Gli annegamenti di bambini e bambine, donne e uomini nel Mediterraneo e i respingimenti che continuano anche in questi giorni ma non fanno notizia, insieme ai lager in Libia e alla criminalizzazione delle Ong dimostrano come Italia e Ue da diversi anni limitano la libertà di movimento e negano di fatto il diritto di asilo. Il simbolo di questi crimini di cui la storia chiederà conto sono le intese dell’Ue con la Turchia e il Memorandum Italia-Libia. Quale pulsione inconscia ha favorito una mostruosità di questa entità? Quale costruzione in primis nel linguaggio con l’invenzione politico-mediatica del cosiddetto “migrante”, reificato, deumanizzato, è stata operata in precedenza? Intorno a queste domande nasce il libro Rari nantes. Il naufragio dell’umanità (Left ed.), di Flore Murard-Yovanovitch e Fulvio Vassallo Paleologo, che da molti anni ci aiutano a riconoscere il dominio della necropolitica per non abituarci all’orrore. La premessa del libro


Malgrado la spettacolarizzazione dei cosiddetti “sbarchi”, ormai da molti anni si verifica una sparizione delle persone migranti che cercano di attraversare i confini esterni europei con una totale impunità delle autorità responsabili di prassi di respingimento e di abbandono in mare, che sono state, e rimangono, al centro delle politiche migratorie di diversi governi italiani. Dal 2014 a oggi, oltre 26.000 esseri umani, bambini, donne e uomini sono annegati nel Mediterraneo (Oim) e, in solo sei anni dalla firma del Memorandum Italia-Libia nel 2017, oltre 100.000 civili sopravvissuti sono stati intercettati a mare e forzatamente respinti in Libia. Ogni anno, migliaia di persone vengono riportate indietro.
La maggior parte di loro è rinchiusa di nuovo nei lager libici, condannata a torture e abusi sistematici documentati da anni dalle Nazioni Unite, se è sfuggita alla morte per annegamento. Il numero di coloro che sono state vittime di respingimento o di naufragio si può solo stimare; l’entità effettiva e i loro nomi non si conosceranno probabilmente mai (anche per via dei numerosi naufragi invisibili). Persone, non numeri o merci da scaricare, ma corpi, vite, memorie, che sempre più spesso si perdono in mare nell’indifferenza generale.
Nelle persone disperse, scomparse, fuggitive, o respinte con procedure che non rispettano i diritti fondamentali sanciti dalle Convenzioni internazionali, ma sono frutto di discrezionalità di polizia alla frontiera, o di scelte politiche non sindacabili davanti a un giudice, si può configurare una particolare categoria di “popolo migrante” titolare di diritti che vengono sistematicamente lesi, incluso il diritto alla vita, dalle autorità di paesi che cercano di impedire l’attraversamento della frontiera, sia quando si tratta di uno spazio marino, che di un filo spinato o di un muro di confine.
L’estensione geografica e la strutturalità dei crimini contro le persone migranti riguarda ormai tutti i confini europei esternalizzati, e alcuni confini interni dell’Unione europea, ai quali non vi è più traccia del principio di libera circolazione. Su un “arco della barbarie”, che va dai Balcani alle coste dell’Africa occidentale, assistiamo ad una mostruosa accelerazione del crimine istituzionale per effetto del concatenarsi letale di politiche: di abbandono a mare e di omissioni di soccorso, di respingimenti, e di detenzione di massa mentre si assiste ad una continua militarizzazione dei confini. A seconda delle aree geografiche e del livello di delega da parte dell’Unione europea agli Stati a cui si trasferisce il compito degli arresti e dei respingimenti, le violazioni dei diritti delle persone in movimento hanno sfaccettature diverse, che sollevano questioni di responsabilità specifiche in base alla ricostruzione della catena di comando.
Eppure, i crimini odierni hanno una caratteristica unitaria, sacrificare la vita delle persone migranti in nome della “difesa dei confini europei”. Sacrificare quella parte di umanità in movimento, deumanizzata, identificata con la generica categoria dei “migranti” e diventata “bersaglio”; tanto da rendere ormai questa eliminazione dei migranti che vorrebbero arrivare in Europa, uno strumento di “gestione dei flussi migratori”, diffusamente accettato dalla maggioranza dell’opinione pubblica europea. Si assiste così alla negazione sostanziale del diritto di asilo, in quanto si impedisce persino di raggiungere le frontiere di paesi sicuri nei quali presentare una qualsiasi domanda di protezione, mentre si intensificano gli accordi con i paesi di transito che considerano indistintamente tutti i migranti come “illegali” ed operano respingimenti collettivi a rimbalzo e tortura per delega.
Gli anni della svolta letale e militare delle politiche migratorie in Europa si collocano tra il 2016 ed il 2019, dopo le intese tra gli Stati membri dell’Unione Europea con la Turchia ed il Memorandum Italia-Libia del 2017, e corrispondono all’affermazione elettorale di partiti nazionalisti e populisti, prima a livello nazionale, poi a livello europeo. Dopo gli accordi conclusi dall’Italia con la Libia nel 2017, votati dal Parlamento italiano e il Codice di condotta Minniti e la serie di azioni penali contro le Ong, allora impegnate nei soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale, il primo governo Conte-Salvini, trasponeva in disposizioni di legge gli indirizzi politici amministrativi che determinavano una diffusa criminalizzazione degli interventi umanitari nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale.
Queste politiche nazionali vengono proseguite e “legittimate” da vari «Piani» europei adottati dal Consiglio e dalla Commissione europea nel corso degli anni, soprattutto a partire dal 2015, e poi con la proposta del «Patto europeo su migrazioni e asilo» del settembre 2020. L’Unione Europea si è limitata a sostenere economicamente e politicamente le prassi repressive affidate all’Agenzia Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che tradisce persino i doveri di soccorso stabiliti dal Regolamento n. 656 del 2014 e collabora attivamente nei respingimenti collettivi. Nei vertici europei più recenti, i governi dei paesi a vocazione sovranista e nazionalista, ormai orientati verso politiche di guerra e di morte con il motto del “rafforzamento delle frontiere esterne”, chiedono all’Unione Europea di finanziare muri, torri di guardia e sorveglianza elettronica – contro profughi disarmati –, attingendo direttamente al bilancio Ue, cioè ai soldi dei cittadini europei. Un ulteriore inasprimento della politica e della diffusa cultura anti-migrante, che evidenzia il carattere organico, e strutturale, alle istituzioni europee, delle violazioni in corso. Le responsabilità più gravi si continuano però a riscontrare a livello delle autorità politiche e militari dei singoli Stati.
Dal 2016 con il rafforzamento – e il diretto coordinamento europeo e italiano – della sedicente Guardia costiera libica sono infatti aumentati in modo esponenziale il numero di intercettazioni in acque internazionali e le operazioni di pull-backs verso la Libia. I respingimenti, che sono stati nascosti all’opinione pubblica con una martellante campagna anti Ong hanno dimostrato e continuano a dimostrare una grave complicità negli abusi inflitti ai migranti ripresi dalla autorità libiche. Le sparizioni forzate, le torture e gli altri trattamenti inumani e degradanti delle persone in fuga, di fatto sono utilizzati come strumenti di controllo e disincentivazione delle migrazioni.
Questo mostruoso connubio tra respingimenti e sparizioni a terra e a mare è la vera cifra di un nuovo crimine contemporaneo di cui la Storia ci chiederà conto. Intanto, il Mediterraneo è stato trasformato in uno spazio di eliminazione fisica – pianificata e mirata – delle persone in movimento, che non si vogliono fare arrivare in Europa, e dove si sperimentano accordi con i paesi terzi e prassi di polizia (law enforcement) sottratte a qualsiasi giurisdizione effettiva.
Occorre eliminare tutti i possibili testimoni di questi crimini istituzionali. Il Mediterraneo, ormai diventato un vero e proprio buco nero – frutto di una censura istituzionale che mira sistematicamente a nascondere le prove e a colpire tutte le organizzazioni non governative che continuano a prestare assistenza alle persone in fuga e a monitorare le intercettazioni a mare e le omissioni di soccorso da parte degli Stati costieri. Quando non bastano i decreti amministrativi si ricorre alle denunce e agli arresti per eliminare testimoni scomodi che potrebbero denunciare le responsabilità istituzionali. Ormai solo i corpi arenati sulle coste libiche e tunisine, e le voci delle vittime raccolte dall’incessante e cruciale monitoraggio civile svelano i fatti e l’entità di quelle sparizioni che si possono definire uno sterminio in atto.
Le politiche nazionali di criminalizzazione delle Organizzazioni non governative che si sono snodate prima con decisioni amministrative del ministro dell’interno, rivolte ad navem, caso per caso, poi con il decreto sicurezza bis del 2019 fino al recente decreto Decreto legge n.1
del 2023 sono tutte orientate ad impedire o a rallentare le attività di soccorso delle navi civili e a lasciare annegare altre persone in pericolo nel Mediterraneo. Con il Decreto legge n. 1 del 2023 si obbligano persino le navi civili a un soccorso unico, impedendo i soccorsi molteplici e si rimette alla discrezionalità del ministro dell’interno la liceità di eventuali soccorsi successivi: una legittimazione dell’abbandono in mare e delle omissione di soccorso che non fa che palesare, se fosse necessario, la responsabilità delle autorità italiane. In assenza di uno sforzo di coordinamento, con altri Stati al fine di garantire un efficace pattugliamento e un immediato soccorso. È sempre più evidente come l’allontanamento forzato delle navi di soccorso delle navi umanitarie aumenta il rischio di perdita di vite umane in mare.
Nonostante i processi penali contro le Ong siano stati utilizzati come strumento di politica delle migrazioni, non si è mai arrivati ad una sentenza di condanna degli operatori umanitari. Ma dai processi penali emergono fatti precisi che possono fondare responsabilità degli Stati e configurare un principio di prova di “crimini contro l’umanità”. Se l’operato delle Ong e riconosciuto legittimo in numerosi provvedimenti di archiviazione, nulla si dice ancora sulle responsabilità degli Stati costieri.
Com’è è stato possibile la sparizione di massa pianificata a tavolino da burocrati e da precise scelte delle politiche migratorie, accordi, leggi e decreti alle frontiere dell’Europa? Quale pulsione inconscia aveva scavato al cuore della politica italiana e europea per permettere un crimine strutturale di questa entità? Quale costruzione in primis nel linguaggio con l’invenzione politico-mediatica del cosiddetto “migrante”, reificato, deumanizzato, è stata operata in precedenza? Ma soprattutto quale logica dell’annientamento aveva già, da tempo, fatto “sparire” la persona migrante dalla categoria di esseri umani per arrivare allo sterminio pianificato oggi in corso? Questo libro svela le politiche governative, il connubio di prassi letali condivise con paesi che non rispettano i diritti umani, e indaga le pulsioni psicosociali che hanno portato a questo annientamento neo-razziale contemporaneo, per rintracciarne gli odierni passaggi storici.
Le politiche e le prassi di eliminazione dei migranti, trasversali e ormai strutturali nel mondo, ma soprattutto l’indifferenza che ormai sembra avvolgerle e legittimarle, svelano il crollo culturale di una civiltà che respinge e tortura impunemente l’altro, o lo fa vivere nel limbo del non-diritto, al di fuori di qualsiasi giuridizione. Questa molteplicità di violazioni nel mondo ci abitua a una civiltà che “convive” con l’orrore (in diretta). Oggi, di fronte all’assordante silenzio e inaccettabile impunità in corso, sullo strenuo e ambiguo filo della omissione/commissione dei crimini, al comprovato nesso tra politiche migratorie e vittime di respingimento o di sparizione, sarebbe urgente una reazione collettiva, una sanzione degli autori dei crimini e una protezione del “popolo migrante”.
Mentre è sempre più urgente infine di vedere e nominare la negazione inconscia che scava il cuore della psiche europea nei confronti delle persone in movimento: interpretare una dimensione nascosta ma attiva, l’attacco portato alla loro realtà psichica, alla loro identità di diversi. L’Europa che “fa il buio” di fronte all’istinto di morte non può che portare all’apocalisse della guerra o alla mostruosità di un regime delle Frontiere rivolto esclusivamente contro i migranti.
Se non ci sarà una svolta autentica, sul piano politico ma anche su quello sociale, giudiziario e culturale, che implichi una presa di coscienza collettiva, e se questo sistema di crimini istituzionali rimarrà impunito, è probabile che si arriverà ad un annientamento totale della persona in movimento. Questo potrebbe comportare anche la frattura dell’Europa come area geopolitica caratterizzata da una coscienza comune dei diritti e da istituzioni democratiche.
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