La guerra con tutti i suoi orrori bussa alle nostre porte. Come mantenere uno spazio di azione e di pensiero in questi tempi orribili? Come preservare l’umanità in noi? Come non lasciarci distruggere? In qualsiasi situazione possiamo sempre fare qualcosa. Ad esempio possiamo aprirci alle domande anche se non tutte hanno una risposta immediata. E possiamo imparare a cambiare sguardo sul mondo: come non riconoscere la potenza del gesto di Yocheved Lifshitz, la donna di ottantaquattro anni ostaggio di Hamas che dà la mano e dice Shalom e Salaam al carceriere? Appunti di un dialogo tra un uomo e quella che è stata la sua insegnante di storia
Viviamo in tempi terrificanti, difficili da accettare e in contrasto con quell’idea che ci ha illusi per tanto tempo: che il mondo potesse progredire sempre di più regalandoci tempi tranquilli e di pace. Oggi sembra che quell’idea sia ridotta a un campo di rovine. La guerra con tutti i suoi orrori bussa alle nostre porte.
Prendono così forma nuove domande e nuove responsabilità soprattutto per chi accompagna i più giovani nella loro crescita. Un mio ex allievo qualche giorno fa mi ha scritto:
“ […] Ho pensato molto a lei, alle sue lezioni di Storia e attualità, e mi sono reso conto di come le sono riconoscente per avermi trasmesso un modo di riflette analitico, ma allo stesso umano ed empatico. Ricordo che passammo molto tempo a discutere della storia della Palestina e Israele… Ricordo che lei ripeteva spesso che dobbiamo studiare la Storia per evitare che gli errori si ripetano. Eppure oggi non vedo altro che errori del passato continuare a ripetersi, l’odio continuare ad alimentarsi e trasmettersi da una generazione all’altra, e il rispetto per la vita umana e per la giustizia venir sempre meno. Chi mette in pratica l’odio – che siano i terroristi di Hamas o i soldati Israeliani che lanciano bombe su Gaza – sono sicuro che la Storia la conosce anche! La loro versione certo, ma non è credibile che non si interroghino mai sulla sofferenza dell’altro. Allora cos’è che manca? Ci sarà mai un modo, una svolta, un passo evolutivo collettivo che porterà ad arrestare la catena dell’odio?…”.
M. mi ha riportato ai giorni in cui ancora ero nella scuola ed è vero, lo dicevo spesso che dalla storia si poteva imparare molto, non solo studiandola, ma anche e soprattutto ragionando su di essa. La lezione di storia diventava un momento vivo di discussione, si ragionava su quanto era accaduto, si discutevano le varie posizioni e ognuno diceva la sua, ma soprattutto si imparava a porsi delle domande senza la pretesa di dare risposte definitive. Domande che avrebbero dovuto aiutarci a guardare la storia sempre con occhio critico e spirito di ricerca. Dalle domande si iniziava a documentarsi di più e meglio. Si cercava di comprendere, insieme, se la storia passata poteva avere una relazione con il presente e per questo si utilizzavano i giornali, e ci si interrogava sull’attualità. Sono sempre stata convinta che lo studio non deve limitarsi ad apprendere nozioni. Per me deve mettere in moto il pensiero, deve mettere in moto la riflessione del ragazzo, per discutere poi insieme agli altri dei propri problemi, delle proprie scelte, dei significati della propria esistenza. Per imparare un’arte preziosa: quella del dialogo.
Tutte le idee, tutte le domande avevano diritto di cittadinanza, ogni ragazzo doveva sentire che quanto diceva era sempre importante perché prima di essere disposti o addirittura capaci di prendere in considerazione quelle degli altri, prima di mettersi in un atteggiamento di dialogo vero, abbiamo tutti bisogno di sentire che anche le nostre idee vengono prese in considerazione.
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La cultura non dovrebbe essere fine a se stessa, ma dovrebbe in qualche modo legarsi alla vita. Lo studio è fatica, sacrificio e perché il ragazzo l’affronti con più serenità deve anche capirne i vantaggi: non solo quelli per migliorare il proprio avvenire dal punto di vista lavorativo ed economico, ma anche quelli per imparare ad affrontare la vita con consapevolezza, imparando che fare la propria parte può dargli un senso.
Ma proprio ripensando a quanto aveva imparato a scuola, M. mi ha interpellato dopo tanti anni e mi ha posto quelle domande che credo siano vive in molti giovani che vivono il tempo presente. Di fronte a ciò che è capitato in questi ultimi mesi sentiva l’esigenza di un confronto:
“In questi giorni, questi pensieri mi occupano la mente in modo così invasivo, che sento il bisogno di parlarne, di comunicarli a qualcuno. Quando sembrava che tutto fosse destinato a una duratura normalità, la impensabile e orribile guerra scoppiata alle porte dell’Europa mi ha fatto capire il mio posto nella Storia, e la mia fragilità allora ha fatto sì che interiorizzassi molto gli avvenimenti, il loro orrore. E la realizzazione più spiacevole di tutte fu che la Storia sta ‘andando male’, il futuro non è quel mondo roseo di progresso, giustizia e benessere che si pensava ci spettasse nei primi anni 2000. Da allora vivo in modo pessimista la Storia, e i fatti dall’orrore assolutamente inconcepibile della settimana passata, hanno soltanto rimarcato questa sensazione. … come è stato possibile?”.
Ciò che mi ha colpito è che M. non abbia trovato tra le persone che abitualmente incontra qualcuno con cui parlare, ma solo interlocutori
“restii, come se sentissero imbarazzo nel lasciar entrare in modo empatico nella propria comoda vita quotidiana questa consapevolezza che esistono sofferenze inimmaginabili altrove nel mondo, e che non va bene, che la Storia sta andando verso tempi sempre più bui”.
Allora si è rivolto a me, e mi ha chiesto se:
“c’è qualcosa che si può fare o dire, come piccoli cittadini, per cercare di ricostituire un po’ di umanità nell’umanità. Qualche cosa che sia contagioso e che aiuti le persone a dotarsi di empatia come estintore contro il fuoco dell’odio. Qualcosa di nuovo…”.
Com’è possibile agire e pensare “umanamente” in un mondo di cui non possiamo accettare la disumanità, l’ingiustizia, la crudeltà che sembrano avere la meglio? Come mantenere uno spazio di azione e di pensiero, anche in un mondo diventato disumano? Come preservare l’umanità in noi? Come non lasciarci distruggere? M. cerca “qualcosa di nuovo”, cerca di uscire da questo incubo, ma per fare qualcosa, per fare la sua parte, per non rimanere indifferente. Mi ha risvegliato dal torpore, dalla disillusione, dal senso di impotenza in cui mi sentivo anche io e con le sue domande forti, franche ora era lui che sollecitava me a risvegliare la voglia di reagire… e gli ho risposto.
Queste le tre riflessioni che mi sono venute in mente.
La prima. È una cosa molto bella ciò che lui sente. Certo che c’è sempre qualcosa da fare. Prima di tutto essere un uomo che respinge l‘odio, forse non riuscirà a spegnerlo, ma ad arginarlo sì, a dare testimonianza che è possibile essere diversi, senza presunzione, senza credersi migliori, ma rimanendo umani in un mondo disumano. Per questo si sentirà diverso, occorrerà coraggio per coltivare la sua diversità.
La seconda. Prendere consapevolezza di chi siamo nel mondo, vuol dire non diventare un’ombra tra le tante, vuol dire non essere chiusi nella gabbia dei pregiudizi. Vuol dire costruirsi una vita interiore e dei valori che diano forma alla propria vita, vuol dire aprirsi alle domande anche se non tutte hanno una risposta immediata. È un po’ essere nomadi, andare cercando, ma possibilmente con un po’ di serenità.
La terza. Dobbiamo andare incontro alla vita così com’è, senza tradire noi stessi, quello in cui crediamo, quello che vogliamo essere al di là di quello che succede fuori di noi. Dobbiamo trovare quella forza che fa sì che là dove siamo possiamo fare la differenza. Dobbiamo come diceva Nietzsche essere “Amici della ricerca e del tentativo”. Cercando, giorno per giorno troveremo un cammino, troveremo soprattutto un orizzonte verso il quale rivolgerci nella consapevolezza che nessun sogno, nessun progetto si realizza “subito”.
Gli ho infine lasciato un piccolo brano inserito in Vita e destino di Vasilj Grossman, un libro che racconta la seconda guerra mondiale, il nazismo e lo stalinismo con tutto il male che ne consegue. Eppure in questa terribile riflessione sul male, ad un certo punto lo scrittore dice:
“Ora, io ho avuto modo di constatare l’autentica forza del male.
I cieli sono vuoti.
Sulla terra l’uomo è solo.
Con cosa, allora, soffocare il male? Con gocce di rugiada viva, di bontà umana? Questa fiamma non la si può spegnere con l’acqua di tutti i mari e oceani (…).
Nell’impotenza della bontà fine a se stessa consiste il segreto della sua immortalità.
Essa è invincibile.
Quanto più è stupida, insensata, quanto più è impotente, tanto più è infinita.
Davanti ad essa il male non può nulla.
I profeti, i leaders, i riformatori, sono impotenti davanti a lei.
L’amore cieco e muto è il senso dell’uomo.
La storia dell’uomo non è dunque la battaglia del bene che cerca di sopraffare il male.
La storia dell’uomo è la battaglia del grande male che cerca di macinare il semino dell’umanità”.
Vasilij Semënovič Grossman, “Vita e destino“
E bisogna essere attenti alle apparentemente piccole cose che accadono ogni giorno. Come non leggere nel gesto di Yocheved Lifshitz, la donna di ottantaquattro anni ostaggio di Hamas, uno di questi semi? Liberata dalla prigionia, prima di lasciare il suo carceriere fa un gesto potentissimo contro l’odio, lo fa con semplicità e naturalezza: gli dà la mano, e gli dice Shalom e in arabo Salaam, che significa «Pace». Se tutti noi che siamo per la pace fossimo capaci di questi gesti forse almeno qualcosa sarebbe diverso. È stato un attimo, ma quell’attimo è prezioso, non va perso e va ricordato.
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Emilia De Rienzo, è stata insegnante e vive a Torino, cura un prezioso blog (Pensare in un’ altra luce). Nell’archivio di Comune i suoi articoli sono leggibili qui.
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