Donne e uomini, bambini e novantenni, migranti ed emigrati tra attacchi poetici e cibo buono condiviso, canti e racconti in strada: fare comunità ogni giorno è un’impresa per persone comuni di cui abbiamo tutti e tutte bisogno

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di Rosaria Gasparro*
Nzina la vicina del cuore che ci segue con la sua crostata anche quando cambiamo quartiere. Quella delle fave e delle margherite che da sola resiste in una strada vuota.
I bambini che giocano a moscacieca.
I ragazzi – roba da non crederci – con i loro canti di lotta.
Le cognate ultranovantenni – sisters in law e non in love – sulle sedie a rotelle che restano fino alla fine.
Le badanti georgiane che fanno festa con noi e riprendono in diretta ciò che accade.
Pina che fa le focacce.
Maria le frittate.
Angelo che prepara le frise di grano arso e i rotoli di sfoglia zucchine e ricotta.
Raffaella e Ilaria taralli e friselline condite.
Caterina il grano con cacioricotta e basilico.
Angela e Mariagrazia le torte salate.
Pietro e Angela i panzerotti.
Rosa e Franco le polpette.
Martino e Luisa la frutta in bella vista.
Maria con le tovaglie.
Daniela e Cesaria con le bevande e le stoviglie.
Vita la tortillas di patate.
Noi le pizze, le crocchette e i panini alla cegliese.
Lucia con la birra della Croazia, del Montenegro e dell’Albania e con due contenitori artistici fatti da leiper i rifiuti.
Tonino i fichi. Non so chi i fichi d’India.
Angela la torta dello Ionio e dell’Adriatico.
Anna le caramelle con marmellata.
Ognuno con il suo piatto dolce o salato da condividere, di cui non so dire il nome.
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