Un mondo nuovo fondato sulla liberazione delle donne dal patriarcato, l’autodeterminazione dei popoli e una dimensione profonda e radicale della convivenza: l’esistenza di un progetto di società del tutto inedito come quello del Rojava era ed è insopportabile per molti dei poteri dominanti del pianeta. Non solo per il sultano nazionalista Erdogan, il nemico per antonomasia della libertà del popolo kurdo. Da sette anni quei poteri aspettavano il momento propizio per soffocare nel sangue una democrazia senza Stato, una rivoluzione di cui gran parte del mondo che aspira a cambiare le relazioni sociali in senso anticapitalista si è occupato comunque troppo poco. A cominciare da noi di Comune, che pure invitiamo i lettori, un giorno sì e l’altro pure, a guardare sempre anche oltre questa nostra piccola avventura, solo una delle molte stazioni di un’ampia galassia di mezzi di comunicazione che raccontano la resistenza e la ribellione. La straordinaria esperienza di convivenza tra popolazioni kurde, arabe, assire, siriache, yazide, etc. realizzata nel Rojava parla molto oltre i confini del nord e dell’est della Siria e anche molto oltre il Medio Oriente. Parla una lingua nuova ed entusiasmante al di là di ogni frontiera e di ogni recinto. È una rivoluzione del mondo, del mondo che rifiuta di estinguersi, di opprimere e dominare. Come possiamo sopportare, dunque, che venga aggredita e insanguinata dalla pioggia di bombe di quella che, ancora una volta, viene chiamata da Recep Tayyp Erdogan e dagli assassini che comanda “Fonte di pace”? Come possiamo accettare che abietti e miserabili criminali come il presidente degli Stati Uniti la oltraggino, mentre il segretario generale della Nato, appena congedato amichevolmente da Palazzo Chigi, dà il via libera al massacro chiedendo di uccidere senza esagerare? Il grido estremo e disperato di Hawzhin Azeez, poetessa femminista kurda, è il grido di chiunque, in ogni angolo del mondo, dovrà inventare ogni forma e occasione possibile per ribellarsi a quel che sta accadendo

E così, per i kurdi, la storia si ripete ancora. Le forze statunitensi, che avevano svolto una funzione di “ammortizzatore” contro l’invasione turca e il massacro dell’Unità di protezione popolare–Unità di difesa delle donne (YPG-YPJ) e del popolo del Rojava, adesso si ritirano dalla regione. Erdogan sta attuando un’invasione totale, per via aerea e terrestre, dal giorno successivo al ritiro degli Usa. Il suo sostegno aperto all’Isis durante tutto il periodo della guerra a quell’organizzazione terroristica, era stato reso pubblico in diverse occasioni.
Non c’è bisogno di ripetere ancora che i Kurdi non hanno mai sparato un solo proiettile verso la frontiera turca, né che mai sono stati una minaccia. Non ne vale la pena. Come non vale la pena di ripetere che la Turchia ha una lunga storia di massacri e genocidi contro i Kurdi e altre minoranze. Oppure che attualmente occupa Afrin, in totale violazione al diritto internazionale, dove le persone vengono sequestrate, massacrate, deportate e torturate ogni giorno e gli Yazidi e i Cristiani vengono obbligati a convertirsi all’Islam.

I tank turchi avanzano. Foto tratta da akhbarak.net
Come possiamo esprimere, in quanto Kurdi, i nostri sentimenti verso questo tradimento della comunità internazionale dopo aver dato tanto per la sua libertà e la pace?
Come potremo sopportare, come Kurdi, il dolore di quel sappiamo, e abbiamo sempre saputo, che porterà con sé questa invasione? Da quante guerre possiamo essere investiti nel corso di una vita? Quante generazioni dovranno ancora essere deportate, ridotte senza patria, senza casa? Quanti di noi dovranno crescere in accampamenti provvisori per poi essere di nuovo puniti ed etichettati come terroristi per aver scelto l’abbraccio delle montagne?

E ancora, in quanto donne kurde, come possiamo parlare del terrore che affronteranno le nostre sorelle alla frontiera del Rojava, quando l’immagine mutilata di Barin nella nostra mente collettiva è ancora tanto fresca e ci mancano tante sorelle Yazide?
E come possiamo sopportare, in quanto Kurdi, e come esseri umani, che una tale ingiustizia e una simile parodia esistano in modo consapevole, apertamente, mentre voi offrite un rituale di parole sulla democrazia e il diritto internazionale e i diritti umani?
Non mi parlate di umanità. Non parlatemi di democrazia. Non mi parlate di solidarietà. Oggi non credo a nulla, sapendo che il sangue dei nostri YPG-YPJ è ancora fresco nei cimiteri del Rojava e che tutto questo è stato anche per voi; ed è tutto invano.
7 ottobre 2019
Fonte: Comunizar
Traduzione dallo spagnolo per Comune-info: marco calabria
Riflessioni di una femminista kurda. Il sito di Hawzhin Azeez, accademica, poeta, attivista e femminista intersezionale.
UNA PROPOSTA: E se usassimo il boicottaggio? Rete Kurdistan
Mi assale un grande senso di impotenza, come possiamo? Cosa possiamo fare?
Dov’è l’Europa?
Che sta alla finestra a guardare
Che senso ha condannare a parole il bombardamento, se nei fatti non blocchiamo la vendita di armi all’assassino erdogan? L’Europa con chi sta?