Il concetto di giustizia climatica resta essenziale per smontare la retorica dello sviluppo sostenibile, della green economy, delle false soluzioni alla crisi climatica, della transizione ecologica dall’alto, del mercato come panacea di tutti i mali. La prefazione del libro L’era della giustizia climatica (Orthotes) scritto da Paola Imperatore ed Emanuele Leonardi


Se la domanda suona semplice, composite e multiformi sono le possibili risposte, come chi ha tra le mani questo agile ed efficace testo si appresta a constatare. Concetto capace di riempire tanto i cartelloni colorati nelle mobilitazioni di piazza quanto centinaia di pagine di paper accademici, giustizia climatica è al contempo grido di battaglia, principio etico, categoria analitica, rivendicazione politica e linea programmatica fondativa di un futuro in cui equilibri ecologici e riequilibrio delle disuguaglianze camminano a braccetto.
Dopo decenni in cui l’emergenza climatica è stata sterilizzata a suon di gergo tecnico-scientifico, l’avvento della giustizia climatica ha permesso di disvelarne le implicazioni su diritti, disparità socioe-conomiche e asimmetrie di potere. Finalmente, guardare i mutamenti climatici con le lenti della giustizia e dell’ingiustizia ha reso evidente che non tutti – i Paesi, le comunità, gli individui, le generazioni – hanno le stesse responsabilità e non tutti – i Paesi, le comunità, gli individui, le generazioni – pagano lo stesso prezzo. Di più: a essere più vulnerabile e colpito è chi meno ha contribuito e meno mezzi ha per reagire.
Posto che il climate change è moltiplicatore di minacce e astronave madre di tutte le diseguaglianze, non si può pensare di risolvere la crisi del secolo senza ridurre anzitutto le iniquità, redistribuendo da un lato le responsabilità e dall’altro strumenti di protezione, riconoscimento e riparazione.
Come nasce la giustizia climatica?
La giustizia climatica viene dal basso, e dal basso provengono la sua forza e il suo potenziale. Si intreccia con il cammino nella giustizia ambientale, con i conflitti ecologico-distributivi; li tematizza e li federa in una battaglia unitaria che ha come avversario un modello di economia e società che estrae valore dalla natura e dalle comunità umane, privatizzando e concentrando ricchezza e scaricandone sulla collettività i costi.
Sorge dai grassroots, dai movimenti indigeni e rurali di America Latina, Asia e Africa, che reclamandola chiedono il riconoscimento dei contributi emissivi storici in capo ai Paesi industrializzati; maggiori misure di protezione per popolazioni e regioni vulnerabili; inclusione nei processi decisionali; applicazione del principio di equità nel disegno delle azioni di mitigazione e adattamento.
Emerge, muta e si consolida via via che l’architettura del governo globale del clima evolve e fallisce. Smonta pezzo per pezzo la retorica dello sviluppo sostenibile, della green economy, delle false soluzioni alla crisi climatica, della transizione ecologica dall’alto, del mercato come panacea di tutti i mali. Sferza i discorsi paludati dei rappresentanti politici, li richiama alla realtà. Li accusa e incalza prima; li disconosce e schernisce poi.
Non si stanca di ribadire, di fronte alla cecità di istituzioni e media, l’unica soluzione praticabile: smettere di bruciare combustibili fossili e far pagare la transizione a chi ha inquinato. Il resto – assicura – è rumore di fondo, distrazione di massa, bla bla bla.
Ma la domanda cui forse più che alle altre mirano a rispondere le pagine che seguono è dove guarda la giustizia climatica? Anche in questo caso, la risposta è plurale.
La giustizia climatica guarda lontano; è ambiziosa e ha visione. Apporta alla battaglia per il clima una forza inedita, è radicale e rivoluzionaria tanto nel linguaggio che nelle implicazioni.
Spinge a ricomporre istanze provenienti da percorsi diversi; è capace di farle dialogare e rafforzarle mutuamente. Sa analizzare il passato, costruire il presente ed evocare il futuro.
Il portato della giustizia climatica è dunque enorme, dirompente – seppur ancora ampiamente inespresso. Ne consegue che lottare per raggiungerla non è una mira soltanto ecologista. Vuol dire battersi per equilibri ecologici ed equità sociale, per distribuire risorse e potere, esigendo scelte drastiche senza le quali la sfida climatica sarebbe già persa.
Alle origini, dimensioni e potenzialità di questo principio di portata epocale – come gli stessi autori specificano in premessa – al suo percorso di affermazione ed evoluzione e alle prospettive che apre per il futuro delle vertenze sociali e ambientali è dedicato questo testo. Un lavoro prezioso, compiuto in ascolto delle realtà di movimento e scritto pensando anzitutto a loro, ma destinato allo stesso tempo a colmare un vuoto nella letteratura accademica del nostro Paese e ad aprire una riflessione comune a studiosi, attivisti, scienziati di cui si sente forte il bisogno.
Marica Di Pierri è giornalista e portavoce di A Sud. Phd in Human Rights presso l’Università di Palermo, si occupa da oltre quindici anni di giustizia ambientale e climatica
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