Come ho conosciuto Lucia Galasso? Dunque, di sicuro è stato tanti anni fa ed erano coinvolti i fumetti, i giochi di ruolo, Lucca e un gruppo di geniali cantastorie. Per me un’esperimento di sociologia della comunicazione, per lei forse un’approfondimento antropologico, ma ci siamo conosciute grazie al professor Luca Giuliano, inventore di sistemi di gioco. Dopo qualche anno scopro che ha un blog di antropologia in cui parla di cibo e tradizioni e ci incontriamo fugacemente al Salone del Gusto.
Lucia è un’antropologa culturale, specializzata in antropologia dell’alimentazione e con un amore quasi mistico per la storia della religioni. Concretizza le sue passioni accademiche in qualità di Segretario nazionale di Antrocom Onlus, Associazione di ricerca e di divulgazione antropologica, e come direttorice scientifico del Museo della Civiltà Contadina e dell’Ulivo di Pastena (Fr) dove ne fa di cotte e di crude. Non paga di tutto questo gestisce un blog e collabora con varie testate e realtà enogastronomiche italiane. Nel tempo libero si dedica a corrispondenze illuminate e illuminanti, legge, gioca online e offline, ricama, sogna e tenta disperatamente di essere una brava cuoca… ma di base fa l’apicoltrice.
Lucia ricama e sogna da quando la conosco e per questo ho voluto includerla nella mia raccolta di donne straordinarie legate in un qualche modo al mondo del cibo e della cucina.
Cara Lucia, ma che mestiere è l’antropologa dell’alimentazione? Io sul mio blog parlo di cultura e cucina, immagino che tu abbia trovato il modo di rendere tutto più scientifico e interessante, giusto?
Sul mio blog cerco di offrire una visione diversa del cibo. Molto spesso ci troviamo a seguire tradizioni o a mangiare piatti ai quali siamo abituati, ma dei quali abbiamo perso il senso, quel significato profondo che ce li fa sentire affini emotivamente, confortanti. Ecco, l’antropologia dell’alimentazione studia le interazioni tra l’essere umano e il cibo, dal punto di vista culturale descrivendo i sistemi e i comportamenti alimentari nelle diverse culture e da quello biologico prendendo in considerazione l’interazione gene-cibo-cultura fondamentale per capire quanto l’ambiente è stato importante nel plasmare le cucine di tutto il mondo.
Così quando scrivo di antropologia dell’alimentazione il mio compito è quello di spiegare quanto di “ovvio” ci troviamo nel piatto, sia questa una ricetta, una tradizione gastronomica legata ad una festa, a un territorio, a un periodo storico o alla nostra evoluzione.
Tu sei anche direttrice di un piccolo e delizioso Museo. Me ne parli? Che progetti hai per il 2013?
Dirigere il Museo della Civiltà Contadina e dell’Ulivo di Pastena è per me una gran gioia. Buona parte del mio 2012 è stata dedicata a questa piccola perla nascosta nell’entroterra della Ciociaria, nel basso Lazio. Tutto ruota attorno all’ulivo: il museo ha sede in un vecchio frantoio, il che evidenzia come la lavorazione e la produzione dell’olio avesse un’importanza economica notevole, oltre che a essere portatore di valori sociali e simbolici. L’allestimento museale ruota attorno a ciò, attraverso 13 sale che raccolgono oggetti tipici del lavoro e della tradizione contadina, ma anche ambienti tipici delle case del luogo, come la cucina e la stanza da letto.
Il mio tentativo è stato quello di rendere il museo “vivo” dando nuovamente voce ai lavori artigianali i cui strumenti sono custoditi nelle collezioni. Ecco quindi il perché dei laboratori di panificazione, di intreccio del vimini e di tessitura che ho organizzato. Sono convinta, da grande ammiratrice del lavoro di Richard Sennett, che tornare al lavoro artigianale educhi a tre cose fondamentali: sviluppa l’immaginazione, crea relazioni sociali sane e infine crea bellezza.
Per il 2013 ho intenzione di riproporre ancora questi laboratori e altri ancora. L’idea che cullo è di fare di questo museo un Museo del gusto dedicato all’olio di oliva e a tutti i giacimenti enogastronomici della Ciociaria, che meritano veramente. Tante cose bollono in pentola, intanto saremo partner di Festival nazionali importanti come OlioOfficina e Cerealia Ludi, e già questo è un gran traguardo tutto dedicato al nuovo anno.
Nel tempo libero ti dedichi anche all’apicultura, che pare un passatempo molto cool, anche questo ha a che fare con l’antropologia?
Già, le mie adorate api… A proposito, sarebbe bello mettere un’arnia nel guardino del museo! No, le api non hanno nessun legame con il mio essere un’antropologa (anche se poi mi è venuto naturale approfondire e studiare il loro legame con l’uomo e la nostra alimentazione). In famiglia abbiamo deciso, complice il pensionamento di mia madre, di dedicarci a questa attività. Abbiamo comprato un bel terreno in Abruzzo e installato le nostre prime 4 arnie. Un’avventura che non fa altro che insegnarmi quanto sia meravigliosa la natura e l’opera di questi piccoli insetti, infinitamente preziosi, per noi e per l’ambiente. Ecco, fare apicoltura è uno dei doni più belli che si può fare per il benessere del nostro ecosistema. Forse il nostro modo per chiedere scusa della tracotanza con la quale lo deprediamo. Almeno io la vedo così… Per me che starei le ore a osservare il lavoro delle mie api. E poi c’è il miele, quest’anno particolarissimo anche se veramente poco. Un millefiori colore dell’oro e profumato di erbe officinali.
Sono stata di recente negli Usa e come al solito li ho trovati: i famigerati spaghetti alla bolognese! Chi li ha inventati o come si sono auto rappresentati nei paesi anglosassoni? Svelami questo mistero, per favore!
Gli spaghetti alla bolognese sono il lascito degli immigrati italiane in terra anglosassone. La loro storia è veramente piena di sorprese. Prima di tutto questa ricetta ci racconta di come l’immigrato italiano, scappato dall’Italia per fame a inizio Novecento, avesse ormai la pancia piena in terra straniera, e proprio di quei cibi che in patria poteva solo sognare: pasta, ma soprattutto, carne. In seconda battuta gli spaghetti alla bolognese sono la risposta fusion alle ormai rigettate ricette contadine. Vivendo insieme nei grandi caseggiati, delle città americane, gli immigrati italiani, provenienti da varie regioni, iniziano a scambiarsi ricette, dando vita – in America – a una nuova civiltà italiana della tavola.
Gli spaghetti alla bolognese sintetizzano bene l’emergere di questa cultura gastronomica italo americana, e si trasformano così in “Spaghetti with meatballs”. In questa ricetta si incontrano due simboli (pastasciutta e carne) della prosperità del paese di origine con la realtà mangereccia offerta dalla vita in America. Gli spaghetti rappresentano così anche un punto di incontro tra le comunità italo americane e la tipica alimentazione degli Stai Uniti, un fattore talmente importante da far decidere agli imprenditori italiani di impegnarsi nella promozione di questo piatto. Ed è così che il 15 ottobre del 1929 “The Macaroni Journal”, l’organo della National Macaroni Manufacturers Association, pubblica la ricetta degli Spaghetti with meatballs, ad uso e consumo dei non italiani.
E dato che Lucia è una donna di cuore, ci ha lasciato una ricetta in puro stile da ricettario di inizio Novecento!
Spaghetti italiani e polpette
una libbra di carne trita
mezza libbra di spaghetti
una foglia d’alloro
uno spicchio d’aglio
una tazza di pan grattato
una tazza di concentrato di pomodoro o di concentrato di pomodori freschi
una cipolla piccola
2 chiodi di garofano
2 grani di pepe della Giamaica
Sale e pepe
Dato che in commercio esistono concentrati di pomodoro molto diversi fra loro, se se ne usa uno molto denso diluirlo con una tazza di passata di pomodoro in barattolo o una tazza d’acqua piena per tre quarti. Far scaldare lentamente, aggiungere sale quanto basta, le spezie, la foglia d’alloro e l’aglio tritato finissimo. Far cuocere (deve sobbollire appena) per un’ora, mantenendo il tegame ben coperto per conservare tutto l’aroma. Tritate finissima la cipolla e amalgamarla con la carne e il pangrattato, aggiungere sale e pepe per dargli sapore e formare con le mani delle polpettine di circa un pollice di diametro. Aggiungere alla salsa, rimettere il coperchio e lasciar cuocere lentamente per un’ora e mezza. Cucinare gli spaghetti, senza farli spezzare, fino a quando sono morbidi, quindi scolarli, sciacquarli e disporne uno strato in una teglia calda. Togliere le polpette dalla salsa e sistemarle su un piatto da portata. Coprire lo strato di spaghetti con la salsa, spargere un pò di formaggio grattugiato, aggiungere un altro strato di spaghetti, poi la salsa e il formaggio, e così via fino all’esaurimento degli ingredienti. Servire subito.
* dal blog tagliatellealragu
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