Un racconto di viaggio, da Genova a Grosseto, dedicato alla ricerca di un presunto senso del limite della libertà. Ma è proprio vero che in treno – e altrove – dove comincia la tua finisce la mia? Pare che in aereo la protezione personale che garantirebbe il dispositivo più celebrato del nostro tempo non sia più efficace. Come all’Ikea. Sul Frecciarossa invece sì, ma solo fino al 30 settembre. Sui treni regionali, probabilmente, c’è altro a cui pensare. E poi anche il controllo, di tanto in tanto, ha le sue crisi di vocazione. Quando invece si scatena il sacro furore per il mancato rispetto delle regole, quasi sempre del tutto a prescindere dal buon senso che le ispira e dalla loro concreta efficacia, può accadere che si esalti anche il desiderio di ribellarsi e il gusto della provocazione naturale, cioè niente affatto artatamente cercata

Regionale Genova-Chiavari: maggioranza di persone senza mascherina, addetti al treno non se ne vedono.
Frecciarossa Chiavari-Grosseto: pochi posti vuoti, pochissime persone smascherate. Incoraggiati dal regionale, restiamo senza. Vedo, due file più in là, una coppia senza; forse anche un ragazzo, ancora oltre. Di là dal corridoio centrale (da Siena, ricostruirò faziosamente dopo) sale una famiglia: lui, lei e mammà di lui. Dopo un po’ iniziano a fare commentini ad alta voce fra loro, io li ignoro. “Eh ma le regole certa gente non le rispetta”. Io sono immersa in un romanzo di Javier Marías, Marta fa una gran figura, da tredicenne, con Franny e Zooey di Salinger, Enzo legge il manifesto che ha preso all’edicola della stazione chiarendo ad alta voce (un po’ come Woody Allen, mentre comprava le riviste porno) che ormai lo fa, di tanto in tanto, per le stesse ragioni per cui prima comprava Repubblica.
Il vano a quattro è coronato da un giovane con un volumone nientemeno che sugli eretici del 1500, che, interrogato, ci ha illustrato timidamente i suoi studi. Dunque siamo in una botte di ferro, coi senesi alle caviglie. Ignoro. Loro mormorano, insistono, alzano il tono finchè lui non non ce la fa più e mi interpella ad alta voce chiedendomi di mettere la mascherina. Ho gioco facile a rispondergli ilare che non ce l’ha nemmeno lui; era col naso di fuori e, dal nervoso, gli era caduta anche dalla bocca. Mammà lo redarguisce, lui si aggiusta e subito riprende. Io lo guardo scocciata e gli butto lì una cosa qualunque: ma chi è lei, il controllore, l’autorità sanitaria? Lui replica qualcosa e io commento ad alta voce: “Il piddino del treno”, voglio solo farlo arrabbiare. Al posto di piddino, comicamente, lui capisce (emergerà poco dopo, da un suo commento con la moglie) “il cretino del treno”. A questo punto urla in modo da farsi sentire da tutti i 60 spettatori “Lei è una cretina, una grandissima cretina!”. Ora, mi sarei arrabbiata comunque, ma davanti a Marta la cosa non era sopportabile, per cui sono passata dallo sfottò all’incazzatura vera, e con un tono molto diverso e sempre calibrato sui 60 decibel, ho iniziato con “Non si permetta, non si permetta”, finchè la moglie è intervenuta dicendo che si scusava per lui, e l’ha pregato di smettere perchè si sentiva male, che era anche incinta…ma lui ha continuato, per cui Enzo – che come sempre, a differenza mia, non ha mai alcuna voglia di intraprendere battibecchi – è passato, come in genere fa, dal silenzio all’eccesso opposto, esplicitandogli che o la piantava o gli tirava questo libro in fronte (è lì che ho apprezzato di aver già letto Domani nella battaglia pensa a me, del medesimo autore, forse più raffinato, ma di calibro ben minore, in ettogrammi intendo, dell’attuale lettura: 460 pagine). Marta penso abbia sofferto di tutta la vicenda, ma questo particolare del libro in fronte, con mia sorpresa invece l’ha divertita (lo dirà quando ritroverà la favella, una volta scesa dal treno).
“Ah si?” fa il piddino/cretino “lanci, lanci, che io chiamo il controllore”. Aveva già minacciato di chiamarlo, non ricordo esattamente in che fase bellica, insomma a un certo punto si fa mezzo treno a piedi per cercare il controllore, che di malavoglia arriva (“Eh ma se i controllori fanno finta di niente, allora dobbiamo fare qualcosa noi“, aveva risposto alla mammà che aveva avuto un breve momento di debacle al mio “Non si permetta”, e gli aveva mormorato che “non era il loro ruolo” far Rispettare le Regole). Insomma arriva questo controllore, ed in pochi istanti si capisce da che parte sta: è gentilissimo, chiede per cortesia di indossare, etc. Io rispondo che il signore ci ha aggredito e vogliamo cambiare di posto perché ci è sgradevole continuare con le loro continue provocazioni. Lui lesto e sorridente tira fuori il tablet e dice pure “volentieri, se posso venire incontro, io….guardate ci sono due posti proprio nel vagone dopo, il 16 e 17”. Praticamente un golpe, i senesi sono ammutoliti, ma poi nella concitazione non ricordo bene cosa è successo, da che sembrava risolta, la faccenda si rilancia con l’arrivo di un secondo controllore, alto, massiccio e dalla parte dei senesi.
Pochi istanti prima, però, guarda il caso alle volte, avevo tirato giù dal portabagagli il sacchetto coi panini. “Marta, guarda, è proprio ora di mangiare” le ho detto allora; Enzo ha colto subito ed è stato preso da gran fame, mentre Marta con la bocca contratta ha deciso di mettersi la mascherina dicendo “non ho fame” (e come avrei potuto dirle di non farlo, quando abbiamo accettato che la metta a scuola, per 6 ore al giorno?). Insomma avevo addentato il primo morso che sento arrivare da dietro una voce petulante (un silente passeggero che mi sedeva alle spalle) che spiega ad un nuovo controllore che la signora si rifiuta di Rispettare le Regole.
“Sto mangiando” asserisco oggettivamente al nuovo controllore, che si piazza nei pressi, in agguato. Il panino di per sé è uno sfilatino lungo, e non mi prendo neanche la briga di farlo durare di più.

La mammà, mi accorgo, mi guarda con sguardo severo, mutola, cercando di farmi abbassare gli occhi: così deve essere abituata che fan tutti, sicuramente il marito, sicuramente il figlio, forse anche la nuora alla quale erano spuntate le lacrime agli occhi dopo le scuse “da parte del marito”, e si era sentita dire dalla suocera “piantala, sembri una bambina”. Ma io non sono né il marito né il figlio, sono nata senza il muscolo per abbassare lo sguardo, e lascio che le cose vadano come so che andranno. Sono rimasta colpita, è la cosa che mi ha colpito di più di tutta questa vicenda che durerà ancora un’ora, di quanto poco abbia saputo reggere lo sguardo della sua presunta vittima. Direi meno di mezzo minuto, nonostante abbia lottato visibilmente con tutta se stessa per non cedere: ha iniziato a sudare, ha quasi avuto un malore prima di abbassare gli occhi e poi mai più alzarli per il breve resto del viaggio in comune.
Restava però il controllore2, che tornato a metà panino mi dice che non devo farlo durare mezz’ora (in malafede: non ero lenta). “Guardi, ho iniziato da cinque minuti gli replico”; “Sì, ma poi mette la mascherina” ordina. Io indico il sacchetto con le albicocche. “Posso mangiare le albicocche, dopo?” gli chiedo a sfottò. “Sì” schiuma lui “ma dopo mette la mascherina”. “Ma sa che è dal tempo dell’asilo che non mi capita di chiedere il permesso di mangiare le albicocche?” osservo. “Eh, purtroppo è così” chiosa lui dandosi un’aria seria per poi scomparire in pochi secondi.
Ovviamente a ‘sto punto mangio pure, senza nessuna voglia, anche l’uovo sodo, che va pulito dal guscio pezzettino a pezzettino, poi due o tre albicocche, di mettere la mascherina a ‘sto punto ovviamente non se ne parla, mi alzo senza, insieme ad Enzo e prendiamo i bagagli, lasciando lì Marta. “Se ti danno fastidio dimmelo eh”, lei livida fa finta di non sentire, è incazzata con tutti, e tiene con convinzione la mascherina.
Per qualche fortuna, il controllore che ci segue è il n1. Mi raggiunge nel vano fra il vagone ed il successivo, Enzo è già avanti, quindi ci siamo solo io, lui e un ragazzo massiccio sulla 30ina, seduto per terra a leggere. Il controllore gentile, sudato, mi prega come forma di favore personale di mettere la mascherina. Io gli chiedo qual è la prossima fermata (l’altoparlante ogni mezz’ora recitava che chi non la mette verrà accompagnato dalla polizia ferroviaria alla fermata successiva). Campiglia. Non mi sta abbastanza a cuore la questione da scendere prima di Grosseto. “Guardi” quasi piange lui, “ad ogni viaggio è così, io non ce la faccio più, la sera quando arrivo a casa stramazzo, è un inferno”. “Ah si?” faccio io “mi fa piacere, se ad ogni viaggio è così vuol dire che gli italiani non sono ancora tutti rincoglioniti. Sul regionale non ce l’aveva quasi nessuno”. Non può non sapere che i treni strapieni di lavoratori e ragazzi hanno contato così tante zuffe con i controllori per via dell’inutile obbligo, che loro hanno rinunciato a pretenderle. Finge di non sapere, continua a pregarmi, non sa più che mezzi usare, è visibilmente stremato ma sottolinea che “lui non è un autoritario, deve far convivere tutti i passeggeri del treno”. Mi chiede cosa mi costa metterla, gli rispondo che è una questione di dignità, non si rispetta un obbligo arbitrario, vessatorio e palesemente inefficace. “Se per lei è una questione di dignità, guardi, le pago io un panino e può stare nel vagone ristorante fino a Grosseto”.
Questa non me l’aspettavo, e cambia le carte in tavola. Figuriamoci se accetto che paghi per me un lavoratore…Lo guardo spiazzata (e mentre lo guardo meglio, mi accorgo a chi assomiglia: ha proprio il fisico, la fisionomia e l’aria incerta del ministro Speranza…quel tipo di uomo lì, ma senza il ruolo da ministro…me lo figuro, come descrive lui, stramazzato in salotto al rientro a casa, davanti alla moglie e i figli). Decido allora di venirgli incontro a mia volta: infilo la mascherina. Non senza dirgli, stavolta, che mestiere faccio e che formazione ho. A quel punto lui è incuriosito, mi fa un sacco di domande e ascolta con attenzione tutta la spiegazione tecnica sul perché e il percome funzionano oppure no nel fermare il temibile virus.
“Ma allora se è così perchè insistono tanto a farcela mettere?” chiede, non so se sinceramente o retoricamente. Ho pescato una risposta semplice, che potesse condividere. “Perchè così la gente si accapiglia sulla mascherina sì o no, il nemico diventa il collega, il vicino di posto, e non con chi toglie posti letto agli ospedali, depotenzia i medici di base, decide terapie e strategie coi risultati che abbiamo visto”. Su questo lui passa dalla mia parte, tace ma si vede quello che pensa.

“Scusate”, a questo punto interviene il lettore 30enne “ascolto dall’inizio, scusate se intervengo ma tutto questo per me è molto più interessante del libro (Isabel Allende, per la cronaca). “sono greco, e seguo bene quello che succede nel vostro paese”. Inizia a farmi lodi sperticate e un po’ pompose, parla un italiano perfetto ma con qualcosa di letterario e antiquato. “Si vede che lei è una persona di cultura, avrà una laurea anzi se indovino anche un dottorato, sono d’accordo con lei su tutta la linea, tranne che su una cosa”. Noi taciamo, è diventata una commedia dove parlano altri personaggi.
“Il signore ha usato un termine preciso, ha detto io indosso una divisa, non ha detto un’uniforme” (caspita, penso io, questo greco, e non indovino dove andrà a finire) “Divisa è un termine esatto, si chiama divisa perchè divide. Divide lui dal resto dei passeggeri, e quindi tutte le ragioni che lei può avere, tutto questo dialogo interessante, è completamente inutile, perchè i vostri mondi non si possono incontrare“. Io sono molto interessata, questa nota sul termine divisa anzichè uniforme mi ha conquistato. “Trovo sbagliato lei perda così tanto tempo a discutere con un capotreno (già, perchè lui era poi il capotreno, e il controllore2 un semplice controllore). “E cosa bisognerebbe invece fare?” pendo ormai dalla sue labbra.
“Bisognerebbe che le persone di scienza formino dei gruppi di pressione, di informazione” (sono già un po’ delusa che l’etimologo, neanche lui, quindi, ha la soluzione della questione).
“Eh questo già c’è, ne faccio anche parte” gli dico mestamente.
“Ma soprattutto” continua “bisogna chiedere la testa del ministro della sanità” e aggiunge, precisando ironico ad uso del capotreno “dico in senso figurato, ovviamente. Bisogna almeno interdirlo dai pubblici uffici”.
Lo lascio finire un po’ delusa, gli replico “guardi non sono d’accordo, il problema non è il ministro, è che l’80% delle persone del nostro paese è come loro” ed indico i senesi. “Ah no! “esclamano all’unisono “Non sono tutti talebani!” fa il capotreno. “Saranno il 10/15%” stima il greco. “Eh dici poco, il 15% di talebani” mormoro io.
Non ricordo quante e quali tante altre cose ci siamo detti, alla fine ero stremata come il capotreno quando torna a casa, dico che vado a sedermi, raggiungo Enzo che sta finendo in pace il suo manifesto senza che il capotreno si faccia più vedere.
Pochi minuti prima di Grosseto ecco che arriva occhiuto il controllore2. Ma è troppo tardi, corro a recuperare Marta passandogli vicino, senza mascherina e senza che lui ormai possa farci niente (forse pensava scendessimo a Roma). Amen.
storie di ordinaria follia.
Recentemente ho appreso di batteri neutri che si polarizzano di volta in volta, attratti dai benèfici o dagli opposti. Forse è il caso di sedurre queste povere persone piuttosto che dar loro quella ragione di vita nel voler limitare la libertà degli altri che non hanno nell’esercitare la propria. O, che è la stessa cosa, (visto che ti piace Marìas), stuzzicarli con l’idea di chi avrebbero potuto essere, non ora e non qui.
Spero, signora, di non doverla mai incontrare nella mia vita. Non amo le persone facinorose e tantomeno quelle che non pensano al bene comune. Mi spiace non seguire più ComuneInfo ma questo suo racconto è ciò che fa traboccare il vaso colmo di una serie di posizioni prese da redattori e redattrici alle quali ho risposto con miei commenti in sano e rispettoso contradditorio. La pubblicazione di un racconto delirante ed egoista come il suo però mi chiarisce che proprio non riesco a condividere le posizioni promosse o ospitate da ComuneInfo. Lei è semplicemente una maleducata prepotente. Che importa se ha cominciato quell’altro?
Gentile Marina, nell’assoluto rispetto delle sue opinioni, spiace anche a noi e davvero che il suo vaso sia traboccato e non voglia seguire più Comune. Peccato. D’altra parte – sulla base di quel che scrive e di tante invidiabili certezze su quel che possa essere utile al bene comune, su cosa siano la maleducazione e la prepotenza, così come l’egoismo e il delirio, e infine su chi sia facinoroso e chi no, ci rendiamo conto che abbiamo davvero abusato della sua pazienza. Anzi, complimenti per la capienza del vaso, e i migliori auguri per una buona vita e letture serene
Se può consolarla inizierò a segure questa pagina per gli stessi motivi per cui lei la lascia. E la presenza di una persona in meno (di quelle come lei) mi sembra un ottimo iniziò.
Ci faccia un favore, segua le regole e ci risparmi interventi come questo perfettamente inutili ed inconcludenti. Aggiunga valore, non ne tolga alla collettività – se capisce la differenza.
Grazie da parte di molti (diligenti maschera-muniti-sempre), di questo ne sono sicuro.
PS non perda tempo a rispondere.
Diligenti maschera muniti sempre. Ottima definizione. Complimenti alla sua ironia, se il suo commento era ironico. Se non lo era, si faccia coraggio. La consapevolezza a volte si raggiunge con percorsi tortuosi.
Sono reduce dalla tre giorni sulla decrescita presso IUAV Venezia. A inizio lavori dal tavolo relatori parte l’invito ad indossare la mascherina in ottemperanza alle regole universitarie. TUTTI i partecipanti pur non essendo universitari o dipendenti la indossano seduta stante… occorre aggiungere altro?
Chissà che giudizi severi riserverà questa famiglia senese per la grande distribuzione organizzata, le grandi catene del fai da te, dell’arredamento, dell’abbigliamento piuttosto che i grandi eventi sportivi, culturali o religiosi, tutti luoghi privi di obbligo di dispositivi di protezione individuale? Veri concentrati di cinismo e incoscienza, tutti sprezzanti dei beni collettivi o inguaribili ottimisti in overdose da fiducia nel futuro? Chissà poi quali interessanti opinioni riserveranno sui grandi inquinatori dell’aria (probabilmente erano in treno per scelta politica nel preferire il mezzo di trasporto pubblico collettivo per definizione piuttosto che le quattro ruote di un egoistico mezzo privato inquinante). Roba, a confronto, da far impallidire gli improvvisati compagni di viaggio disertori: dei veri dilettanti della trasgressione!
E miettete ‘a mascherina, ‘ a mascherina, ‘a mascherina gnornò, gnornò. Si ripete due volte. Sull’aria della nota canzuncella napoletana. E levate ‘a mascherina, ‘a mascherina, gnornò, gnornò. Si ripete, come sopra. E questa è la canzuncella. La verità è che faccio l’insegnante, da trent’anni. Il primo giorno di scuola, quelli di seconda media, “Buongiorno, chi siete?” Non ho mai imparato i loro nomi, in un anno. Le maschere coprivano i volti. Ho imparato i nomi di quelli di prima, 25 per classe, il primo giorno. Indovinate perchè. Saluti. Teodoro Margarita