Martedì 17 ottobre, il vignettista Mario Notangelo ha pubblicato su ilfattoquotidiano.it questa disgustosa vignetta provocando le proteste di molte donne e imbarazzanti repliche dell’autore, proprio mentre in rete l’hastag #MeeToo – come spiega Cecilia Dalla Negra in questa bellissima lettera a Notangelo – rende ovvio «ciò che già avrebbe dovuto esserlo: la strutturale e sistemica violenza maschile contro le donne…». «Mi aiuti a capire come, esattamente, la sua vignetta contribuirebbe a “combattere le cose brutte… – scrive Cecilia – Nel frattempo noi… continueremo a lottare per “combattere le cose brutte”… continueremo a ridere quando vogliamo ridere, e non quando qualcuno ci spiega che dovremmo farlo. E a lottare anche contro di lei, che della cultura patriarcale, machista e violenta è – davvero – molto più vittima di tutte noi…»
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di Cecilia Dalla Negra*
Caro Natangelo,
chi le scrive è una donna cui nella vita è stata usata violenza. Non sono sola: mi fanno buona compagnia milioni di altre donne che lei, ieri, ha insultato. Sia chiaro: esserlo non mi rende la sola titolata a parlarne. Forse però mi da il diritto di decidere cosa mi fa ridere, e cosa invece no.
Cercherò di essere gentile, anche se lei non lo è stato con me. Ma questo non sarebbe un problema. Il problema, piuttosto, è che non lo sia stato nei confronti di centinaia di migliaia di donne che proprio in questi giorni, e poche ore prima dalla sua ultima, audace creazione, avevano preso il coraggio a due mani (loro si, per davvero), respirato a fondo, e deciso di consegnare la propria esperienza di violenza a quella cosa meravigliosa e fluida che sa essere la Rete.
Centinaia di migliaia, incoraggiate dall’hashtag “MeeToo”, che hanno reso ovvio ciò che già avrebbe dovuto esserlo: la strutturale e sistemica violenza maschile contro le donne (se uso termini troppo complessi, la prego, mi fermi). Non ci ha fatto caso? Strano, anche la sua timeline avrebbe dovuto esserne invasa. E moltiplicata per 10. E poi per 100. E poi per tutte le volte che a quella violenza – fisica e diretta – si è aggiunta altra violenza.
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Una cosa meravigliosa e fluida la Rete, dicevo. Che ci ha concesso la grande libertà di esprimere opinioni e lanciarle nell’etere. Libertà cui tuttavia raramente si accompagna quel senso di responsabilità (o più semplicemente, quel buonsenso) per ciò che scegliamo di lanciarci, nell’etere.
Vede, Natangelo, io con lei non ho alcuna voglia di parlare. Non ho voglia di dibattere su libertà di espressione, diritto di satira, Charlie Hebdo, pungenza del paradosso, coraggio. E d’altronde, a giudicare dalla sua reazione alle critiche, lei non ha voglia di parlare con me. Ho letto ogni commento pubblicato a margine della sua vignetta: termini usati a caso si moltiplicavano, senza alcuna coscienza nè cognizione di causa. Ho letto di libertà, di coraggio, di regole del politically scorrect, di provocazione. Di moralismo e di benpensanti femministe pasionarie pronte a scagliarsi contro di lei, nostrano Leone da Testiera che si fregia del proprio coraggio. L’ha spiegato persino a sua madre, quanto è duro fare il suo lavoro. E chissà lei cos’ha pensato, della sua ultima vignetta.
Ed è per questo che le chiedo, con tutta onestà, come possa esserle anche solo venuto in mente di pensarla, quella vignetta.
Non le auguro il male. Anche se – ne converrà – se lo meriterebbe. Giusto per coltivare quel senso di empatia che, evidentemente, madre natura non le ha concesso (o sarà stata forse l’educazione? Il sistema? L’arroganza della fama?). Ma no, non glielo auguro. Perché se lo facessi non sarei diversa da chi quella violenza sceglie di esercitarla. Non sarei diversa da lei, che l’ha esercitata su di me con un mezzo diverso. Eppure, pur sempre di violenza si tratta.
Fare satira su uno stupro non è diverso da usare violenza. È solo più “politicamente corretto”.
Nel suo tentativo di replica, ha scritto che “l’umorismo serve per farci superare le cose brutte”. Le sfugge un piccolissimo particolare, Natangelo. Che potrà anche essere vero, ma dovrebbe lasciarlo fare a chi “le cose brutte” le conosce davvero. Dovrebbe lasciarlo esercitare a noi, se, come e quando vogliamo. Perché se lo fa lei, su di noi, è solo un’altra forma di violenza. E quella che sta esercitando con l’arroganza della sua difesa, è persino peggiore di quella espressa con la sua vignetta. In fondo, il più semplice dei cliché: se non capiamo il suo umorismo, se non lo condividiamo, se osiamo dire che no, non fa affatto ridere, allora siamo, banalmente, stupide.
E mi permetta di aggiungere, Natangelo, che la satira è arte seria. È irriverente contro il potere, non contro chi, quel potere, lo subisce. Ma poiché non rido e sono, evidentemente, stupida, le domando aiuto. Mi aiuti a capire come, esattamente, la sua vignetta contribuirebbe a “combattere le cose brutte”. La cultura dello stupro, del suprematismo machista, della violenza, del possesso, così drammaticamente diffusa nel nostro paese. Mi aiuti, perché ho dei limiti e non capisco. Ci ho provato. Ma proprio non riesce a farmi ridere.
E allora, facciamo che le propongo una cosa io. Faccia un favore a se stesso: scelga 5 donne a caso che fanno parte della sua vita – amiche, colleghe, cape, sorelle, cugine, mogli, amanti, fidanzate, madri, impiegate al negozio sotto casa, scelga lei – e chieda loro di raccontarle un episodio di violenza. Ne avranno collezioni, stando ai dati che noi “femministe pasionarie” (o era “zitelle inacidite” che ci definivano i suoi sostenitori? Non ricordo) mettiamo insieme da anni per dimostrare l’ovvio. E cioè che la violenza dell’uomo sulla donna, l’esercizio del suo potere attraverso l’imposizione della forza, è fenomeno ormai strutturale e oserei dire culturale, stando al tempismo della sua audace, coraggiosa ed irriverente vignetta.
E adesso faccia un gioco. Chiuda gli occhi, e provi a immaginarla una violenza commessa su di lei. Una violazione non richiesta dello spazio più intimo del suo corpo, della sua dignità, del suo essere. E poi mi dica: le viene da ridere?
A lei, questa violenza, fa ridere?
Mentre ci pensa, le porgo i miei più cordiali saluti. Perché la violenza che mi è stata usata (non l’ho subita, ma immagino sia troppo sperare che comprenda la differenza) non mi ha reso una rude “femminista pasionaria” (lo ero già prima, e lo sono rimasta dopo. Ma, come vede, sono ugualmente in grado di dialogare).
Nel frattempo noi, qui nel Mondo Reale, continueremo a lottare per “combattere le cose brutte”. Nei modi e nelle forme che piacciono a noi. Continueremo a ridere quando vogliamo ridere, e non quando qualcuno ci spiega che dovremmo farlo. E a lottare anche contro di lei, che di quella cultura patriarcale, machista e violenta è – davvero – molto più vittima di tutte noi.
Cordialmente, Una donna
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Ps. Se i contenuti di questa email non l’hanno fatta ridere me ne scuso. Immagino le spiaccia che – per citarla – una donna “abbia questa enorme libertà di parola, e la eserciti così bene”. Deve essere difficile da sopportare. In questo senso, la prego di accettare tutta la mia solidarietà.
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.* Giornalista di Osservatorioiraq.it
Roberta dice
Brava..grazie..
Ro dice
Bravissima, cara Cecilia, non c’è da aggiungere altro.
Exe dice
Premesso che non sono un vignettista, visto che vuole una spiegazione e visto soprattutto che Natangelo non gliela fornirà, se si accontenta di poco posso provare a spiegarle qualcosa io.
“Fa ridere”?
Ecco, è la domanda stessa che è sbagliata. E’ come chiedere se un certo cibo sia buono, o se una canzone sia bella. L’unica risposta accettabile è “per alcuni sì, per altri no”. Conosco gente che si sbellica per le battute di Ezio Greggio, o per i film di Lino Banfi, mentre a me fanno entrambi cacare. In compenso adoro il Black Humor alla South Park o alla Brickleberry, nonché il Sacha Baron Cohen prima maniera (quello di Borat, per intenderci). Il motivo è che preferisco chi irride il pensiero mainstream in modo provocatorio e satirico, mentre mi lascia indifferente la comicità in stile buccia di banana. Ma, anche qui: de gustibus. Non sta scritto da nessuna parte che la comicità frivola sia di serie B rispetto alla satira: questa è, modestamente, solo la mia personale opinione. E se dite “questa vignetta non fa ridere” non siete stupide (casomai lo è -e parecchio- chi vi definisse tali per questo solo motivo): siete presuntuose, perché attribuite un valore universale a una vostra personale opinione (non importa quanto condivisa).
“Fare satira su uno stupro non è diverso da usare violenza”.
Seriously? Sta veramente sostenendo che tirare un cazzotto a uno sia come disegnare una vignetta in cui si ironizza sulle scazzottate? Ma soprattutto: nella vignetta non si fa “satira su uno stupro”. Non c’è riferimento ad un episodio specifico realmente avvenuto (non è -per intendersi- una vignetta su Asia Argento e sulla violenza da lei subita). Non è neanche raffigurato un atto di stupro (e se lo ritiene talmente scandaloso da sembrare impossibile, consideri che anni fa Il Vernacoliere mise in copertina una vignetta raffigurante un sacerdote NELL’ATTO di sodomizzare un bambino).
Per di più, il bersaglio satirico della vignetta NON è la donna: è la trasmissione di Fazio, che agli occhi di Natangelo fa talmente schifo che una donna preferirebbe farsi violentare che vederla. Così come -BREAKING NEWS- le famose vignette di Charlie Hebdo dopo il terremoto di Amatrice NON riguardavano i morti, ma i vivi: era un “j’accuse” contro le imprese edili che costruiscono edifici a risparmio e che -di conseguenza- crollano alla prima scossa, anche quando non è così violenta (si dice che spiegare le battute sia come vivisezionare una rana: nessuno vuol farlo e la rana muore).
In tutta sincerità: se anziché una donna ci fosse stato un uomo, e la frase fosse stata “almeno tirami un calcio sui coglioni”, avrebbe scritto ugualmente questa filippica?
“(la satira) È irriverente contro il potere, non contro chi, quel potere, lo subisce”.
Ecco, questo è un mito da sfatare. Chi fa satira è irriverente contro chiunque o qualunque cosa non gli vada a genio. Può essere un capo di governo come una minoranza senza peso politico. Si può far satira anche sui vegani, sugli omosessuali, sui celiaci. C’è una puntata dei Griffin in cui Chris si mette con una ragazza con la sindrome di Down, anch’essa in veste caricaturale. Le dirò di più: far satira sui potenti (soprattutto se sono politici) è perfino più facile che farla sulla gente normale; se prendi di mira un politico, subito quello dello schieramento opposto ti esprimerà solidarietà (e magari ti paga pure le spese legali). Viceversa, se irridi i cattolici (o gli islamici, o gli ultrà delle curve etc.) ti fai un sacco di nemici in un colpo solo.
“Continueremo a ridere quando vogliamo ridere, e non quando qualcuno ci spiega che dovremmo farlo”.
Parole sante. Anch’io continuerò a ridere quando voglio, anche quando qualcuno mi spiega che non dovrei farlo.
Syrte dice
Sono d’accordo su molte cose che ha scritto, la comicità a buccia di banana fa cagare anche me, e lo sa perché? Perché mette in evidenza i vizi beceri di uomini e donne senza arte ne parte che hanno contribuito nella cultura di massa a rallentare drasticamente l’evoluzione dei rapporti di parità. Meno male che qualcuno in Norvegia ha dovuto inventarsi le quote rosa per far prendere in seria considerazione il contributo femminile che però in Italia si è trasformato in nomine che non sto qui a ricordarle … L’ironia fatta da chi la sa fare per lo meno proviene da una consapevolezza che non lascia nulla al caso.