Dovremmo costituire ovunque “circoli di cultura sociale”, quali spazi collettivi indipendenti di approfondimento e di azione. Iniziative simili sono state promosse da Capitini e Freire. Si tratta di partire da noi, là dove stiamo e dove possiamo pensare e agire. Una lettera di Carlo Ridolfi
Questa è una lettera per tentar di ragionare a voce alta, in questa autunno del nostro scontento, che probabilmente precede un inverno ancora più rigido.
Stiamo assistendo, mi pare evidente, ad una sorta di ‘tempesta perfetta’, che, unendo la sciagurata riduzione del numero dei parlamentari con il risultato in numero di seggi, causato da un altrettanto sciagurata legge elettorale, ha portato le destre ad avere in Parlamento una forza tale, probabilmente spalleggiata da chi di sinistra non è mai stato come Calenda & Renzi, da avere la possibilità di modificare la Costituzione senza necessità di ricorrere a referendum.
Quindi: presidenzialismo da un lato e, dall’altro e per mantenere gli equilibri della coalizione di destra, un’autonomia differenziata che amplierà disuguaglianze e ingiustizie.
Se, poi, a questo scenario nazionale aggiungiamo uno sguardo più ampio, quello che ci aspetta è di sicuro un inverno difficilissimo dal punto di vista economico e sociale, con misure di austerità imposte dalla crisi energetica conseguente all’attuale stato di rapporti con la Russia. Con venti di guerra che sembrano esser tornati a soffiare sull’intero pianeta, sia per la politica di aggressione messa in atto da Vladimir Putin, sia per una strategia di ‘contenimento’ degli Stati Uniti che può rischiare di incendiare gli scenari in Europa (Ucraina e non solo) e in Asia (Taiwan), chiamando a confronto armato anche la Cina.
Aggiungiamoci una pandemia che è tuttora presente e l’emergenza climatica e potremmo concludere – per dirla in amarissima ironia – che ci sarebbe da sperare che Elon Musk proceda al più presto a rendere possibili i viaggi su Marte, per lasciare in tante e tanti questo pianeta al quale vogliamo sempre più male.
Ma, purtroppo e allo stesso tempo per fortuna, non siamo all’interno della sceneggiatura di Don’t Look Up, film interessante e imperfetto che ha curiosamente aperto proprio l’anno in corso, ma nella quotidianità planetaria alla quale nessuno e nessuna di noi è estraneo.
Escludendo, quindi, l’ipotesi di un esodo fuori dal pianeta, torniamo a chiederci – senza necessariamente rifarci a modelli che hanno dimostrato il loro fallimento concreto nella storia – “che fare”?
Come abbiamo cercato di rispondere, in questi anni, alle ricorrenti situazioni di crisi?
(Io dico, per fissare una data di inizio, dal 2001, anno in cui avrebbero potuto ancora esser presenti dei segnali concreti di vie alternative, stroncati in modo tragico prima dalle repressioni al G8 di Genova e poi dall’attacco alle Twin Towers e alle successive azioni di guerra).
Qui ci vorrebbe il Giorgio Gaber di Anni affollati per riprendere con lucidità l’elenco di quali mille strade si sono prese.
Diciamo, per brevità di esposizione, che ci sono state almeno tre macro tendenze di risposta individuale, sociale e politica.
La prima è stata quella della dispersione in mille rivoli e nicchie, dalle adesioni alle più improbabili filosofie olistiche all’asserragliarsi educativo nelle scuole parentali.
La seconda è stata quella della integrazione nelle strutture burocratiche, di partiti o sindacati o associazioni varie, magari cercando un possibile sbocco di vita professionale in qualche mandato parlamentare.
La terza è stata quella della ramificazione, spesso lastricata di buone intenzioni, in “reti” di gruppi di pressione su singole istanze o di organizzazioni socio-culturali (quasi sempre rispondenti a una specie di gorgo dal quale pare non si riesca a sfuggire, che consiste nelle tre fasi: a) spontanea-aurorale; b) organizzativa; c) burocratizzante che hanno cercato di mettersi insieme per diventare massa critica, ottenendo però nella migliore delle ipotesi quella di poter partecipare con qualche margine di possibile successo in più alle forme di elargizione economica rappresentate dai ‘bandi’ o, nella peggiore, quella di produrre qualche documento o manifesto nel quale risulta maggiore, fatti bene i conti, il numero delle firme e delle sigle in calce rispetto all’effettivo rappresentanza dei firmatari.
Nessuna di queste tre forme di risposta – pur considerando singoli episodi di successo o di locale effettivo spostamento delle condizioni reali – ha dato risultati sufficienti e di trasformazione di lungo periodo.
Io credo – la propongo come ipotesi, senza pretesa di dichiarazioni apodittiche – che una delle possibili spiegazioni di questa insufficienza sia riposta in un antico limite delle volontà di cambiamento: quello di attendere la legittimazione del proprio agire da un qualche riconoscimento quantificabile e gratificante.
Cerco di spiegarmi: per quanto sempre propensi all’inneggiare alla solidarietà e alla cooperazione, contrapposte alla competizione e all’affermazione individuale, nessuno di noi è estraneo alla (umana, troppo umana) aspettativa di premi, incentivi morali, sollecitazioni positive.
Sul piano macro-politico questo si estrinseca, ad esempio, nel ritenere che solo la forma legislativa, compiutamente espressa in ambito parlamentare, sia quella che dà forma e sostanza alle possibilità di cambiamento.
Lo è, certamente. Ma solo in parte.
Forse – non si prendano queste affermazioni come un afflato nostalgico rivolto ad un, peraltro inesistente, bel-tempo-che-fu, nel quale, al massimo, il “bel” che c’era era essere un po’ più giovani e, per qualcuno di noi avere qualche capello in più – sarebbe il caso di provare a considerare la possibilità di forme di pensiero e di azione finalizzate al cambiamento di tipo extra-parlamentare.
Senza nostalgie, appunto, senza pensare che riformando o rifondando o riproponendo l’ennesimo partitino o raggruppamentino o gruppuscolino ci si possa ritrovare come per incanto in condizioni ottime e generative.
Ma assumendo come prima dimensione del nostro agire, essenziale e irrinunciabile, il fatto che l’orizzonte della liberazione e della libertà (liberazione dalle condizioni di sfruttamento e dall’alienazione; libertà di autodeterminazione che non dimentica il legame sociale) non è un diritto acquisito che ci viene elargito da qualcun altro (micro organizzazione sociale come la famiglia o il gruppo di pari o macro organizzazione socio-politica come un Parlamento), ma un (duro) dovere al quale dobbiamo fornire tutte le nostre energie e intelligenze possibili.
Senza spontaneismi, estremismi, movimentismi di corto respiro.
Fuggendo come la peste idee, già mille volte messe in pratica con esiti letali, di aggregazioni più o meno fideistiche, più o meno leaderistiche, più o meno palingenetiche.
Ma – lo pongo come esempio e come una delle possibili proposte concrete, non certo l’unica e non esaustiva – riprendendo il cammino dello studio, dell’approfondimento, della discussione comune, che spesso abbiamo trascurato, se non del tutto tralasciato in questi anni, rincorrendo questo o quell’effimero messaggero di modernità (dalla ‘flessibilità’ alla ‘meritocrazia’ alla ‘resilienza’, tanto per far solo qualche triste esempio).
Costituendo – in forma auto-organizzata, indipendente, autonoma nell’iniziativa e nel sostentamento – Circoli di Cultura Sociale (sì, iniziative simili le aveva prese Aldo Capitini; sì, anche Paulo Freire; non mi sembrano proprio dei riferimenti da trascurare) che uniscano l’approfondimento dei “fondamentali” teorici (in economia, in storia, in sociologia, ma anche in letteratura, in teatro e cinema, in musica etc. e, come ulteriore esempio, senza dimenticare quella dimensione del sacro che appare intrinseca all’essere umano) alla sperimentazione di pratiche di azione che portino a proposte concrete (ad esempio, ma sono solo alcuni dei molti possibili: riduzione dell’orario di lavoro e salario minimo di cittadinanza; servizio civile europeo obbligatorio per ragazze e ragazzi; affiancamento educativo territoriale alle istituzioni scolastiche; individuazione di forme di rappresentanza effettive non vincolate dall’insufficiente ricorso al principio di maggioranza, etc.).
Non partendo ‘dal basso’, come ci diciamo di solito.
(Anche questa del linguaggio è una questione decisiva: potremmo cominciare espungendo dalle nostre comunicazioni parole come “cantiere”, “rifondazione”, “fase costituente”, “progressista” e così via, ormai logorate dal tempo e dallo sfinimento?).
Non partendo ‘dal basso’, perché questa concezione spaziale bidimensionale rischia di confinarci senza pietà nell’idea e nell’accettazione concreta che nelle relazioni tra umani esistano dei vertici e delle basi e che se noi siamo la base dobbiamo aspirare a raggiungere il vertice, perpetuando così le forme di dominio esistenti.
Partendo da noi: uomini e donne in carne e ossa e sangue e muscoli e cervello, là dove stiamo e dove possiamo pensare ed agire.
Perché c’è mondo fuor dalle mura che ci raccontano essere le uniche abitabili ed è nostro dovere continuare ad esplorare e scoprire.
[Carlo Ridolfi]
Marina Dm dice
Grazie per questo articolo ! c’è bisogno di comunità e di argomenti di senso di cui parlare, approfondendo tematiche in circoli di cultura e di relazioni, in convivialità !
GIUSEPPE dice
gENTILE AMICAed amici che avete le stesse aspirazioni, ,vorrei restare in contatto con te e con voi per cercare di capire come rendere appetibili, meritevoli di partecipazione attiva, a molta gente comune ( al posto di “ballando sotto le stelle”……)queste occasioni di confronto . Se mi mandate a “” il vostro indirizzo possiamo incontrarci lì senza occupare impropriamente questo pur bellissimo spazio fatto però per i commenti sull’articolo. Grazie
GIUSEPPE dice
insieme con una amica prof.ssa avevamo cercato di organizzare uno spazio di ricerca politica nell’ambito democratico. E’ franato subito tutto perchè le persone coinvolte hanno mostrato atteggiamento completamente passsivo. Si attende che ci sia sempre qualcun altro che fa , io(impersonale) ascolto,e, al massimo , annuisco.Così si sta fermi. CHIEDO CONSIGLI PER CREARE PARTECIPAZIONE FATTIVA ,IMPEGNO, A UNA INIZIATIVA DEL GENERE, G R A Z I E !!!!
PIERA dice
i commenti sono pertinenti ed interessanti ma gli incontri potrebbero avvenire via email, giusto per non escludere nessun interessato agli argomenti trattati .