Come possiamo cambiare il mondo? Come possiamo costruire speranza? Come possiamo almeno seminare qualcosa di diverso? Non lo sappiamo, tanto meno in questo tempo di passioni tristi. Possiamo però moltiplicare e condividere domande importanti, suggerisce Emilia De Rienzo, accettare di camminare insieme ad altri in un labirinto, sapere che il percorso non sarà mai una linea retta, accogliere l’errore, ribellarsi facendo ogni giorno e allo stesso tempo non buttarsi a capofitto nell’azione

“Quella strana convinzione che le vicende che mi capitano abbiano un senso ulteriore, significhino qualcosa; che la vita con le sue vicende racconti qualcosa di sé, ci sveli gradatamente qualche suo segreto, stia davanti a noi come un rebus il cui senso è necessario decifrare, e le vicende che viviamo siano la mitologia della nostra vita e in questa mitologia stia la chiave della verità, e del mistero. Si tratta forse di un inganno? È possibile, è addirittura probabile, ma non riesco a sbarazzarmi del bisogno di decifrare continuamente la mia vita“
(Milan Kundera, Lo scherzo)
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Igiovani sono proiettati in avanti, guardano al futuro, oggi con molta più preoccupazione di ieri. Chi, invece, ha una certa età, ha la tendenza a guardare al passato e a fare bilanci. Ci si può dichiarare più o meno soddisfatti della propria vita, ma ciò che si vorrebbe sapere è se la nostra individuale e personalissima storia è inscritta in un disegno più grande. Vorremmo che fosse così, vorremmo comprendere se c’è un significato oppure se tutto si perde nel nulla. Vorremmo lasciare almeno qualche seme, speriamo che qualcosa un giorno possa germogliare.
È difficile oggi, con tutto quello che è successo e sta succedendo credere ancora in qualcosa. La tentazione è quella del ritiro o del rifugiarci in qualche idea consolatoria, ma molto lontana dalla realtà che vediamo.
Io credo, che, in certi momenti, si debba accettare il mistero. Comprendere che non ci sono risposte certe, definitive. Quello che rimane sono le nostre domande. Continueremo ad addentrarci dentro il nostro labirinto sapendo che il percorso non è una linea retta, che si procede a tentoni e quando la via imboccata non porta da nessuna parte, si torna indietro e se ne sceglie un’altra. Lo stesso labirinto che continueranno a percorrere altri. Noi possiamo lasciare piccole tracce, osservazioni, nulla di più.
Solo la pazienza può essere la nostra guida, un passo per volta, di fronte agli incroci si indugia, si pensa, si cerca e poi si rischia. Se si sbaglia, si ricomincia. L’errore fa parte del gioco. Ma bisogna ammettere l’errore, bisogna guardarlo in faccia, riconoscerlo. Vogliamo camminare verso un orizzonte, camminando incontriamo altri nomadi come noi con cui possiamo scambiare le nostre opinioni, sentire raccontare i loro percorsi, ciò che hanno visto e trovato. E continuare. Insieme. Ma a volte anche in solitudine.
Essere nel labirinto vuol dire imparare a riflettere, vuol dire cercare scelte ragionate, non buttarsi a capofitto nell’azione: si impara a correggere l’itinerario durante il percorso, non si vuole vincere nulla, ma solo cercare la strada più adatta per noi, più adatta al nostro fine.
Forse possiamo spesso non vedere l’uscita, ma, secondo Norberto Bobbio, dobbiamo operare “credendo che ci sia e su questo anche esile filo costruire la nostra speranza, la speranza degli uomini di ragione e non di fede”.
Ottimo articolo.L’esistenza umana (e non) rimane un interrogativo, a cui la ragione e la fede cercano di dare risposte, parziali e non esaustive.Si cerca una strada appunto, possibilmente da condvidere con altri compagni lungo il percorso.Ecco, la traccia da seguire è questa “il sentire comune” quella via dove ci si incrocia ma non ci si lascia, e dove le risposte le cerchiamo insieme.