Si dice che uno degli argomenti più gettonati nelle cene tra miliardari e banchieri sia ancora l’arte. Niente di nuovo: lo è sempre stato, almeno da quando esistono le banche. La stretta relazione tra i soldi e la creazione che si definisce artistica è antichissima ed è stata indagata e raccontata, per secoli, in ogni suo aspetto. Non sempre, tuttavia, quella relazione ha generato esiti virtuosi, anche perché l’ossessione di accumulare denaro – almeno da qualche decennio in qua – svela con sempre maggiore frequenza i suoi tratti più demoniaci: fabbrica pentole alla velocità della luce ma talvolta dimentica i coperchi. Ne è un esempio, estremo quanto significativo, la vicenda dell’imprenditore messicano che alla fine di settembre ha rivelato di aver dato alle fiamme un’opera di Frida Kahlo per trasferirne il valore in un non-fungible token (NFT). Non se ne è parlato molto: se il vandalismo sull’arte (stavolta niente affatto simbolico) lo fa un imprenditore, invece che i ragazzi dell'”estremismo” climatico, fa meno notizia. I certificati digitali di unicità, definiti anche come la nuova frontiera della tecnologia blockchain e della proprietà intellettuale on line, in pochissimo tempo hanno fatto realizzare profitti vertiginosi di milioni e milioni di dollari e sono un mercato in fortissima espansione. Eppure, come segnalano le preziose notizie di Valori – l’ottima testata grazie alla cui collaborazione con Comune potete leggere questo articolo – a febbraio il prezzo medio di un NFT era di circa 4mila dollari ma era già sceso già a 1.250 ad aprile, secondo quanto riferito dalla Cnn, che cita dati di un sito specializzato. I rischi di esplosione di una nuova bolla per un mercato finanziario tanto promettente quanto volatile e selvaggio sono più che evidenti

Non sempre ci si ricorda che giocare col fuoco può avere delle conseguenze. Così Martin Mobarak, uomo d’affari messicano, forse non aveva pensato alle ripercussioni legali del suo gesto quando ha deciso di bruciare pubblicamente un’opera di Frida Kahlo. Aveva creduto, anzi, che gli avrebbe fruttato milioni di dollari. Invece di dollari ne sono arrivati pochi e le conseguenze sono ora al vaglio della giustizia messicana.
L’opera date alle fiamme è “Fantasmas Sinistros”
Era il 30 luglio, c’era una festa a bordo piscina nella sua villa di Miami, in Florida. Nel video, che gira sui social da settembre, Mobarak ha i riflettori puntati. Smonta la cornice, estrae il disegno di Frida Kahlo intitolato Fantasmas Sinistros, lo appoggia su un bicchiere da Martini, dà fuoco all’alcol e lascia che l’opera si riduca in cenere. I mariachi suonano Cielito Lindo, gli invitati (artisti, collezionisti, designer) applaudono. È a tutti gli effetti una performance, di quelle che resterà nell’immaginario di molti. Ed è guidata dall’idea azzardata che bruciare un’opera nella sua forma reale la renda immortale e unica nel mondo virtuale grazie alla tecnologia NFT.
Per chi non ricordasse di cosa si tratta, l’NFT (Non Fungible Token) è un “gettone” crittografico e serve a stabilire l’autenticità e la proprietà di un file digitale. Si può paragonare al certificato di autenticità che si ottiene acquistando un’opera d’arte. Ma ogni NFT è unico, non replicabile, verificabile tramite una blockchain e soprattutto incorruttibile.
Il gesto di Mobarak, l’ennesima esagerazione del mondo degli NFT
Il gesto di Mobarak si inscrive – arrivando con un certo ritardo – nella storia recente degli NFT. Inventati nel 2010, se n’è cominciato a parlare diffusamente solo nel 2017, quando il sito CryptoKitties ha aperto al pubblico la possibilità di acquistare con criptovaluta e di “allevare” gattini digitali in edizione limitata. L’unicità di questi felini digitali (simili al vecchio tamagotchi), che di per sé sarebbero infinitamente ripetibili, è sancita appunto da un certificato NFT. Passati dai primi 100 esemplari a 2 milioni, il loro valore ha toccato i 7,27 milioni di dollari nel settembre del 2021.
In quell’anno gli NFT hanno generato vendite per oltre 25 miliardi di dollari. Nei primi mesi del 2021, il fondatore di Twitter Jack Dorsey ha venduto l’NFT del primo tweet del social per 2,9 milioni di dollari, mentre il New York Times ha venduto un articolo scritto appositamente dall’editorialista Kevin Roose e intitolato Buy This Column on the Blockchain per 563 milioni di dollari (dati poi in beneficienza).
Il crollo del mercato degli NFT
Era l’inizio della grande (ed estremamente energivora) bolla finanziaria degli NFT, che sta già ampiamente calando, tanto che Sina Estavi, imprenditore malese che aveva acquistato il primo Tweet da Dorsey, nella primavera del 2022 ha provato a rivenderlo pensando di arrivare a 50 milioni di dollari. L’offerta maggiore invece è stata di 29 dollari: lo 0,0001% del valore originale. In generale, le vendite di NFT sono diminuite del 60% solo nel terzo trimestre di quest’anno, passando da 12,5 miliardi nel primo trimestre dell’anno, a 8,4 miliardi nel secondo, e infine a 3,4 nel terzo. In tutto, negli scorsi mesi il valore è crollato del 97%. E il mercato dell’arte, che aveva toccato i 144 milioni l’autunno scorso, ora si aggira sui 9,4.

Per tornare a Martin Mobarak, il suo gesto non sarebbe potuto arrivare in un momento peggiore nemmeno senza le gravi ripercussioni legali a cui va incontro. Dei 10mila gettoni che aveva creato (corrispondenti ai 10 milioni di dollari di valore dell’opera), solo 4 sono stati venduti e alcuni con un forte sconto, per un valore inferiore a 11.200 dollari.
Perché Mobarak ha deciso di bruciare il dipinto
Ma torniamo indietro di qualche anno per spiegare come sia arrivato a dar fuoco al disegno Fantasmas Sinistros. Nel 2018 Terence Eden, dipendente del Government Digital Service britannico, si era registrato come autore e legittimo proprietario della Gioconda per “studiare” le implicazioni degli NFT.
Da una parte ha evidenziato l’ovvio paradosso: seppur nel mondo digitale Eden risulti come autore e legittimo proprietario della Monna Lisa, questo non gli permette di esercitare alcun diritto sul quadro presente al Louvre. Dall’altra Eden ha voluto riflettere sul fatto che sarebbe impossibile «assegnare in via permanente un certificato digitale a un’opera d’arte fisica». Perché nulla potrebbe impedire all’intermediario di sostituire o alterare l’opera reale.
Obiettivo (teorico): trasferire il valore dell’opera fisica all’NFT
E infatti nel marzo 2021 la società di blockchain Injective Protocol ha acquistato un’opera di Banksy, l’ha “convertita” in NFT e infine l’ha bruciata pubblicamente. Spiegando che altrimenti il suo valore sarebbe rimasto nell’opera fisica invece che nei certificati digitali. Injective Protocl ha dato il via a una serie di gesti simili. Per esempio Damien Hirst recentemente ha bruciato opere d’arte per milioni di dollari per il suo progetto “Currency”.
Ecco spiegata l’origine dell’idea di Mobarak. A differenza sua, però, Damien Hirst era però autore e proprietario a tutti gli effetti della propria opera e Injective Protocol aveva legalmente comprato quella di Banksy.

L’opera di Frida Kahlo è considerata patrimonio nazionale
L’opera di Frida Kahlo invece è considerata patrimonio nazionale messicano: nessuno ha diritto di rovinarla o distruggerla. L’Istituto Nazionale di Belle Arti e Letteratura, principale autorità culturale messicana, ha dichiarato di aver avviato delle indagini per verificare l’autenticità del disegno. Se effettivamente lo fosse, Mobarak rischierebbe dieci anni di reclusione e una multa equivalente al costo dell’opera d’arte. Ma ci sarebbero conseguenze anche se si fosse trattato di un falso: potrebbe aver violato la legge sul copyright o essere indagato anche per frode.
L’applicazione degli NFT al mondo dell’arte aveva acceso molti entusiasmi: l’asta in cui l’opera di un artista poco conosciuto come Beeple è stata venuta per 69 milioni di dollari aveva sancito la possibilità di una disintermediazione dell’arte, dove è il pubblico a decidere direttamente cosa vale di più e cosa vale di meno.
Inoltre il gesto di Terence Eden aveva conquistato gli animi di chi ci vedeva un modo goliardico e post-moderno di minare il principio di autorialità. Forse c’è anche questo, ma per lo più sembra la storia di una bolla finanziaria, in cui sono girati miliardi di dollari, scoppiata presto e con un importante impatto ambientale visto che l’energia necessaria per l’acquisto di un NFT coincide con il consumo giornaliero di un’abitazione.
Di questa storia, la vicenda di Mobarak sembra un epilogo meno goliardico ma altrettanto post-moderno.
Articolo pubblicato grazie alla collaborazione con il magazine on line Valori.it
Classico arricchito testa di cazzo