L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) mostra in questo rapporto pubblicato nel mese di novembre 2024, le interazioni tra conflitti, crisi climatica e sfollamenti forzati e lancia un appello: solo interventi urgenti e inclusivi possono arginare una crisi in continua espansione.
«Quella notte è stata indimenticabile perché la nostra casa è stata inondata in pochi minuti. Non avevamo altra scelta che andarcene subito». Per la terza volta nella sua vita Bahadur Khan, un rifugiato afghano di 60 anni che vive nella provincia pachistana di Khyber Pakhtunkhwa, è stato costretto a trasferirsi forzatamente. La prima volta a causa della guerra civile in Afghanistan all’inizio degli anni ‘90, la seconda nel 2010, quando le inondazioni hanno distrutto la sua casa. Due anni fa il campo profughi di Kheshgi, in Pakistan, dove Bahadur si era trasferito, è stato demolito da un’alluvione.
Quella di Bahadur è la storia di tante e tanti sfollati, costretti a migrare più volte a causa delle molteplici interazioni tra conflitti, crisi climatica e sfollamenti forzati. Una persona su 67 nel mondo è sfollata, quasi il doppio rispetto a un decennio fa. Delle oltre 120 milioni di persone in fuga nel mondo, tre quarti vivono in paesi fortemente colpiti dai cambiamenti climatici. La metà si trova in luoghi colpiti gravemente sia dai cambiamenti climatici che dai conflitti: Etiopia, Myanmar, Haiti, Somalia, Sudan, Siria.
I dati contenuti all’interno del rapporto UNHCR: «No Escape: On the Frontlines of Climate Change, Conflict and Forced Displacement» 1, pubblicato lo scorso 12 novembre durante la COP29 a Baku, in Azerbaigian, rivelano che il cambiamento climatico è una minaccia crescente per le persone già in fuga da guerre, violenze e persecuzioni.
Il numero di sfollati forzati nel mondo non è mai stato così alto, in parte a causa della velocità e della portata dei cambiamenti climatici. La situazione è particolarmente allarmante nel Sahel e nel Corno d’Africa. Il conflitto in corso in Sudan ha causato oltre 11 milioni di sfollati, di cui quasi 700.000 in Ciad. Nella zona orientale del paese, dove si trovano molti rifugiati, le forti piogge e le inondazioni distruggono regolarmente i rifugi e le infrastrutture di base. A questo si aggiunge la presenza di gruppi armati lungo il confine tra Sudan e Ciad.
Secondo il rapporto, il quadro è destinato ad aggravarsi: entro il 2040, il numero di paesi che dovrà affrontare rischi estremi legati al clima è destinato a passare da 3 a 65, la maggior parte dei quali ospiterà – o già ospita – rifugiati e sfollati interni. Come Camerun, Ciad, Sud Sudan, Nigeria, Brasile, India e Iraq.
«L’emergenza climatica rappresenta una profonda ingiustizia», ha dichiarato Filippo Grandi 2, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. «Le persone costrette a fuggire, e le comunità che le ospitano, sono le meno responsabili delle emissioni di carbonio, eppure stanno pagando il prezzo più alto. I miliardi di dollari di finanziamenti per il clima non arrivano mai a loro e l’assistenza umanitaria non riesce a coprire adeguatamente il divario sempre più ampio. Le soluzioni sono a portata di mano, ma è necessaria un’azione urgente. Senza risorse e sostegno adeguati, le persone colpite rimarranno intrappolate».
Secondo i dati UNHCR contenuti nel report, attualmente gli Stati più fragili ricevono solo 2 dollari a persona per i piani di adattamento, a fronte dei 161 dollari pro capite destinati agli Stati non fragili. In più, la maggior parte dei finanziamenti viene destinata alle capitali, lasciando le aree rurali completamente scoperte. Dove ricostruire edifici e mezzi di sussistenza a seguito di disastri ambientali diventa pressoché impossibile. Come impossibile è il ritorno a casa per chi è sfollato.
In ogni rapporto, torna centrale il tema del raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi: questo perché gli impegni delle Parti a mitigare le emissioni di gas serra sono ancora tristemente al di sotto di quanto necessario per rimanere entro il limite di 1,5°C. Le conseguenze sono tangibili: gli eventi climatici estremi continuano ad aumentare, anche in territorio europeo.
Proteggere, includere, investire, accelerare: le parole chiave per invertire la rotta
La crescente influenza degli impatti della crisi climatica richiede misure innovative e urgenti: per questo, secondo UNHCR, gli scenari peggiori possono essere evitati attraverso approcci integrati, incentrati sulla protezione e sul genere, sui diritti umani e sulla pace.
L’Agenzia ONU propone allora un forte invito all’azione. Basato sulla protezione delle persone sfollate, applicando e adattando gli strumenti giuridici esistenti. C’è bisogno che gli stati garantiscano che il diritto internazionale sui rifugiati, il diritto internazionale umanitario e i diritti umani in senso ampio vengano rispettati. I Piani nazionali di adattamento e sviluppo, che affrontano la crisi climatica, dovrebbero poi incorporare disposizioni per la protezione delle persone sfollate, soprattutto in quei contesti dove conflitti e disastri ambientali allo stesso modo mettono a rischio i diritti umani.
Per realizzare strumenti efficaci, le voci e le esigenze specifiche delle popolazioni sfollate e delle comunità ospitanti devono avere un ruolo di primo piano. I paesi riuniti alla COP29 dovrebbero allora consentire alle comunità altamente vulnerabili sul clima di partecipare in modo significativo alle discussioni politiche, riconoscendo le capacità e la leadership di cui sono portatori. Infine, ulteriori investimenti nelle comunità più fragili e nei paesi più a rischio devono essere accompagnati da una forte accelerazione nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica per prevenire ulteriori disastri climatici.
Alla COP29 in Azerbaigian si sta parlando soprattutto di soldi. Più nello specifico, del “Nuovo obiettivo finanziario per il clima”: i paesi delle Nazioni Unite devono stabilire quanti soldi dovranno essere impegnati nei prossimi anni, e con quali tempistiche. Quelli messi a disposizione finora sono stati utilizzati soprattutto per programmi di mitigazione, e non di adattamento. A cui è stato dedicato un Fondo speciale, il Fondo Loss and Damage 3, istituito ufficialmente alla COP28. Lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha lanciato un appello 4 per aumentare i finanziamenti del Fondo. Entrerà in funzione nel 2025, comincerà quindi a erogare tra 215 e 387 miliardi di dollari l’anno fino al 2030. Lo ha annunciato il presidente della COP29 e ministro dell’Ecologia e delle Risorse Naturali dell’Azerbaigian, Mukhtar Babayev 5.
Restano aperti numerosi interrogativi: i Paesi più colpiti dai disastri ambientali si sono opposti soprattutto alla scelta di affidarne il funzionamento alla Banca Mondiale, che potrebbe dare priorità alle scelte dei paesi europei e dell’America del Nord. C’è poi il timore che i fondi non siano sufficienti, o che sia già troppo tardi.
- No Escape: On the Frontlines of Climate Change, Conflict and Forced Displacement, novembre 2024 ↩︎
- Dichiarazione Filippo Grandi, 12 nov 2024 ↩︎
- Articolo di Lifegate sul fondo “Loss and Damage” Cop28 ↩︎
- Appello SG Antònio Guterres, 13 novembre 2024 ↩︎
- Annuncio Presidente della COP29 e Ministro dell’Ecologia e delle Risorse Naturali Azerbaigian, Ansa, 13 novembre 2024 ↩︎
Fonte Melting pot
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