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5 ragioni per occuparsi di imprese recuperate

Gianluca Carmosino
07 Dicembre 2012
Un gruppo di lavoro, inclusa la redazione di Comune-info, ha promosso una piccola biblioteca virtuale e un seminario a Roma sui temi delle empresas recuperadas, fenomeno diffuso in Argentina ma presente anche in Italia, Spagna e Francia. Fenomeno che chiede di guardare al lavoro e alle lotte sociali in modo diverso, ponendo al centro i temi dell’autogestione e della ribellione apparentemente impossibile

Abbiamo bisogno di parole diverse. Un seminario promosso a Roma sui temi delle imprese recuperate ha detto una cosa: che gli occhiali con i quali siamo abitutati a guardare la società e le sue trasformazioni, ad esempio quelle del mondo dei lavoratori, non sono più adeguati. Quel seminario è nato dalla proposta di Alessandro Bagnulo, che si occupa da molto tempo di cooperazione internazionale e cooperazione sociale, e di Claudio Tognonato, sociologo e docente presso l’Università di Roma Tre, entrambi molto attenti al tema delle fábricas recuperadas in Argentina. Da loro è partito l’invito a un gruppo di persone (tra le quali i redattori di Comune-info) di raccogliere alcuni articoli, storie, dati e video in una piccola biblioteca virtuale (che trovate qui) e di organizzare un seminario, che si è svolto giovedì 6 dicembre a Roma. Gli obiettivi di questo gruppo di lavoro non erano volutamente, e non lo sono ancora adesso, definiti. Lo saranno strada facendo tramite il contributo di chi ha partecipato e di chi lo farà nei prossimi mesi. Certo, l’idea che il movimento delle recuperadas emerso nel 2001 sia qualcosa di importante anche per il contesto europeo attuale, per quanto completamente diverso, e l’idea che la storia delle imprese recuperate in Italia (ma anche in Spagna e Francia), con la legge Marcora, sia quanto meno da conoscere meglio, sono due punti di ancoraggio.

La prima iniziativa è stata un seminario, la prossima dovrebbe essere in gennaio la video proiezione di un documentario insieme alla Casa internazionale delle donne di Roma. Potrebbero seguirne altre, non per forza in forma seminariale. Di certo, l’incontro del 6 dicembre ha messo insieme persone diverse (studenti, delegati sindacali, cooperatori della Mag, ma anche occupanti del Cinema Palazzo e del centro sociale Strike, persone di associazioni come Altramente e Solidarius, femministe, giornalisti…), interrogativi importanti, punti di vista differenti. Più che fare una sintesi del confronto cominciato e sviluppato durante il seminario proviamo qui di seguito a raccogliere, in modo soggettivo e parziale, alcune domande e qualche spunto tra quelli emersi. Che dimostrano perché, al di là del desiderio di replicare certe esperienze, ha senso ragionare di questi temi.

La prima buona ragione per occuparsi di imprese recuperate è che si tratta di una straordinaria, e forse sottovalutata, forma di ribellione al capitalismo. Se è vero che non basta, anzi non serve, valutare una forma di lotta sociale in base ai «risultati» in termini di numeri, allora è vero che il movimento delle fábricas recuperadas in Argentina è importante perché va bene oltre la constatazione che ancora oggi oltre duecento imprese di quel tipo sono attive (a differenza di altre forme di protesta e solidarietà diffuse nel 2001, come il trueque, i blocchi dei piqueteros, le assemblee di quartiere). Quel movimento è importante soprattutto perché ha dimostrato che qualcosa di apparentemente impossibile, ribaltare alcuni capisaldi dell’ideologia capitalista, a volte diventa realtà.

La seconda buona ragione ha a che fare con la storia dei senza potere di ogni epoca e luogo. Per dirla in poche parole, gli insubordinati hanno bisogno di una storia della ribellione. Quella ufficiale è sempre scritta dai vincitori, da chi ha il potere. Se si ha una storia, ci ha spiegato Howard Zinn, siamo meno persi e si ottiene il vantaggio di riconoscere che ovunque le «concentrazioni di potere a un certo punto finiscono a pezzi, improvvisamente, sorprendentemente. E si scopre che alla fin fine sono molto fragili». E allor quali sono le altre lotte ed esperienze che hanno anticipato, «preparato» e accompagnato l’irruzione delle rivolte e delle autogestioni degli operai e delle operaie in Argentina?

Una terza ragione è scoprire come ovunque le imprese recuperate sono in realtà uno strumento di cambiamento sociale nel quale è determinante la relazione con il territorio. Giustamente alcuni hanno definito movimenti come quello delle recuperadas «zapatismo urbano», per spiegare come si tratti di una una lotta complessa che non ripete i linguaggi del potere per contrastarlo, che apre nicchie di autonomia, orizzontalità, di azione collettiva diretta, e che tende a svilupparsi nelle città. La profonda rottura provocata da queste imprese si nutre di solidarietà degli abitanti del quartiere in cui hanno sede, della cooperazione con lavoratori di altre imprese, e in qualche caso delle relazioni con sindacati aperti al cambiamento e con pezzi del movimento cooperativo. Ma il legame concreto con il territorio non potrebbe essere anche un modo per rovesciare l’astrattezza e l’assenza di legami con i luoghi (e quindi con le persone che li abitano) dell’economia e della finanza liberista?

La quarta ragione è la capacità di queste esperienze di mettere in discussione l’idea tradizionale di lavoro. Al centro di queste lotte c’è il recupero della dignità e del protagonismo di uomini e donne, il loro passaggio da vittime ad attori: le imprese recuperate non riammettono al lavoro ma sono una conquista del lavoro che richiede ai singoli di modificare ciò che si è fatto fino a quel momento, richiede improvvisazione, richiede l’abitudine all’assenza di controlli e comandi. La strada segnata da queste esperienze è un faro che illumina l’espressione autogestione, quella intorno alla quale è nato anche il movimento della cooperazione, oggi al quanto trasformato. E in fondo, quelle imprese non sono un modo attraverso il quale cercare di fronte a problemi comuni soluzioni comuni, che non prevedono più la delega?

Infine, una quinta buona ragione per occuparsi oggi di imprese recuperate è pensare l’autogestione dei lavoratori, cioè della produzione, anche come occasione per sperimentare innovazioni sul prodotto. Sono le persone, dicono quei movimenti, che devono decidere cosa, come e dove produrre. Perché, ad esempio, un’impresa in difficoltà che produce lavatrici non potrebbe essere recuperata e riconvertita, magari per vendere più servizi e meno prodotti, come lavatrici a basso consumo da dare in leasing e riparare invece che sostituire (riducendo quindi i rifiuti)? Insomma, il recupero delle imprese potrebbe intrecciarsi con i temi quanto mai urgenti della conversione per sostenere i processi di riduzione delle impronte ecologiche, ma anche con la necessità di riscoprire l’artigianato non industriale e con le nuove forme di lavoro autonomo?

Sono pericolose queste domande e queste ricerche? Forse sì.

Nella foto, festa in strada dei lavoratori e delle lavoratrici dell’hotel Bauen, di Buenos Aires, una delle esperienze più note di imprese occupate nel 2003 e recuperate. Nella biblioteca dedicata a questi temi, che trovate qui, non solo articoli ma anche quattro video.

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