A fine gennaio si chiudono le iscrizioni alle scuole, ma il tema delle classi ghetto nessun ministro ha il coraggio di affrontarlo. «Responsabili di questa palese ingiustizia sono i dirigenti scolastici delle scuole coinvolte – scrive Franco Lorenzoni -, ma sappiamo bene che tale pratica profondamente immorale e antidemocratica è attuata per la pressione di alcuni genitori e con la complicità degli insegnanti interessati a lavorare con ragazzi “scelti”…»

Tra i dati che l’Invalsi restituisce alle scuole, ce ne è uno relativo alla composizione delle classi. Normalmente le classi di una stessa scuola dovrebbero essere simili, cioè avere al proprio interno alunni più ricchi e alunni più poveri, alunni più preparati e alunni meno; ma questo in molte scuole, soprattutto al sud, non avviene. I dati Invalsi dicono che la variabilità tra le classi, che normalmente dovrebbe aggirarsi intorno al 5-6 % (perché non è comunque possibile formare classi perfettamente equivalenti) in Italia è più del doppio, intorno al 14%, e al Sud tocca addirittura il 27%, vale a dire più del quadruplo del valore fisiologico.
In poche parole, nella composizione delle classi si realizza una vera e propria segregazione, per cui molti alunni sono raggruppati per condizioni socio-economiche simili. Tutto ciò non lo rivela un’indagine militante condotta dal basso, come al tempo di Lettera a una professoressa. È la fotografia di un dettaglio rilevante della nostra scuola, che ci consegna una lettura attenta dei dati raccolti da un Ente di ricerca preposto alla valutazione del sistema scolastico, che fornisce dati anche al ministero che lei guida. Responsabili di questa palese ingiustizia sono i dirigenti scolastici delle scuole coinvolte, ma sappiamo bene che tale pratica profondamente immorale e antidemocratica è attuata per la pressione di alcuni genitori e con la complicità degli insegnanti interessati a lavorare con ragazzi “scelti”.
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Molte delle scuole che operano in tal senso si trovano al sud o nelle periferie delle grandi città, dove più acuti sono i problemi sociali, come attestano i dati raccolti dall’Invalsi: sarebbe importante che fossero pubblicizzati e diffusi. Si tratta, come è evidente, di una palese violazione dell’articolo 3 della nostra Costituzione, laddove è detto che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Si promuovono molti progetti per portare la Costituzione nella scuola. Qui si tratta di riportare una parte significativa della scuola nella Costituzione.
Da anni viene rilevato quanto in Italia, a differenza di altri paesi europei, sia bloccato l’ascensore sociale che permetta un ricambio e un rimescolamento tra gli strati sociali, a partire dall’accesso a una istruzione di qualità. Nell’impressionante estensione di questa ingiustizia conclamata c’è qualcosa di peggio. Non solo l’ascensore per molti è bloccato al piano terra, ma i più poveri, deprivati ed emarginati per diverse ragioni, sono invitati a scendere direttamente in cantina e a non muoversi da lì.
La scuola italiana ha fatto molto in questi decenni per l’inclusione dei ragazzi portatori di disabilità, per l’integrazione dei tanti figli del disagio e dei numerosi figli di immigrati. Moltissime sono le insegnanti e gli insegnanti e numerose le e i dirigenti scolastici che ogni giorno si spendono con dedizione per dare le migliori opportunità a tutti. Proprio per questo, per dare spazio e respiro a chi nella scuola ci crede, invitai cinque anni fa la ministra Valeria Fedeli a prendere provvedimenti in una lettera aperta pubblicata da “Repubblica” e ho invitato ogni successivo ministro a interrompere, con circolari drastiche e controlli efficaci, questa odiosa discriminazione, troppe volte assecondata e taciuta. La ministra Fedeli rispose a quella richiesta promettendo di prendere provvedimenti mai attuati e finora nessun ministro, compreso Patrizio Bianchi, ha avuto il coraggio di prendere di petto la questione.
Sappiamo bene che lavorare in classi disomogenee è una sfida educativa difficile, che comporta impegno, dedizione e continua formazione da parte di noi insegnanti. Ma è esattamente questo il compito dell’educare oggi: far sì che le diversità non si trasformino in discriminazioni. Se la scuola non è un po’ meglio della società che le sta intorno, cosa ci sta a fare?
È un piccolo ma rilevante gesto di coerenza ciò che è necessario chiedere a chi ha responsabilità dirigenziali a livello ministeriale e a livello locale, a cui credo vada data la giusta attenzione. Tutte e tutti noi che crediamo nell’educazione come luogo e strumento di democrazia dobbiamo vigilare e agire con convinzione e coerenza per contrastare ogni intollerabile forma di discriminazione nella nostra scuola.
Sono ampiamente d’accordo con Franco Lorenzoni. Questa pratica è diffusa, seppur in misura minore, anche al nord. Tra l’altro il dato invalsi citato è uno dei pochi utili forniti da tale ente. Per il resto le prove standardizzate invalsi sono quanto di più lontano dal modello di scuola della costituzione a cui dovremmo riferirci. I motivi sono innumerevoli e ormai ampiamente discussi.
Si in effetti è una lettura che si avvicina a situazioni reali anche se non può essere generalizzata , però Lorenzoni sa leggere bene i dati e non dubito sulla interpretazione di classe anche perchè la scuola italiana con l’avvento dell’infausta c.d. “buona scuola” ha messo in evidenza il sistema di classe dell’impianto scolastico ,non a caso esistono pure le classi pollaio .Sull’inclusione scolastistica ci sarebbe un capitolo a sè da scrivere e la brutta questione degli insegnanti di sostegno basta per raccontare la realtà , ho solo un appunto , eliminare portatori di disabilità e scrivere alunni, studenti con disabilità , nessuno devide di portare la disabilità