di Mara Trovato*
Siamo a Catania, nelle periferie delle periferie, quelle affollate di anime invisibili, quelle più dimenticate.
Spesso le attraversi velocemente su tangenziali che portano al mare, all’aeroporto, verso l’Etna. Li avrai visti quei bastioni di cemento, anche di sottocchio, e sicuramente ti sarai chiesto almeno una volta: ma come fanno a viverci?
Agglomerati grigi, case su case, mancanza di spazi verdi fruibili, scheletri di cemento incompiuti, assenza di luoghi di aggregazione sociale che non siano biliardi e centri scommesse, e gli ultimi circoli per anziani, spesso gestiti da una fatiscente presenza politica.
Brutti, sporchi e cattivi, tra di loro c’è chi non vorrebbe abitare altrove, leoni nel loro territorio e coyote fuori, c’è chi non può fare altrimenti e si adegua, c’è chi si chiude la porta dietro le spalle. Spesso, per chi vi abita, tutto sembra, o diventa col tempo, tragicamente normale.
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Ma perché vengono progettati così certi quartieri periferici? A quale scopo? Non dovrebbe cominciare tutto da qui? Il cambiamento, la rinascita, la speranza di un futuro migliore? Parole sentite e risentite, slogan elettorali a cadenza periodica. Parole che non fanno più presa, non destano interesse perché qui, nella “periferia della periferia” catanese, il tempo si è fermato.
Politicamente e socialmente tutto deve restare così com’è e quel preciso ordine di cose va tramandato meccanicamente, da generazione in generazione. “Voti a perdere” con la promessa rassicurante che il cambiamento non arriverà mai. Protagonisti inaspettati alle recenti votazioni 2017 per il segretario del Partito democratico.
Davanti alcuni uffici del comune dislocati in uno di questi quartieri periferici, sento due parlarsi addosso, uno di questi è un posteggiatore abusivo, una presenza “normale” a Catania centro, meno nelle periferie. Una signora si accinge a lasciare il posto che non le spetta perché riservato ai disabili, imprecando che si sarebbe trattato solo di un attimo. “Questo è il posto dei disabili!”, dice il posteggiatore abusivo. “E va beh! Ma due minuti!”, risponde lei. “Iu cca non ci fazzu posteggiari a nuddu! E su veni ‘ndisabili? Chi facemu?” (Io qua non faccio posteggiare nessuno! E se arriva un disabile? Che facciamo?). Sorrido per il paradossale richiamo alla legalità e penso che forse, se avesse avuto una possibilità, un lavoro onesto, forse…
Forse chi vive in questi quartieri il mondo lo deve guardare con occhi grigi. Grigi di agglomerati di cemento, sporchi, trascurati, spenti come vecchi ed inutili bastioni dove tanta gente viene ammassata. Un pullulare di energie che è meglio sedare e convincere che non esiste alternativa migliore.
Scrive Peppino Impastato (secondo una ricostruzione di Claudio Fava, raccolta in I Cento Passi):
“Fanno ‘ste case schifose con le finestre in alluminio e i muri di mattoni finti… I balconcini, la gente ci va a abitare e ci mette le tendine, i gerani, la televisione e dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio, c’è, esiste, nessuno si ricorda più di com’era prima, non ci vuole niente a distruggere la bellezza… E allora… bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla… La bellezza, è importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto…”.
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.* Fotografa e narratrice, vive in Sicilia. Il suo blog è maratrovato.com
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