nostri strumenti ci permette di entrare in contatto con le forze del territorio”, continua Amancay.
All’improvviso guarda verso l’orizzonte e comincia a parlare con voce profonda di dualità e complementarità: “Il femminismo è stato un grande alleato per i nostri dolori”. Spiega che nel pieno della pandemia, due sorelle della comunità hanno denunciato lo zio, che era un lonko, per abusi sessuali.
“Quel fatto ha rotto la comunità e, per uscirne, abbiamo fatto delle riunioni nelle quali abbiamo visto che non ci sarebbe stata giustizia istituzionale perché il reato sarebbe andato in prescrizione. Abbiamo così deciso di far ricorso al sistema della giustizia mapuche e di espellerlo dal territorio, la pena più grave che esista”. Amancay pensa anche che si sia trattato di un messaggio “sottile” verso altri uomini e altre donne per dire che “non vogliamo più violenza domestica”.
È stato fatto un sondaggio e il risultato è che tutte loro avevano subito abusi da parte dei familiari. “In quel modo abbiamo iniziato a rendere giustizia alle nostre donne delle generazioni precedenti ed è iniziato così anche il mio ruolo di autorità che ordina la famiglia e la comunità”. Amancay assicura che in questo processo le donne hanno fatto crescere la propria autostima e che “gli uomini hanno capito che le donne devono camminare al loro fianco e non dietro di loro”.
Raccontare l’esperienza, condividerne il dolore, è stato un modo di guarire possibile solo grazie al sostegno di altre comunità. Nel 2021 hanno tenuto un incontro al quale hanno partecipato per tre giorni 200 donne mapuche, un momento importante per il rafforzamento del loro ruolo comunitario.
Poi Amanacay torna sul tema dell’acqua e spiega che la comunità ha deciso di costruire un campeggio mapuche “affinché la gente non entri senza il nostro permesso. Perché lo Stato pensa solo a preservare la natura ma non le comunità”. Loro lavorano in quello spazio da dieci anni ed è sempre vivo un duro contenzioso con l’istituzione dei Parchi Nazionali.
Comunità Melo
A pochi chilometri dal lof Kinxikew si prende un sentiero che sale al lof Melo, composto da una numerosa famiglia espulsa dal proprio territorio e ritornata più di dieci anni fa. Ci accoglie un gruppo numeroso, nel quale spiccano le donne Noelia, Soledad e Daniela, ma al quale partecipano anche Víctor, Millahual e il lonko Lucas.
Al centro del loft spicca una laguna artificiale. “Lo hanno fatto per coprire i resti della ruka di Marcos Melo, che fu bruciata dagli occupanti della terra nel 1966″, dice Noelia. Marcos fu trovato morto e i figli decisero di abbandonare le loro terre. La manovra dei proprietari terrieri fu così precisa e accurata che perfino i registri del lotto scomparvero dall’istituzione dei Parchi Nazionali.
“Nel 2011 abbiamo deciso di ritornare ai territori e tre membri della famiglia Melo sono venuti a recuperarli”, continua Noelia, responsabile delle donne nella Confederazione Mapuche di Neuquén.
Il lonko Lucas assicura che la Legge Territoriale di Emergenza del 2006, che sospende gli sfratti delle comunità, “non viene applicata con nessun popolo indigeno”. L’azione diretta è un percorso possibile e spesso necessario quando tutte le vie legali sono chiuse.
Dopo il giro nel lof ci conducono in una lunga passeggiata che apre un sentiero segnalato con cartelli, per accogliere i visitatori e mostrare loro gli impressionanti panorami della loro comunità. Nel percorso vediamo almeno otto rukas, abitate da altrettante famiglie, che abbinano recinti con gli animali (mucche, maiali, cavalli, pecore, capre, galline e anatre) con un’incipiente e tenace agricoltura, che li sta conducendo verso l’autonomia alimentare.
Il gigantesco monte Manke Ruka (casa dei condor) domina l’intero territorio. Abbondano le correnti d’acqua e gli alberi autoctoni, che impediscono la proliferazione di specie commerciali come il pino. Però la terra è arida e farla produrre comporta una fatica tremenda che non finisce mai. Devono pulirla, rimuovendo in particolare la cenere vulcanica che si accumula in superficie, e concimarla con letame e compost. Per fortuna stanno cominciando a farsi vedere frutta e verdura, raccolti di cui pochi lof possono vantarsi.
Il lof Melo è stato, per questo motivo e per il numero di donne intervenute, una piacevole sorpresa. Se un mondo nuovo sarà possibile, qui sarà il risultato di quello sforzo comune (minga o lavori collettivi) capace di far germogliare la vita in una terra devastata dalla mancanza di cura.
1 I tre articoli su Puelmapu sono stati possibili grazie al programma Study Abroad Argentina Social Movements and Human Right e al suo team: Ana Laura lobo, Eliana Ferradás, Griselda Vallejo, Julieta Lucero e Catalina Correa, che ringrazio per l’invito.
Versione originale in spagnolo in Desinformemonos
Traduzione per Comune-info: marco calabria
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