L’ultimo articolo di Gustavo Esteva ha suscitato accese polemiche nel paese in cui vive, il Messico. Aveva spiegato perché lo Stato, la democrazia ma soprattutto la nazione sono parole che non alludono a niente di reale ma vengono usate per manipolare, controllare e dominare la gente. Ora torna sul tema precisando che il tentativo indigeno e zapatista di ricostruzione dal basso può in effetti aprire una speranza. Quella della creazione di un nuovo progetto “nazionale” per vivere in libertà e armonia proteggendo insieme la porzione di terra ereditata e di cui si vuol prendersi cura
di Gustavo Esteva
Ha diluviato sulla mia milpa (1) elettronica. Hanno dato fastidio le mie osservazioni sulla natura fantasmagorica dello Stato, della nazione e della democrazia (vedi “La politica e la superstizione”). Quello che ha creato più risentimento in assoluto è stato ciò che ho detto della nazione; mi hanno accusato perfino di tradimento della patria.
Quindici giorni fa ho sostenuto che la nazione è una parola che non allude a niente di reale, ma che si costruisce come simbolo. Da molto tempo la si usa per manipolare, controllare e dominare la gente.
Luis Villoro è stato probabilmente il primo a mostrare come è sorta l’idea di nazione nel nostro continente. Ci ha permesso di vedere che il movimento intellettuale e politico che ha portato all’indipendenza del Messico si ispirava alle idee di Francisco Javier Clavijero. Con altri gesuiti creoli, forzati come lui all’esilio nel 1767, Clavijero scrisse una storia antica del Messico che rivendicava e esaltava le nostre radici indigene e la nostra realtà naturale, per smantellare i pregiudizi europei sulle caratteristiche di uomini, animali e piante del continente americano.[3]. Per la prima volta ci paragonò positivamente ai colonizzatori e seminò l’idea che potessimo avere una esistenza politica propria.
Morelos rifiutò di essere trattato come altezza serenissima. Preferiva essere servo della nazione, i cui sentimenti identificava nel desiderio di essere cattolica, libera e indipendente dalla Spagna.
La nostra prima Costituzione, nel 1824, raccolse questi sentimenti e mostrò bene il carattere della nazione. In questa risiede radicalmente e essenzialmente la sovranità. Per mezzo dei suoi rappresentanti, la nazione adotterà la forma di governo che più le pare. Al dar forma al nuovo Stato-nazione, questi padri della patria menzionarono una sola volta gli indigeni, che ai tempi rappresentavano i due terzi della popolazione: il Congresso poteva ‘negoziare trattati di commercio con altri paesi e con le tribù indigene’. Apparivano loro come stranieri
La Costituzione del 1857 tolse alla nazione il suo cattolicesimo intollerante, ma né questa né quella del 1917 cambiarono il carattere inafferrabile della nazione, questa vaga e immarcescibile signora e padrona di vite e proprietà, che esiste solo nelle sue incarnazioni di rappresentanti e di governi. Presso di loro mantiene discretamente la sua condizione fantasmagorica, che condivide legalmente con il popolo, il quale si trasformò nel 1857 in titolare della sovranità che questa possedeva.
Questi rappresentanti e governi in cui si incarna la nazione si occupano di cambiarle di continuo forma e figura, ricostruendola a immagine e somiglianza delle mode del giorno. Un paio di esempi possono illustrare questi mutamenti. Smise nel 1857 di essere cattolica intollerante, come alla sua nascita, ma da Salinas in poi i governanti resistono e svuotano il carattere secolare del governo e esibiscono appena possono la loro fede cattolica. Come diedero alla nazione la facoltà di costruire la proprietà privata, cedendo ai privati ciò che le appartiene, i governanti quando vogliono la spogliano perfino delle sue ricchezze più preziose, come stanno facendo oggi; affermano, nel farlo, che è per il suo bene (quello della nazione).
Diverse incarnazioni del PRI usarono il nazionalismo rivoluzionario come bandiera patriottica di dominazione fino al 1982, quando terminò l’amministrazione di chi per ultimo si è definito il presidente della Rivoluzione. Salinas cercò di sostituire questa ideologia con il liberalismo sociale, per dissimulare la transizione al neoliberalismo inaugurata da De la Madrid e che fino ad oggi definisce l’orientamento della nazione.
Negli ultimi anni della sua vita fruttuosa, Luis Villoro celebrò il fatto che gli zapatisti e i popoli indigeni stavano tentando di sottrarre ai governanti la loro appropriazione illegittima dei simboli della nazione. Lontani da ogni separatismo o da qualsiasi intento di frammentare il Paese, si proponevano di ricostruirlo dal basso.
Il personaggio che riprende la bandiera della dignità e della giustizia non ha nome, fece notare Villoro, sono i popoli indigeni, in particolare quelli che si sono ribellati nel sudest del Messico, quelli che riprendono queste bandiere e tornano a dichiarare il loro rifiuto a chi li ha dimenticati (La Jornada, 11/1/99, p. 16). Rimane la speranza che loro, insieme a un settore della società civile che è arrivato al limite della tolleranza verso la corruzione e lo sgretolamento dello Stato attuale, creeranno un nuovo progetto nazionale.
In questa prospettiva, la nazione smetterebbe di essere strumentalizzata per imporre volontà e interessi “alieni” ai messicani. Potrebbe essere simbolo di un accordo tra di loro per vivere in libertà e armonia, prendendosi cura insieme della porzione di madre terra che hanno ereditato e che vogliono curare. Non le si attribuiranno facoltà e capacità che non può avere e nessuno potrà approfittarne per delinquere. Si incarnerebbe in noi, non nei rappresentanti o nei governi.
Note
(1) In Centroamerica e in Messico, di solito, la milpa è un piccolo campo da coltivare ma spesso il concetto di milpa si estende a un costrutto socio-culturale piuttosto che semplicemente un sistema di agricoltura. Si tratta di complesse interazioni e relazioni tra agricoltori, così come distinti rapporti personali sia con le piante che con i terreni.
(2) Luis Villoro nato il 3 novembre 1922 a Barcellona, in Spagna, ma era un cittadino messicano. Era un chirurgo, maestro e dottore in filosofia presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM), con gli studi universitari presso l’Università di Parigi (Francia) e Ludwigsuniversität Monaco di Baviera (Germania).
[3] Segnaliamo La disputa del nuovo Mondo di Antonello Gerbi, Adelphi, 2000 (ndt)
Fonte: la Jornada.
Lascia un commento