A quindici anni di distanza dall’enorme entusiasmo ma dall’eccessiva responsabilità “politica” che lo vide nascere, nel 2001 a Porto Alegre, il Forum Sociale Mondiale s’è affacciato nel Nord del mondo. In Canada, com’è spesso accaduto anche in passato, s’è aperto tra le polemiche, soprattutto per la prevedibile ma nefasta chiusura sui visti del governo ospite e per le difficoltà logistiche (e finanziarie) che, forse più del solito, hanno ostacolato e impedito la partecipazione ai meno facoltosi. Molte le novità di un percorso che dovrebbe essersi finalmente liberato – oltre che degli sponsor – di quella pesante zavorra da “vertice dei movimenti del pianeta” che francamente appariva ridicola fin dalla seconda edizione. Il Fsm è cambiato tante volte e assai profondamente. Oggi è forse a un nuovo momento di svolta. Ha avuto edizioni interessanti e altre molto meno, resta un meeting utile che sviluppa dinamiche nuove e presenta, per fortuna anche dal punto di vista anagrafico, nuovi protagonisti. Il punto di vista di una nostra inviata
di Elisabetta Cangelosi
Si conclude oggi, domenica 14 Agosto, il Forum Social Mondiale di Montreal, un forum diverso dal solito, con alcuni elementi controversi ma con moltissime caratteristiche interessanti. Il Forum di Montreal è soprattutto il primo Forum Sociale Mondiale che si svolge nel Nord del mondo, con tutta la serie di problematiche, logistiche e politiche che questo comporta. La più eclatante e discussa delle quali è stata quella dei visti: centinaia di partecipanti non sono riusciti ad ottenere il visto necessario per entrare in Canada. Una situazione denunciata da intellettuali quali Aminata Traoré (fra coloro a cui il visto è stato negato), da una petizione on-line sottoscritta da numerose organizzazioni da una manifestazione venerdì mattina (oltre alla presenza di sagome di cartone dei partecipanti cui è stato negato il visto durante la manifestazione d’apertura). Al di là dell’ovvia riflessione politica contro visti e frontiere non c’era, ahimè, da stupirsi che la questione sarebbe stata particolarmente complessa in un paese come il Canada.
Logistica a parte, il Forum Sociale di Montreal è stato diverso dagli altri per aspetti ben più interessanti: un forum senza sponsor (un processo, quello di allontanamento dagli sponsor “tradizionali” dei Social Forum che era cominciato a Tunisi 2015), un forum senza fondo di solidarietà (questa è davvero la prima volta) e quindi fondato sull’autofinanziamento (c’era anche una piattaforma di crowfunding) e sulla contribuzione volontaria, un forum con un numero altissimo di volontari (più di 700), un forum proposto e costruito da movimenti diversi dai tradizionali promotori dei forum, con una metodologia aperta e partecipativa.
Se questo ha creato qualche malcontento e qualche difficoltà logistica, è stato ampiamente compensato dall’entusiasmo delle organizzazioni locali coinvolte e dalla partecipazione alle attività autogestite.
Un esempio? Le assemblee conclusive di sabato sono state progettate con una forma molto partecipativa, più orientata allo scambio che alla creazione di documenti strategici.
Anche gli argomenti, nonostante gli assi tematici non fossero poi così diversi da quelli dei forum precedenti, presentavano qualche elemento di interessante novità, coerente con le caratteristiche peculiari del Forum. Oltre alle tradizionalmente forti tematiche ambientali, e alla loro connessione con la questione dei popoli indigeni, forte è stata la presenza economia sociale e solidale (tanto canadese quanto del resto del mondo) e ampio spazio è stato dedicato beni comuni (tanto all’interno del forum quanto in uno spazio dedicato e autogestito). La questione dei diritti delle donne e del loro ruolo nei movimenti sociali e quella dei migranti hanno anch’esse rivestito una notevole importanza. Naturalmente presenti, visto il contesto, le campagne contro TTIP e CETA e la riflessione sui movimenti politici come quelli di Bernie Sanders. Inoltre numerose sono state le sessioni dedicate a questioni locali, dai sindacati alle lotte delle Premieres Nations.
Fra le grandes conferenze, organizzate anche allo scopo di attirare attenzione mediatica con grandi nomi (per esempio Naomi Klein) senza però togliere spazio a attività autogestite e assemblee di convergenza, emozionante e insieme ispirante, almeno per me, quella che ha visto intervenire donne attiviste di Africa, Asia e America Latina, fra cui Berta Isabel Zúniga Caceres, figlia della militante assassinata in Honduras.
Da un punto di vista prospettico il forum di Montreal rappresenta un momento di passaggio: la crisi del nord del mondo, con le conseguenti politiche di austerità, l’emergenza delle destre estremiste e la problematiche legate ai migranti, è ormai a pieno titolo parte integrante del Forum Sociale Mondiale. A portare avanti queste tematiche è spesso una generazione diversa da quella dei forum precedenti, con metodologie e approcci in qualche modo inconsueti. Di fatto, con il forum di Montreal, l’approccio Occupy (o Nuit Débout) si costruisce uno spazio dentro le dinamiche del forum: se nel 2013, a Tunisi, a due anni dal movimento 15M e Occupy, queste piattaforme si erano presentate come “non integrate” autorganizzandosi nello spazio “Occupy FSM” in polemica col Forum stesso, adesso ne diventano di fatto promotori (molti di quelli implicati nell’organizzazione del forum provengono dall’esperienza del “Printemps erable”, sorta subito le primavere arabe). L’interazione fra modalità e visioni diverse fa sì che gran parte del forum sia stata caratterizzata da scambio di conoscenze e competenze fra attori diversi.
A voler riflettere ulteriormente in prospettiva, la questione si presenta complessa: da una parte bisognerà trovare (finalmente!) un modo per integrare forme, modalità e contenuti diversi, fra “vecchi” e “nuovi” movimenti sociali e politici; d’altra parte bisognerà rinforzare, o riannodare, le lotte fra il sud e il nord del mondo.
Una riflessione ancor più articolata riguarda le questioni generazionali: fra la “vecchia guardia” dei forum sociali, che in qualche modo porta la memoria sociale e politica dei movimenti, e giovani universitari che cercano di costruire forme alternative e che, al tempo stesso, sono curiosi di imparare da altre pratiche e esperienze politiche, si colloca una generazione intermedia (sempre la stessa, quella che in Italia è la “generazione Genova”!) colpita dalla crisi economica e incastrata in dinamiche di diritti negati, tanto in Europa e Nord America quanto negli altri continenti. Una generazione che conosce e pratica entrambi i linguaggi (metodologici e politici), una generazione che è per sua natura internazionalista e reticolare, e che potrebbe facilitare la risposta alle questioni che questo Forum Sociale apre (o piuttosto di cui questo Forum prende atto). Tuttavia, la sfida per questa generazione (la mia) che era ben presente a questo forum anche se forse in maniera poco evidente è quella di non farsi schiacciare fra le due anime di questo Forum e, d’altra parte, di non farsi “distrarre” dagli effetti della crisi sulle nostre vite (abbandonando gli spazi politici o concentrandosi “unicamente” sulle lotte locali).
Qualunque siano le prossime tappe dell’avvenire del Forum Sociale, si stanno aprendo dinamiche nuove. Quello che abbiamo imparato dai nostri “genitori” e quello che stiamo costruendo costruito con (e imparato da) i nostri “fratelli e sorelle minori” è il momento di metterlo al servizio di queste nuove sfide: non sappiamo, ancora, quale è la direzione esatta, ma, come abbiamo imparato, “no hay camino, se hace camino al andar!”.
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