Non esistono vie di uscita. È questo che ci hanno fatto e fanno sempre credere. Non c’è nulla da cercare, meglio stare fermi, accettare la vita di ogni giorno così com’è. Possiamo invece metterci a cercare in tanti modi, sapendo che la strada è importante più della meta. E se cominciassimo, ad esempio, da compiti diversi per la scuola? «I maestri potrebbero mettersi in viaggio con i loro alunni – scrive Emilia De Rienzo – per esplorare ciò che ancora non è…, “inventare” mondi “altri”, ripensare la città… Una conoscenza, quindi, utile non solo ad acquisire nozioni, ma soprattutto a prendere posizione, a fare, a sperimentare insieme un nuovo modo di essere comunità…»

“Datemi una barca, disse l’uomo. E voi, a che scopo volete una barca, si può sapere, domandò il re. Per andare alla ricerca dell’isola sconosciuta, rispose l’uomo. Se ve lo potessi dire allora non sarebbe sconosciuta…”
(da una favola di José Saramago)
Capita che ci si senta come in un labirinto, si gira, si gira e ci sembra di tornare sempre allo stesso punto. Non si vede una via di uscita. Non esistono isole sconosciute… è questo che ci hanno fatto e fanno sempre credere. Non c’è nulla da cercare, meglio stare fermi, accettare la vita così com’è… Adattarsi. Cambiare è un’illusione.
Chiusi in una gabbia, non vediamo altro che quello che ti permettono di vedere. Ma si sbagliano, anche tra di noi esiste chi, come l’uomo del racconto di Saramago, prende una barca e parte alla ricerca di un’isola sconosciuta, che ancora non compare sulle carte geografiche perché:
“Tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca”.
Uscire dalla gabbia, ecco ciò che fanno, frantumano le sbarre, cercano nuove rotte, nuove vie. Guardano dove ancora non si è guardato, cercano dove ancora non si è cercato “Alla ricerca di ciò che un giorno forse ci sarà”. E lasciano la casa delle certezze, delle risposte a tutti i perché. Ma per compiere grandi passi hanno bisogno anche del sogno, di credere che quell’isola la troveranno o che in ogni caso è importante la strada che si percorre per cercarla.
Per comprendere quanto si pensi che ormai tutte le isole siano conosciute, basta pensare alla scuola. Molti, intellettuali o no lamentano l’abbandono della scuola tradizionale e a questo abbandono attribuiscono la sua presunta decadenza. Ciò che viene sempre criticato sono i timidi tentativi di rinnovamento, e si auspica una ritorno al passato, alla tradizione.
Sarebbe invece importante andare oltre, ricordarci che il mondo è profondamente cambiato, e nel mondo di oggi i bambini, i ragazzi vorrebbero capire come vivere, vorrebbero conoscere, vorrebbero imparare a muoversi.
E, noi adulti, sappiamo quanto oggi il passato abbia prodotto cose buone, ma anche disastri e orrori. L’educazione, allora, dovrebbe essere orientata soprattutto a porsi domande e a dubitare degli equilibri esistenti, che hanno prodotto nell’immediato anche progressi e benessere, ma anche conseguenze gravi sulla vivibilità sociale, culturale e ambientale.
La scuola potrebbe avere questo compito: i maestri potrebbero mettersi in viaggio con i loro alunni per esplorare ciò che ancora non è, ma potrebbe essere, per “inventare” mondi “altri”, alfabeti inediti per vivere l’oggi e imparare insieme a rispettare l’ambiente, a rimediare agli errori fatti, a ripensare la città, i paesi, i luoghi in cui abitiamo per renderli più a misura di uomo in tutte le sue età e diversità, a intrecciare un dialogo interculturale, a comprendere come realizzare la giustizia sociale.
Una conoscenza, quindi, utile non solo ad acquisire nozioni, ma soprattutto a prendere posizione, a fare, a sperimentare insieme un nuovo modo di essere comunità. La scuola dovrebbe impegnarsi su quei temi che determineranno il presente e il futuro delle persone a partire dal proprio microcosmo a partire dalla conoscenza del passato per individuare gli errori commessi e mai più da ripetere. Una conoscenza che non è solo accumulo di saperi e nozioni, ma che diventa atto creativo.
In Antichi Maestri, Thomas Bernhard scrive:
“La mente deve essere una mente che cerca, una mente che cerca gli errori, gli errori dell’umanità, una mente che cerca il fallimento. Una mente diventa effettivamente una mente umana soltanto quando cerca gli errori dell’umanità“.
È un impegno difficile ma necessario per consentire alle nuove generazioni di dare un senso alla storia come base delle scelte che dovranno fare per invertire quella deriva a cui stiamo assistendo e di cui saranno future vittime proprio loro: una cultura della sostenibilità che sappia individuare stili di vita, comportamenti e scelte individuali e collettive, relazioni umane richiesti con urgenza dal tempo in cui viviamo.
Può sembrare un’idea utopica ma “una mappa che non includa Utopia – diceva Oscar Wilde – non merita neanche un’occhiata”. E se la scuola nella sua interezza non produrrà questo cambiamento, come presumo, continueranno a lavorare in questo senso tanti insegnanti che sono isole di speranza e guida per chi vuole intraprendere questo viaggio.
Grazie.