Tutta la tradizione della sinistra politica del Novecento ha giustificato l’imposizione di avanguardie e gruppi dirigenti con l’impossibilità di potersi fidare delle “masse”. Perfino il vecchio comandante militare della rivoluzione più giovane e meno burocratica del secolo scorso, quella sandinista, spiegò a Gustavo Esteva; “Non possiamo fidarci della gente”. Nella escuelita zapatista, tuttavia, si poteva imparare il contrario, senza populismi, né altre etichette o terre promesse. Si tratta di libertà: la gente può agire liberamente e in modo responsabile. Il risultato è meraviglioso
di Gustavo Esteva
Si dice che sia stata la più bella delle rivoluzioni. Chissà. É stata senza dubbio la più partecipata. Era difficile trovare una famiglia nicaraguense totalmente estranea alla lotta contro Somoza. In quasi tutte c’era qualche membro, seppur fosse un cugino lontano, che partecipava in una qualche maniera. In molte famiglie tutti ci stavano dentro sino al collo.
I comandanti erano molto impressionati. Quando invitarono gli internazionali, poco dopo il trionfo, ci misero a lavorare in cose differenti. Mi toccò il gruppo di faccende urgenti. L’ultimo anno della guerra non si coltivò molto. Poteva diffondersi la fame. Ma stavano arrivando imbarcazioni cariche di alimenti. Si domandavano come distribuirli. Non sapevano se utilizzare una piccola impresa creata da Somoza, come brutta copia di Conasupo. (La Compagnia Nazionale di Sussistenze Popolari, impresa parastatale messicana che si dedicò al sistema di sicurezza alimentare nazionale dal 1962 al 1999, quando fu chiusa in seguito alla prime riforme neoliberiste, NdT).
Dopo una lunga discussione, il nostro gruppo dimostrò che questa impresa sarebbe stata piuttosto incapace e inefficiente e che correva il rischio di corruzione. In cambio, gli dicemmo, voi avete comitati sandinisti in ogni angolo di Managua, in ogni quartiere, in ogni paese… Affidargli la funzione di gestire le provvigioni gli darebbe una funzione sociale che si collegherebbe alla politica…e potrebbe essere molto efficace. La gente si fida ciecamente di voi, gli dicemmo. Era il momento di tradurre questa fiducia in fatti che possono portare a costruire una nuova società.
Dopo un paio di giorni ci informarono della loro decisione: avrebbero utilizzato la piccola agenzia creata da Somoza. Borge ci spiegò perché: non possiamo fidarci della gente. Non mi soffermo sulla tragica evoluzione successiva (delle vicende della rivoluzione sandinista in Nicaragua, ndt). Il fallimento dell’agenzia è stato solo il primo di una catena di errori che ha portato dove ha portato. Racconto questa storia per sottolineare la contraddizione: la gente si fida ciecamente dei suoi dirigenti, però questi non si fidano della gente. Vogliono portare avanti la loro rivoluzione dell’alto, con l’ingegneria sociale.
É una vecchia tradizione, che squalifica la gente per giustificare la necessità di avanguardie, di dirigenti, della costruzione dall’alto verso il basso. Teodor Shanin ha analizzato il problema in termini molto chiari alcuni anni fa: “Quando si crea l’opportunità di esprimersi democraticamente, la maggior parte della gente tende a votare a favore di cose che i buoni socialisti considererebbero preferenze piccolo-borghesi per il benessere; un po’ di pornografia, un po’ di sport – più o meno ciò che appare in un giornale popolare, che dà un’immagine approssimativa di ciò che la gente sembra desiderare-, più televisione che lettura, eccetera.”
La soluzione per cui hanno optato i socialisti, almeno in Europa, è stata quella di una élite che conducesse la gente verso una miglior comprensione del problema. Tale risposta sembrava soddisfacente e andava bene per questioni molto concrete e semplici, per decidere rapidamente. Ma in tutte le altre cose, le élite inevitabilmente si corrompono. L’unica maniera di controllare questa corruzione è smettere di essere élite, aprirsi alla gente, e dunque la gente apporta, al regime di decisioni, atteggiamenti che si rivelano eticamente, esteticamente e filosoficamente inaccettabili. Come fuggire da questo circolo vizioso?
Shanin ha fatto un lungo ragionamento per spiegare la riflessione che si faceva prima: coloro che sono disposti a morire per una causa hanno il diritto di disporre della vita degli altri. E ha aggiunto: é un modo per risolvere il problema. L’élite ha il diritto assoluto, si tratta del bene della gente, le hanno dato il potere affinché faccia il necessario per il bene della gente, e deve usare questo potere per risolvere tutti i problemi. Questo è stato a lungo il ‘credo’ dei socialisti. “Ma ora sappiamo che tutte le élite si corrompono, che non c’è stato un solo caso di una élite socialista che non si sia corrotta. La soluzione consiste dunque nel fatto che non ci siano élite? Che le masse si occupino della questione? Non so la risposta.
La risposta può essere che non capiamo bene la maggioranza della gente, che essa è portatrice dei semi di trasformazione della società, che fioriranno nel momento in cui alla gente si permetterà di esercitare la sua volontà per un tempo sufficiente, senza che la si strattoni da una parte all’altra. Ma questo, come tutte le cose, deve essere insegnato: può essere una convinzione generale, ma deve essere insegnata: puro populismo, il miglior populismo. Ma il populismo non ha funzionato, neanche il miglior populismo. Penso sia questo il modo in cui siamo arrivati ad un vuoto disastroso. Ci siamo impantanati.
Nella escuelita zapatista abbiamo imparato che non siamo più nel pantano. Che ci si può fidare della gente, senza populismi, né altre etichette o terre promesse. Che si tratta di libertà: che la gente può agire liberamente e responsabilmente. E che il risultato è assolutamente meraviglioso.
Fonte: la Jornada. Titolo originale: Protagonistas y protagonismos
Traduzione a cura di CamminarDomandando.
Gustavo Esteva vive a Oaxaca, in Messico. I suoi libri vengono pubblicati in diversi paesi del mondo. In Italia, sono stati tradotti: «Elogio dello zapatismo», Karma edizioni: «La Comune di Oaxaca», Carta; e, proprio in questi mesi, per l’editore Asterios gli ultimi tre: «Antistasis. L’insurrezione in corso»; «Torniamo alla Tavola» e «Senza Insegnanti». In Messico Esteva scrive regolarmente per il quotidiano La Jornada ma i suoi saggi vengono pubblicati anche in molti altri paesi. In Italia collabora con Comune-info.
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Versione in lingua originale
Protagonistas y protagonismos
di Gustavo Esteva
Dicen que fue la más bella de las revoluciones. Quizás. Fue sin duda la más concurrida. Era difícil encontrar una familia nicaragüense enteramente ajena a la lucha contra Somoza. En casi todas había algún miembro, así fuese un primo lejano, que participaba de alguna manera. Muchas familias completas estaban metidas hasta el cuello.
Los comandantes eran muy impresionantes. Cuando invitaron a los internacionales, poco después del triunfo, nos pusieron a trabajar en distintas cosas. Me tocó en un grupo con tareas urgentes. El último año de la guerra no se cultivó mucho. Podía cundir el hambre. Pero estaban llegando barcos cargados de alimentos. Se preguntaban cómo distribuirlos. No estaban seguros de emplear una pequeña empresa creada por Somoza, como mala copia de Conasupo.
Después de larga discusión, nuestro grupo hizo ver que esa empresa sería muy incapaz e ineficiente y corría riesgo de corrupción. En cambio, dijimos, ustedes tienen comités sandinistas en cada manzana de Managua, en cada barrio, en cada pueblo… Encomendarles la función de abasto les daría una función social que se enlazaría a la política… y podría ser muy eficaz. La gente confía ciegamente en ustedes, les dijimos. Es el momento de traducir esa confianza en hechos que pueden llevar a construir la nueva sociedad.
Después de un par de días nos informaron de su decisión: utilizarían la pequeña agencia creada por Somoza. Borge nos explicó por qué: No podemos confiar en la gente. No me detengo en la trágica evolución posterior. El fracaso de la agencia fue sólo el primero de una cadena de errores que llevó adonde llevó. Cuento la historia para subrayar la contradicción: la gente confía ciegamente en sus dirigentes, pero éstos no confían en ella. Quieren llevar adelante su revolución desde arriba, con la ingeniería social.
Es una vieja tradición, que descalifica a la gente para justificar la necesidad de las vanguardias, los dirigentes, la construcción de arriba hacia abajo. Teodor Shanin nos planteó el problema en términos muy claros hace algunos años:
“Cuando se crea la oportunidad de expresarse democráticamente, la mayor parte de la gente tiende a votar en favor de cosas que los buenos socialistas considerarían preferencias pequeño-burguesas por el bienestar; un poco de pornografía, un poco de deportes –más o menos lo que aparece en un periódico popular, que da una imagen aproximada de lo que la gente parece querer–, más televisión que lectura, etcétera.
La solución elegida por los socialistas, por lo menos en Europa, fue la de que una élite condujera a la gente hacia una mejor comprensión del problema. Tal respuesta parecía satisfactoria y era apropiada en cosas muy concretas y simples, por decidir de un solo golpe. Pero en las demás cosas, las elites inevitablemente se corrompen. La única manera de controlar esa corrupción es dejar de ser elite, abrirse a la gente, y entonces la gente trae al régimen de decisiones actitudes que resultan ética, estética y filosóficamente inaceptables. ¿Cómo escapar de este ciclo?
Shanin contó una larga historia para sustentar la reflexión que antes se hacía: Quienes están dispuestos a morir por una causa tienen derecho a colgar a otros. Y agregó:
Es una forma de resolver el problema. La élite tiene el derecho absoluto: se trata del bien de la gente, se le ha dado el poder para que haga lo necesario por el bien de la gente, y debe usar ese poder para resolver todos los problemas. Ese fue por mucho tiempo el apotegma de los socialistas.
“Pero ahora sabemos que todas las elites se corrompen, que no ha habido un solo caso de una élite socialista que no se haya corrompido. ¿Radica entonces la solución en que no haya elites? ¿Que las masas se hagan cargo del asunto? No sé la respuesta.
La respuesta puede ser que no entendemos bien a la mayoría de la gente, que ella es portadora de las semillas de transformación de la sociedad, las cuales florecerán una vez que a la gente se le permita ejercer su voluntad por suficiente tiempo, sin que se le esté empujando de un lado para otro. Pero esto, como todas las cosas, debe ser enseñado; puede ser una creencia general, pero debe ser enseñado: populismo puro, el mejor populismo. Pero el populismo no funcionó, incluso el mejor populismo. Así es como pienso que llegamos a un desastroso vacío. Nos empantanamos.
En la escuelita zapatista aprendimos que ya no estamos en el pantano. Que se puede confiar en la gente, sin populismos ni otras etiquetas o tierras prometidas. Que se trata de libertad: que la gente pueda actuar libre y responsablemente. Y que el resultado es enteramente asombroso.
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