di Gianni Ballarini
Il 3 ottobre è una data simbolo. L’anniversario della catastrofe al largo di Lampedusa, con 366 morti ufficiali per l’inabissamento di un barcone con oltre 500 persone a bordo. Con la precisione macabra di un orologio svizzero, si sono susseguite stragi in mare anche nei mesi successivi. Tra il 12 e il 14 settembre scorso, in 5 naufragi al largo delle coste libiche ci sono stati circa 800 tra morti e dispersi. «Un omicidio di massa», per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim).
Un cimitero marino ha accolto sui suoi fondali, nell’ultimo quarto di secolo, più di 22 mila persone. In uno studio dell’European University Institute di Firenze, il 3% di quanti si imbarcano per raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo perde la vita nel viaggio. Alla tragedia di un anno fa, seguirono settimane in cui ministri, capi di stato e di governo, commissari europei ed editorialisti giurarono che serviva una nuova rotta alla politica continentale in tema di immigrazione e accoglienza. L’Italia varò l’iniziativa Mare Nostrum, l’operazione di soccorso in mare della Marina militare con 920 uomini dislocati su una nave anfibia; due fregate, ciascuna con un elicottero imbarcato; due pattugliatori; due elicotteri; un velivolo dotato dei dispositivi ottici a infrarosso, un aereo senza pilota Predator, con il supporto della rete costiera di radar. A metà settembre 2014 erano già arrivati sulle coste italiane, da gennaio, quasi 130mila migranti.
Nonostante Mare Nostrum, tuttavia, anche quest’anno si sono registrati duemilacinquecento morti, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur). «Mare Nostrum è un’operazione molto importante. Ma cura i sintomi, non la malattia», l’opinione della presidente della Camera Laura Boldrini. Eppure, oggi Italia ed Europa vogliono celebrare l’anniversario del 3 ottobre affondando l’operazione italiana. Strappando i solenni giuramenti e impegni assunti un anno fa e arroccandosi di nuovo nel fortino, nell’idea irrealistica di sigillare le coste del Mediterraneo all’immigrazione.
Da tempo si erano create le cosiddette “condizioni oggettive” per interrompere Mare Nostrum. La motivazione ufficiale è che costa troppo: 9 milioni al mese. In realtà, come ha dimostrato un’inchiesta di Avvenire, il salvataggio in mare incide per un 10% sui costi complessivi del capitolo migranti, dove la voce più consistente riguarda le loro spese di soggiorno. Ma c’è un’altra ragione sussurrata che spinge per inabissare l’iniziativa italiana: i partner europei (e non solo) la ritengono un attrattore di disperati. Fomenterebbe l’industria del traffico di “merce umana”, perché la presenza così ravvicinata delle imbarcazioni italiane alle coste libiche agevolerebbe i trafficanti. Abbasserebbe i costi. Gli avversari di Mare Nostrum chiamano questo effetto “pull-factor”: le navi della Marina renderebbero meno rischiosa la traversata. Tesi denigratoria. E irrealistica. Ma scritta nero su bianco su un documento di Frontex, l’Agenzia europea per le frontiere esterne.
Il ministro dell’interno, Angelino Alfano, ha così promesso che non vi sarà un secondo compleanno dell’operazione militare e umanitaria. Se n’è uscito raggiante dalla riunione europea del 27 agosto: «Da novembre l’Europa sarà sempre più protagonista del Mediterraneo». Alfano, con queste parole, confidava in una conversione umanitaria di quella specie di polizia del Mediterraneo a difesa dei confini europei, che è Frontex. Ma sono bastate poche ore per capire che l’uscita alfaniana era alquanto demagogica. Ha perfino provocato dei mal di pancia al suo stesso esecutivo. Il sottosegretario agli interni, con delega all’immigrazione, Domenico Manzione gli ha ricordato che «la responsabilità di far finire questa operazione se la può assumere soltanto il governo nella sua interezza». Per cui «Alfano ne dovrà parlare col presidente del Consiglio». «Capisco – ha aggiunto Manzione – che la penuria delle risorse possa mettere a rischio l’iniziativa italiana, ma sarebbe bene farla proseguire».
La balbuzie europea. Affidarsi a Frontex Plus è, infatti, un rischio. La missione europea, diventata operazione Triton, dimostra la balbuzie europea per iniziative che, oltre a presidiare le frontiere, siano volte al salvataggio di vite umane. Funzione che non rientra tra i suoi compiti. Le sue navi si fermerebbero a 30 miglia dalle coste italiane. Mare Nostrum si avventura fino a 170 miglia. Triton è così la conferma che per Bruxelles la migrazione è quasi interamente una questione di sovranità nazionale. La stessa commissaria Cecilia Malmström, responsabile degli affari interni nell’ultimo governo Barroso, ha ricordato che «la nuova iniziativa europea non sostituirà Mare Nostrum, perché avrà risorse più limitate. Spetterà a Roma decidere che fine farà l’iniziativa nata un anno fa». Il direttore esecutivo di Frontex, Jil Arias, ha rivelato in un’audizione all’europarlamento che le risorse impiegate per Triton dovrebbero essere circa tre milioni al mese. Pochi i mezzi messi a disposizione. Arias ha poi osservato che «il lancio di Triton nel Mediterraneo dipenderà sostanzialmente da due condizioni: la disponibilità dei fondi che saranno trasferiti dalla Commissione Ue e la disponibilità degli stati membri a partecipare». Al momento in cui andiamo in stampa, l’operazione ha incassato l’appoggio e il sostegno di Francia, Spagna, Germania. C’è tempo fino al 30 novembre per aderirvi. Ma è evidente che l’iniziativa non è sommersa dall’entusiasmo.
Torna in auge, invece, la chimera di una Fortezza Europa. «I leader continentali non intendono istituire vie sicure e legali per consentire ai migranti e ai rifugiati di raggiungere l’Europa. Fino a quando manterranno questa posizione, vite umane continueranno a perdersi in mare», il giudizio di John Dalhuisen, direttore del Programma Europa e Asia Centrale di Amnesty International.
Da tempo alcuni parlamentari ed esponenti italiani della società civile hanno messo sul tavolo una serie di proposte per un piano di ammissione umanitaria. Tra queste c’è quella elaborata dal senatore Luigi Manconi e dalla sindaco di Lampedusa Giusy Nicolini, presentata ufficialmente il 21 ottobre del 2013 al presidente della Repubblica. Quattro, in sintesi, i punti essenziali: a) garantire ai profughi viaggi legali e sicuri attraverso il Mediterraneo; b) una politica comune europea per l’asilo; c) una distribuzione più equa e razionale dell’afflusso di profughi e fuggiaschi sull’intero territorio europeo; d) una richiesta di protezione internazionale in quei paesi dove i movimenti di profughi e fuggiaschi si aggregano, si addensano e transitano. Una proposta che cozza con quella del ministro della difesa Roberta Pinotti, che trova la soluzione del dramma in una maggiore presenza militare della Nato nelle acque del Mediterraneo per fermare scafisti e presunti terroristi. Un’ulteriore militarizzazione del mare. Pinotti fa finta di non sapere che quella ai trafficanti è una battaglia infinita perché a fare gli scafisti sono sempre più spesso piccoli pescatori o gli stessi inesperti migranti.
La risposta al dramma non può essere che politica. Ernesto Galli della Loggia, in un editoriale sul Corriere della Sera del 18 giugno scorso, commentando i risultati di Mare Nostrum, ricordava che salvare non significa accogliere: «il primo è un obbligo assoluto, il secondo è una scelta politica». Le domande decisive, a suo avviso, sono: «quanti immigrati può accogliere l’Italia? Quanti l’Europa? Un numero illimitato? Può essere, ma allora sarebbe bene dirlo». E per capire da che parte sta lui, chiude l’editoriale scrivendo: «Pensare che dal bene non possa che nascere il bene è da ingenui o da sprovveduti. Soprattutto nelle democrazie, è spesso nel bene che può nascere il male». Questo strenuo difensore degli interessi e dell’identità nazionali dovrebbe togliere il velo di ipocrisia che avvolge il suo pensiero: non possiamo accoglierli tutti. Bene. Tuttavia, non riuscendo a mettere un tappo alle partenze dei migranti (senza avviare processi di pace e di crescita nei paesi di origine) quanto è disposto a lasciarne annegare, per poi non trovarseli come vicini di casa?
Fonte: Nigrizia.it
Titolo originale: Sommersi dall’ipocrisia
Daniela Cavallo dice
E la vergognosa politica che ha reso il Mediterraneo un confine militarizzato continua a fare altre vittime. Di ieri la notizia di altri due barconi affondati al largo delle coste libiche. Politici e giornalisti conniventi proveranno mai vergogna e dolore per quanto da anni sta accadendo, per tutti i fratelli che anziché una speranza hanno trovato la morte in fondo al mare?
Nelly dice
Per fare in modo che quella enorme fossa comune che è il Mediterraneo non aggiunga altre vittime a quelle numerosissime che già ci sono, il modo ci sarebbe, istituire i corridoi umanitari nelle ambasciate dei paesi da cui partono i migranti, nelle sedi dell’UNHCR, della Croce Rossa o altre organizzazioni ad hoc. I terribili viaggi di chi fugge dalle guerre, persecuzioni, povertà non sarebbero più nelle mani dei trafficanti di esseri umani, ma più dignitosi, le persone potrebbero scegliere le mete di elezione e, sicuramente, non sceglierebbero l’Italia, dove non esiste un progetto globale d’accoglienza degno di questo nome. Anche gli xenofobi, che sono in paurosa crescita in Italia, sarebbero contenti….
Gius dice
Solidarietà alle vittime. Ok, fatto. Adesso parliamoci in termini più pratici e “abbandonando il cuore”. L’Europa e gli altri stati del primo mondo (prima la Svizzera, poi Canada, Australia e Usa) stanno chiudendo le frontiere e sono sempre meno tolleranti verso gli stranieri. Questo è il dato di fatto, ora veniamo a noi. Possiamo accogliere clandestini senza identità a ritmi così elevati? Sì, se vengono distribuiti in tutta Europa. Domanda che si rifà a quanto detto prima: l’Europa lo fa? Lo faceva, ora ce li stanno rimandando indietro grazie a Dublino-II e ci impongono, diplomaticamente, di chiudere anche noi le frontiere quanto prima. Noi lo stiamo facendo? No, ancora no. Se no, può la sola Italia reggere un’immigrazione simile o anche più corposa nei prossimi anni o decenni? No, matematicamente non lo può fare. E’ una penisola piccola, in gran parte collinare o montuosa, sovrappopolata e priva di risorse energetiche come minerarie. Dunque, quali sono le conclusioni? L’Italia può aprire le frontiere, se e solo se, anche gli altri lo fanno. Se gli altri le chiudono, l’Italia non può non fare altrettanto per le ragioni sopra elencate.
Gius dice
*Solidarietà ai parenti delle vittime.
Gianluca C. - Comune dice
In realtà, Gius, abbiamo bisogno di una visione molto critica del concetto di frontiera, dobbiamo prima di tutto mettere in discussione definizioni come straniero e patria, magari recuperando la “fraternité”, la sorella povera e dimenticata del motto della rivoluzione francese. E questo ha conseguenze molto concrete nella vita delle persone, a proposito di “termini più pratici”.
Scrive Lorenzo Milani: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia patria, gli altri i miei stranieri”.
Gius dice
Gianluca, questi sono idealismi poco o per nulla realizzabili. O meglio, anche se volessimo realizzarli in Italia, non è detto che il resto del mondo farebbe lo stesso e ci ritroveremmo da punto a capo. Il ragionamento scientifico ti pone delle domande alle quali, quando è possibile, dai una risposta contestualizzata alla realtà in cui vivi. L’esperimento della lotta di classe c’è stato e l’Urss è fallita, quindi bisogna adattarsi alla società imposta dai vincitori e provare a fare quanto di meglio (o meno peggio) è possibile. Sempre senza ideologismi, ovvero attenendosi a ciò che è più razionale fare.