In estate molti hanno sentito parlare per la prima volta della rivista Adbuster che ha promosso in rete l’appello a occupare Wall Street il 17 settembre, data di nascita del movimento Occupy, oggi presente in molte città statunitensi. Adbuster, in realtà, nasce in Canada nel 1992 come rivista di critica della pubblicità e della comunicazione visiva («rivista per l’ambiente mentale», recita il sottotitolo), per poi diffondersi in molti paesi con il magazine e ovunque con il sito adbusters.org. Oggi è una rete globale di artisti, scrittori e «dissidenti culturali» che ha saputo mostrare i nessi tra i temi dell’anticonsumismo e il fare comunicazione sociale.
Esiste infatti un filo rosso che unisce la critica della pubblicità come braccio armato dello sviluppo, la difficoltà delle piccole organizzazioni sociali di essere visibili ma anche la loro scarsa capacità di comunicare. Tra coloro che ragionano e mettono su laboratori su questi temi c’è la rete Smarketing, che ha accettato in particolare la sfida di comunicare la decrescita. «Siamo una rete di artigiani della comunicazione e dell’etica d’impresa. Non siamo né vogliamo essere un’agenzia pubblicitaria», spiegano nel loro sito smarketing.it. Il loro obiettivo non è aumentare le vendite di qualche merce (per quanto prodotta in modo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale), ma facilitare la comunicazione di enti e aziende che perseguono valori ambientali, etici, sociali, culturali, cercando di ridurre lo spreco di soldi e di tempo. «Per noi la filiera, per essere corta – spiegano –, dev’essere anche filiera colta».
Tra i promotori di questa piccola ma molto creativa rete troviamo Marco Geronimi Stoll e alcuni stilisti noti col brand di Serpica Naro. Autore di molto libri e cd-rom sulla creatività dei gruppi e sul ruolo delle arti nell’educazione, Marco Geronimi Stoll è stato coautore anche di trasmissioni televisive e ha collaborato diverse con università europee e statunitensi. Serpica Naro è invece il nome inventato di una sconosciuta stilista «giapponese» che nel 2005 ha chiuso la settimana della moda milanese: altri non era che l’anagramma di San Precario, il patrono inventato dai lavoratori precari.
Insomma, sembra opportuno cominciare a considerare lo smarketing come uno dei temi del vasto arcipelago dell’altra economia e della decrescita. Troppo spesso associazioni, enti pubblici, imprese non profit o di economia solidale continuano a imitare e utilizzare inutilmente stili e strumenti del marketing tradizionale. Alcune alternative a questa idea di pubblicità esistono (e implicano, ad esempio, dedicare tempo alla comunicazione, sviluppare la creatività di gruppo, puntare più sulla qualità che sulla quantità, prenotare una combinazione di spazi promozionali non su media generalisti, utilizzare linguaggi chiari, concreti, breve…), altre andranno sperimentate. La civiltà «no logo», per dirla con Naomi Klein, ha bisogno della sua narrazione.
Città invisibile è un piccolo collettivo, attento ai temi della decrescita, dell’omonima libreria di Roma (parte della Città dell’altra economia)
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