Nora Leccese negli ultimi due mesi ha visitato molte imprese recuperate agentine. Nonostante l’economia nazionale sia poco affidabile, dice Nora, “è incredibile che le imprese diventate di proprietà dei lavoratori stiano fiorendo da tutte le parti”. Certo si tratta di un movimento non privo di contaddizioni, perché tenta di costruire qualcosa di nuovo “ma all’interno della struttura ormai rotta del capitalismo globalizzato”. Così, ad esempio, nella fabbrica recuperata dalla cooperativa SG, a due passi da Buenos Aires, puoi trovare accanto a un enorme mural di una donna zapatista la foto di Cristina Fernandez de Kirchner, la signora dell’Argentina, attuale presidente, che in questi anni fa finto di appoggiare queste imprese. In realtà, il movimento offre prima di tutto una immensa speranza nel cambiamento, “costituisce un faro” che aiuta a immaginare e sperimentare come può essere “un’economia basata sulla solidarietà e su un livello orizzontale di presa delle decisioni, in grado di cambiare la vita quotidiana dei lavoratori e le loro relazioni con i vicini”.
di Nora Leccese
In questo momento l’economia in Argentina è molto poco affidabile, con il 30 per cento di inflazione l’economia erode una parte consistente dei salari fino a quando non ne resterà quasi nulla e non è prudente investire nei pesos argentini. E’ molto difficile in assoluto combinare degli affari a causa della frustrazione connessa con la mancanza di trasparenza della maggior parte delle operazioni monetarie. Per questi motivi è incredibile che le imprese diventate di proprietà dei lavoratori stiano fiorendo da tutte le parti. In Argentina la proprietà dei lavoratori malgrado tutto ottiene fiducia. Come studiosa dell’economia e giovane attivista sono convinta che il modello del lavoratore proprietario in Argentina costituisce un faro che potrebbe illuminare la strada verso una alternativa e un metodo di resistenza che potrebbero essere applicati su scala generale.
La scintilla vitale del movimento: la crisi economica del 2001
Durante gli ultimi due mesi ho visitato, ho fatto interviste e ho lavorato con i lavoratori diventati proprietari delle Imprese Argentine recuperate cioè le fabbriche di cui hanno preso possesso. Il movimento delle fabbriche occupate ha ricevuto una forte spinta dal collasso economico dell’Argentina verificatosi nel 2001, quando gli investitori stranieri vedevano che il forte settore industriale era a pezzi e chiusero le porte. L’economia perse migliaia di fabbriche che alimentavano milioni di posti di lavoro. I lavoratori di alcune di queste fabbriche videro la follia dell’abbandonare i loro antichi posti di lavoro, lasciati freddi e vuoti mentre loro erano privi di lavoro e invece loro sapevano come svolgere quelle attività e come far funzionare le macchine. Uno alla volta, cominciarono a occupare le fabbriche e a rivendicare il diritto (protetto dalla Costituzione Argentina) di lavorare e ricominciarono a realizzare la produzione in forma di cooperative di proprietà del lavoratori, e ciò ha permesso a più di 180 fabbriche cooperative di dare una occupazione a più di 10.000 lavoratori.
La logica seguita dai lavoratori è stata che, dal momento che il loro lavoro produceva tutto il valore aggiunto dei prodotti e che i loro datori di lavoro avevano abbandonato le loro attività, la loro unica scelta, oltre al diritto di gestire le proprie fabbriche, era la democrazia diretta orizzontale. Una volta che i lavoratori avevano deciso di farsi carico della fabbrica, li aspettava un procedimento giudiziario lungo e spesso complicato. Per diversi mesi si accamparono dentro o nelle vicinanze dei loro posti di lavoro, per evitare che i precedenti dirigenti svuotassero le fabbriche e vendessero i macchinari.
All’inizio del processo, molte occupazioni diventarono violente, perché la polizia cercò spesso di sgomberare i membri della cooperative ormai radicate. Poi la procedura è diventata efficiente e rispettosa delle regole. Ho conosciuto un gruppo di lavoratori che erano nel bel mezzo del processo di recupero. Il loro piccolo accampamento nella strada era pieno di risate, di musica, di “empanadas” casarecce portate da altri membri del movimento, quei lavoratori proprietari che avevano già vinto le loro battaglie per il diritto a produrre.
Questo movimento offre una immensa speranza per tutti coloro, ovunque nel mondo, che hanno visto nella occupazione delle fabbriche e nel loro recupero l’inizio di un cambiamento di paradigma, l’opportunità di costruire un nuovo sistema all’interno della struttura ormai rotta del capitalismo globalizzato. Il flusso di energia e di idealismo, fu lanciato senza dubbio negli Stati uniti dal film di Naomi Klein e di Avi Lewis intitolato The Take (“La presa di possesso” o La toma), che documentava il recupero di una fabbrica coronato dal successo. Ha poi trovato altro spazio per la maturazione di questo sogno a Buenos Aires undici anni dopo il momento in cui la prima fabbrica è stata presa in carico, un movimento che attraverso il suo processo di istituzionalizzazione ha affermato alcuni principi piuttosto radicali, nel momento in cui comincia ad avere un accesso ai principali mercati.
Le storie raccontate dai lavoratori che ho intervistato sono piene di contraddizioni, esempi di una lotta incessante contro l’oppressione e di crescenti successi. Il tempo passato a Buenos Aires mi ha aiutato a ridefinire il significato del lavoro degno, e delinea uno spazio di lotta globale per i lavoratori che conseguono la autodeterminazione. Studiare il movimento cooperativo in Argentina significa anche individuare gli elementi che potranno essere adottati dal movimento negli Stati uniti, perché abbiamo molto da imparare dai nostri amici del Sud.
La Matanza: una Cooperativa con problemi molto vecchi ma che presentano delle soluzioni
Abbiamo girato in una strada di un sudicio quartiere industriale nei dintorni di Buenos Aires e abbiamo parcheggiato di fronte ad un magazzino appartenente alla Matanzas, una officina di proprietà cooperativa dal 2003 che produce bulloni e viti. Al momento di farsi carico della loro fabbrica, i lavoratori non erano stati pagati da dieci mesi, e quindi decisero un’occupazione della loro fabbrica per impedire che il proprietario potesse trasportare i prodotti alla città vicina e venderli. I nove membri attuali o soci de La Matanzas sono abbastanza anziani, in maggioranza sono intorno ai sessanta anni. Alcuni hanno lavorato nel buio e freddo interno della fabbrica per quaranta anni e oggi stanno costruendo nuove relazioni basate su una organizzazione orizzontale e prendono le decisioni in modo collettivo con gli uomini che lavoravano al loro fianco per tutto questo tempo.
Gli affari vanno abbastanza bene a La Matanzas, avendo una base di clientela stabile e con rendimenti più alti di quelli medi (in una cooperativa non si usa il termine salari). Si sentono sicuri con il loro lavoro. Il maggior problema, lo hanno detto tutti, erano i ritardi che registravano quando le macchine si rompevano. Ho chiesto: ” Ma che età hanno le macchine?” Loro si sono guardati, sono diventati scuri in volto e hanno risposto in modo approssimativo: “Un centinaio di anni”. Questa fabbrica cominciò a produrre bulloni e viti prima della dittatura, di Juan Peron e delle Isole Malvinas, della guerra e quindi di quasi tutto quello che ha formato l’immagine e il destino dell’Argentina di oggi. Quando questi centenari si rompono, i lavoratori li mettono da parte, fanno dei nuovi pezzi dai rottami di metallo e li persuadono a tornare a funzionare. Però ciò richiede un paio di giorni, e costituisce il maggior ostacolo alla produzione.
Mostrano di essere molto intimi, gli uomini e le loro macchine. Uno dei membri mi ha mostrato come l’aria compressa della pompa Phillips lascia la sua impronta sulla parte superiore di un bullone e ha appoggiato le sue dita callose ma delicate così vicino al meccanismo di pompaggio che ho cominciato a indietreggiare, temendo di vedere la carne travolta dal meccanismo. Però lui sapeva di essere al sicuro, perché conosceva i tempi della rotazione e mi ha mostrato con orgoglio la sua capacità quasi artistica. Alcuni di questi uomini hanno passato più tempo su queste macchine e dentro questo capannone freddo e inospitale, dove tutto è coperto da una misteriosa polvere brillante, di quello che han passato con la loro famiglia e i loro amici. O che hanno passato di fuori, all’aria aperta. Questo è il prezzo che si paga a lavorare nell’industria.
La politica flessibile della cooperativa SG Patria Grande
La mia sosta successiva fuori della città è stata in una cooperativa chiamata SG Patria Grande. Appena entrati alla luce del sole, sono stata colta di sorpresa da un turbine di colori e di attività. Delle casse volavano nelle vicinanze della bottega, che venivano prelevate nel deposito e senza tante cerimonie venivano scaraventate nelle porte aperte di un camion. Tutto il gruppo al lavoro era formato da giovani, tutti meno di 35 anni, e stavano tutti affaccendati, fischiando e lanciando battute. Le casse volavano in aria con molta facilità perché la cooperativa distribuisce un ampia gamma di prodotti vendibili che hanno deciso devono essere leggeri. Ogni combinazione immaginabile di spuma di polistirolo, di cartone e di carta da regalo e di Kleenex erano accuratamente ordinate in un altro strato di imballaggio, in un magazzino dove arrivavano fino al tetto le pile di ciò che resta prima di diventare dei rifiuti.
La cooperativa persegue il sogno di utilizzare i fondi provenienti dalla attività di distribuzione per aprire un negozio di alimenti a base di grani prodotti in modo responsabile e sano, e sembrano molto seri nella ricerca della transizione, però sanno che dovranno dipendere dalle entrate dei materiali prima che diventino dei rifiuti per lo meno nei prossimi dieci anni. Stanno cercando di offrire prodotti trattabili con il compostaggio contenenti in alta percentuale del granturco, però non sono sicuri che tali prodotti possono essere una alternativa sostenibile a lungo termine.
Ho cominciato a parlare con Julio, uno dei fondatori di SG, che ha 35 anni, molto sveglio, vestito in modo sportivo, che ci ha fatto girare per gli impianti, illustrandoli con il suo brillante linguaggio di sinistra mentre parlava con noi. La SG cominciò con più di una dozzina di amici quando stavano per compiere i loro trenta anni. Tutti appartengono a famiglie di classe media e sono più giovani dei membri di altre cooperative. I soci li conosceva tutti ed erano concentrati nella costruzione del cooperativismo inteso come movimento sociale. Alla SG piacerebbe ospitare il vertice di una rete di cooperative per raccogliere tutti i dirigenti del movimento, in modo da condividere le loro esperienze, creare iniziative e mettere in piedi relazioni personali. Organizzano officine a gestione imprenditoriale cooperativa e costituiscono una grande risorsa per i loro proprietari e compagni di lavoro che devono poter accedere all’informazione giuridica e tecnica.
Ha detto che quando cominciarono, vi erano solo alcune pile di casse nella parte posteriore, mentre ora hanno fatto spazio fino alla facciata anteriore poiché la sala è quasi piena. La grande quantità di prodotti alle loro spalle è una misura della buona salute di questa cooperativa in crescita. In una delle pareti della bottega si vede un enorme murale colorato di un passamontagna di guerriero zapatista che ha un bimbo nel carrozzino (anch’esso con un passamontagna nero) che agita una bandiera arcobaleno adottata dal movimento indigeno. Negli Stati uniti sarebbe impensabile vedere una rappresentazione così evidente di un gruppo chiaramente sovversivo, come gli zapatisti, in un’attività commerciale capitalista…
Cosa ancora più strana, il ritratto di questa madre zapatista aveva a fianco una immagine a dimensione naturale di Cristina Fernandez de Kirchner, la signora dell’Argentina, attuale presidente. Questo è il tipo di piccola impresa che la sua retorica dichiara che ha l’intenzione di appoggiare, anche se lei nella pratica favorisce fortemente il sostegno alle grandi imprese (argentine, non straniere). Ma la cosa forse più importante, è che rappresenta un marcato carattere dominante nell’atteggiamento “gli affari come al solito” di fronte al capitalismo che si scontra con il grido Qué se vayan todos, “se ne vadano tutti” ( “sbatterli fuori tutti” rispetto alle classi dirigenti al potere) che risuonava nelle strade nel 2001, quando con le Imprese recuperate nacque il movimento. Questo fu il momento nel quale cui la gente era tanto disperata da poter immaginare che un cambiamento più radicale poteva essere sicuramente meglio.
Il movimento delle Imprese recuperate aiutò la gente a immaginare come poteva essere una economia basata sulla solidarietà e su un livello orizzontale di presa delle decisioni, che avrebbero cambiato la loro vita quotidiana e le relazioni con i vicini. Senza dubbio, i piccoli guadagni delle persone che comportavano un percorso di regresso verso la classe media, hanno stemperato questa visione, e molti movimenti sociali in Argentina ancora una volta hanno guardato verso le riforme che verso una rivoluzione. Julio ha notato che guardavo con tristezza le due donne sulla parete, si è limitato a sorridere di nuovo e con aria da briccone mi ha detto: ”A noi della SG ci piace un po’ di tutto”.
I soci della SG stanno facendo un lavoro ammirevole sulla base dei loro piani di distribuzione di prodotti più sostenibili e continuando ad accogliere iniziative cooperative. Loro, e come loro il resto dei lavoratori-proprietari che hanno passato del tempo insieme, stanno costruendo nuove reti tra di loro con i prodotti e i servizi, i fornitori e i clienti, i produttori e i consumatori basate su principi economici socialmente responsabili che offrono benefici reciproci. Le sfide con le quali si confrontano sono uno scenario industriale che sta invecchiando, e una moneta debole, ma senza dubbio la loro lotta ha resistito undici anni e non mostra segni di scomparsa. Il successo di qiesta lotta contribuirà al successo dei loro figli e delle loro comunità.
Un movimento globale sta avanzando
Anche se le condizioni economiche in Argentina sono state molto precarie, la coscienza che si è sviluppata come risultato della crisi prepara un terreno fertile per un movimento pieno di entusiasmo. Condizioni simili stanno maturando anche in alcune parti degli Stati uniti. A Detroit, Cleveland, St. Louis e Chicago stanno cercando nuovi modelli economici. Chicago è il posto della prima acquisizione da parte di una cooperativa di lavoratori di una fabbrica negli Stati Uniti, la “Nueva Era Windows” e i sindacati di Detroit stanno prendendo in seria considerazione la sostituzione dell’industria dell’auto corporativa che è fuggita con i suoi posti di lavoro, con industrie di proprietà dei lavoratori. Malgrado le contraddizione del movimento, l’Argentina continua ad essere una finestra di valore inestimabile verso un nuovo cammino e un paradigma economico della dignità, dell’aiuto reciproco dei lavoratori e della fiducia che possono servire di ispirazione concreta per la lotta dei lavoratori e delle comunità di tutto il mondo.
La “Mondiale del Lavoro” sta contribuendo a convertire questi sogni in realtà in altri paesi e ha aiutato Nueva Era ad acquistare la fabbrica dal suo precedente proprietario. “Working World è una organizzazione senza fini di lucro che mette a disposizione capitali per investimenti e assistenza tecnica per cooperative di lavoro. Quando il prestito rientra, tutto il denaro si versa ad un fondo rotatorio di prestiti su base locale, supervisionato dalle cooperative e dalle comunità delle quali è al servizio. Secondo la “Mondiale del Lavoro”: “Appoggiamo le cooperative di lavoro con un modello di finanziamento che mette il denaro al servizio delle persone, e non il contrario. Aiutiamo a progettare, finanziare e realizzare progetti produttivi, che ichiedono soltanto che le cooperative ci risiano le entrate generate dagli investimenti. Come soci attivi, siamo molto motivati a garantire che questi progetti abbiano successo , o, in altre parole, che il finanziamento sia utilizzato soltanto come uno strumento per creare ricchezza reale e duratura per gli scopi ai quali serve”.
Fonte: shareable.net (traduzione di Alberto Castagnola per Comune-info)
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