di Matteo Saudino*
Del Michele Serra di Cuore non vi è più traccia da oltre un decennio. Il giornalista di Repubblica, nonché autore televisivo dei programmi di Fabio Fazio, è la pallida e illanguidita ombra della brillante, corrosiva e satirica penna degli anni Novanta. Detto questo, proviamo senza pregiudizi ad entrare nel merito dell’elzeviro di 1.500 battute del 20 aprile 2018, in cui lo scrittore affronta il tema della violenza degli alunni contro gli insegnanti, che tanto scalpore sta destando tra gli addetti ai lavori e tra l’opinione pubblica in questi mesi.
Come prima cosa, Michele Serra afferma che la violenza e il bullismo scolastico sono una piaga che colpisce quasi esclusivamente gli istituti tecnici e professionali e, conseguentemente, in modo del tutto marginale ed insignificante i licei. Tale affermazione mi sembra una verità tanto corretta e incontrovertibile quanto scontata e banale, che si fonda sulla analisi empirica di quanto avviene nella realtà. I casi di cronaca, per quanto magari ingigantiti, romanzati e spettacolarizzati dai social media e da giornali e tv sempre più agonizzanti e alla spasmodica ricerca di scandali, corroborano tale situazione.
Il secondo passaggio logico, su cui si cimenta Michele Serra, è più complesso e, a mio avviso, incompleto e in parte errato. Lo scrittore, infatti, sostiene che “il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di appartenenza”. Vediamo insieme. Per quanto riguarda il livello di padronanza delle parole, Michele Serra non ci dice purtroppo nulla di nuovo, anzi ci ribadisce quanto sostenuto negli anni Sessanta da don Milani, ovvero che la scuola italiana è ancora profondamente classista, e in essa vengono perpetuate le disuguaglianze sociali di un sistema economico e sociale profondamente ingiusto. Pertanto, alle mille parole possedute dallo studente figlio della borghesia ne corrispondono cento possedute dal figlio del proletariato. Ciò determina, ovviamente, non possedere le stesse possibilità per costruirsi una vita libera e dignitosa. Intendiamoci possiamo anche pensare che questo sia giusto e naturale, in un’ottica di darwinismo sociale. Certamente su questo tema, l’intellettuale, un tempo comunista, tace, non proferendo una sola parola, sulle responsabilità di quei governi liberisti a guida Pd, che ha di fatto sempre appoggiato in questi anni. Non ricordo, infatti, articoli critici sulla buona scuola renziana, che, ad esempio, impoverisce culturalmente ancor di più gli istituti tecnici e professionali, portando da duecento a quattrocento le ore destinate all’alternanza scuola lavoro, ovvero le ore di lavoro gratuito che gli studenti donano alle imprese. Per quanto concerne, invece, il rispetto delle regole, spero francamente che Michele Serra abbia preso un abbaglio, dovuto alla calura improvvisa di fine aprile; magari le classi popolari non rispetteranno le regole della buona educazione civile, ma cosa dire del rispetto delle regole da parte dell’alta borghesia e del ceto imprenditoriale e dirigente di questo Paese? Evasione fiscale, tangenti, corruzione, mafia, stragi, riciclaggio di denaro, lavoro nero, leggi ad personam, guerre: sono queste le regole rispettate da coloro che hanno frequentato i licei? Ruttare, picchiare, insultare, minacciare sono certamente delle violenze, invece rubare denaro pubblico, sfruttare il lavoro, trattare con la mafia o bombardare civili sono azioni civili e democratiche? A tanto si è ridotta la sinistra moderata? A vedere la violenza brutta, volgare e rozza del popolo e a non percepire e condannare la violenza strutturale, in doppiopetto o pullover che sia, della borghesia sorridente e vincente sulla miseria e ignoranza delle masse?
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Michele Serra passa poi a criticare i populismi, in quanto movimenti che sfruttano la subalternità dei ceti popolari per proporre ricette politiche politica demagogiche e pericoloso. In questo caso, mi sembra che il giornalista affermi una sacrosanta verità. Le destre populiste e xenofobe, in Europa e in tutto il mondo, incanalano il malcontento popolare contro gli stranieri, i politici e le lentezze della democrazia, per costruire un progetto politico autoritario, che di certo non andrà a cambiare la struttura economica della società, che rimarrà sempre divisa in sfruttati e sfruttatori, in ricchi e poveri. Anche in questo caso vi è un però, un però che pesa come un macigno. Da che parte si è schierata la sinistra moderata italiana in questi anni? Con Monti, le banche, Confindustria e i mercati finanziari o con i lavoratori salariati, gli operai, i precari e i disoccupati? Le classi sociali meno abbienti sono state abbandonate da quella che un tempo si chiamava la borghesia illuminata, che ora si illumina solo realizzando politiche di austerità e tagli alla spesa sociale. Verrebbe da dire chi è causa del suo mal pianga se stesso, se non ci fossero di mezzo i destini delle nostre sempre più malate democrazie rappresentative.
Il finale dell’articolo è la sintesi dei pregi (pochi) e difetti (molti) dell’articolo. Michele Serra, infatti, ci ricorda che oggi come ieri i poveri continuano a riempire le carceri. Non serve, infatti, aver letto il capolavoro di Michel Foucault Sorvegliare e punire per comprendere che la modernità borghese, fondata sui diritti individuali e sulla proprietà privata, a partire dal Seicento, ha inventato le carceri per isolare, eliminare e sanzionare i soggetti sociali pericolosi, che minacciano lo status quo, l’ordine costituito, ovvero i poveri, i marginali. Le istituzioni totali quali carceri, manicomi ed eserciti sono da sempre luoghi politici per sorvegliare e punire coloro che con i loro atteggiamenti mettono, comunque, in discussione l’esistente e i rapporti di forza.
A mio avviso, il problema del bullismo e della violenza nella scuola andrebbero affrontati, al di fuori della spettacolarizzazione mediatica ed emotiva, come un problema sociale ed educativo complessivo. Invocare severità, punizioni, sanzioni esemplari, uso della forza o addirittura delle armi, nel medio e lungo periodo, serve a poco o a nulla. La convivenza civile e solidale infatti è il frutto maturo di un albero civile e solidale, che ad ora non c’è. Non cadiamo nell’infondato mito di una passata età dell’oro in cui vi erano rispetto ed educazione, in quanto il passato patinato vince sempre sulla vivida durezza del presente. La società di massa porta inevitabilmente con sé la sfida difficile di costruire una una società democratica, inclusiva e soprattutto giusta. Altrimenti, che scuola può sorgere in una società fondata su leggi che legittimano lo sfruttamento e la precarietà del lavoro, la disuguaglianza tra gli esseri umani, l’iniqua distribuzione delle risorse, il saccheggio della natura, e la mercificazione del mondo?
Al di là della forma e della retorica di alcuni progetti didattici educativi, una scuola figlia di una società ingiusta non potrà che riprodurre una società ingiusta, in cui i ceti popolari sempre conosceranno meno parole della borghesia e in cui i poveri saranno sfruttati e spesso finiranno in carcere per permettere ai ricchi di continuare ad arricchirsi.
*Insegnante di filosofia a Torino
Nota tecnica:
La seconda parte dell’articolo del prof. Saudino (a partire dalla frase “Michele Serra passa poi a criticare i populismi…”) tende a nascondersi. Infatti, se non si fa attenzione, sembra che l’articolo termini con un elenco di “articoli correlati”. Suggerirei di cambiare impaginazione e spostare l’elenco di “articoli correlati” in fondo a tutto il pezzo.
Articolo interessante.
Istruzione ed educazione non coincidono. Non basta introiettare ‘sapere’ per generare l’Uomo: puoi costruire un effeciente burocrate, un tecnico, uno scienziato, un linguista ma non un Uomo. L’istruzione deve essere una scelta interiore e non una coazione sociale. Non tutti resistono alla coltivazione in serra della loro esistenza. Occorre dare vita a nuove forme di trasmissione del sapere, forme capaci di coinvolgere l’intera persona, e non solamente la sua mente. Meglio scoprire il reale che impararlo in modo meccanico attraverso formule e metodi disincarnati.
Mi permetto in qualita’ di psichiatra ed analista di fare una piccola rettifica: i manicomi non sono nati come” luoghi politici” atti a sorvegliare e punire come tu Matteo affermi , ma per limitare i danni soprattutto fisici che i malati( perche’ la malattia mentale esiste ,frutto della genetica in primis ) infliggevano a se’ stessi e potenzialmente anche agli altri.
Della malattia mentale si e’ per secoli saputo poco e la psicofarmacologia e’ una scienza giovane perche’ nasce solo nel 1953, quando per caso ( come in tutte le scoperte scientifiche) si e’ osservato che somministrando un farmaco ai malati di tubercolosi ( la clorpromazina) vi era un netto miglioramento della loro timia . Di qui lo studio sui neurotrasmettitori, lo studio del cervello con tecniche di imaging,la ricerca di molecole che potessero influire sulla neurotrasmissione migliorando le condizioni bipolari o psicotiche dei pazienti. Questo dopo anni di tentativi , dal coma insulinemico , alla lobotomia prefrontale agli elettroschok, che se a posteriori possono essere considerati veri scempi , nel fine’800 , e primi ‘900 erano gli unici tentativi conosciuti per provare a tenere a bada la malattia.
Sei mai stato in un reparto psichiatrico con un paziente che mena e spacca tutto? In preda ad allucinazioni visive o uditive?
Io si’ ,nel mio passato ospedaliero e posso assicurarti che l’unica cosa che puoi fare in quelle situazioni e’ in primis il contenimento in una struttura chiusa per la sua e altrui incolumita’.
Sull’ abbrivio dell’avvento degli psicofarmaci Basaglia ha potuto aprire i manicomi , sono nati i servizi territoriali , i sert , le comunita’ alloggio.
Che poi nella espressione della malattia influiscano anche fattori di rapporti familiari,ambientali , sociali , di antropologia culturale, o in lettura psicanalitica di inconscio e’ incontrovertibile( si parla infatti di terapia integrata).
Che in passato si finisse in manicomio con piu’ facilita’ nessuno lo nega , ma come medico mi rifiuto di pensare a luoghi politici, sorveglianze, rapporti di forza , punizioni etc.
Il malato di mente non mette in discussione i” rapporti di forza”. E’ malato e basta.
Ha una grande sofferenza che esprime come puo’( delirio, allucinazione comportamenti compulsivi etc etc e non voglio tediarti oltre )con la stessa dignita’ di un cardiopatico o di un malato oncologico .
Spesso un ricovero in reparto psichiatrico e’ l’unico modo per risolvere uno scompenso acuto e riportare il malato ad un livello di vita sufficientemente adattativa per riinserirsi in famiglia , nel lavoro, con un livello di vita che sia degna di questo nome.
E la comunita’ dei “ cosidetti sani” ha il dovere di provare a curare , sforzarsi di comprendere e se necessario anche ricoverare.
Che poi attualmente si investa poco( economicamente parlando) a livello di welfare e’ una sacrosanta verita’, esattamente come si investe poco nella scuola.