Alcune donne negli ultimi anni hanno cominciato a ribaltare l’antropologia e la storia, spacciate per neutre. Uno sguardo critico permette di individuare società matriarcali del passato (e del presente), costruite intorno a mutualità, uguaglianza di genere, processi decisionali del consenso. Su questa traccia, partendo dal pane lievitato al miele e sesamo, Micaela Balìce, responsabile di una piccola azienda agricola piemontese, in questo articolo fa un viaggio tra cibo, “culture” e religioni che si conclude con la ricetta dei pandolci alla dea. Il dossier/laboratorio “Facciamo il pane insieme” ha sempre più un buon sapore
di Micaela Balìce*
Condividere un percorso spirituale con l’intenzione di ricercare quel divino femminile che ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, non può non portare al piacere di recuperare o creare dal nulla quegli elementi che in ogni struttura mitico – spirituale fanno da legante. Il cibo è uno di questi, ed il pane lo è in particolare.
Fonte ispiratrice di questa mia ricerca è stata la lettura di Oscure madri splendenti di Luciana Percovich, dove in riferimento al culto dei Misteri in onore di Demetra e della figlia Kore che si celebravano in antichità ad Eleusi, la Percovich fa riferimento ai melloi, dolci dedicati alla dea “di sesamo e miele a forma di vulva, la parte sacra del corpo da cui ogni creatura emerge alla vita” (Percovich, pag. 248).
L’idea di recuperare o inventare un dolce simile mi ha portato ad aprire numerosi libri di ricette alla ricerca di impasti per dolci o pani contenenti sesamo e miele. Con stupore ne trovai due, molto simili tra loro, che possedevano le caratteristiche che ricercavo: le trecce al miele di non specificata provenienza o tradizione, e l’hallah (o challah) il pane dello Shabbat ebraico.
La somiglianza delle due ricette era stupefacente (l’unica differenza sostanziale è che la prima viene fritta e l’altra cotta in forno), ma quello che più mi colpiva era giungere attraverso dei libri di ricette ammonticchiati nella mia cucina fino all’area orientale del Mediterraneo in un tempo che si colloca agli albori della nostra civiltà, molto vicino all’era della Dea (o meglio: all’era della fine del suo culto).
Ciò che fece divagare maggiormente la mia fantasia fu una nota di Joan Rundo che riportava un passo biblico tratto dal Libro dei Numeri: “Il Signore parlò a Mosè dicendo: parla ai figli d’Israele e dì loro: quando giungerete alla terra dove Io vi sto conducendo, avverrà che quando mangerete del pane della terra, preleverete una prelevazione per il Signore. Il principio dei vostri impasti, una challà preleverete in prelevazione; come la prelevazione dell’aia, così preleverete una prelevazione. Dal principio dei vostri impasti preleverete per il Signore una prelevazione per tutte le vostre generazioni” (Nm 15, 17 – 21).
L’area dove il popolo di Israele si stabilì all’incirca nel terzo millennio avanti Cristo, era occupata da popolazioni il cui culto della Dea era parte pregnante della struttura non solo religiosa ma anche economica e sociale. Tendenzialmente agricoltori e sedentari, “i cananei prosperavano sotto la protezione delle differenti manifestazioni della Dea e intorno ai fondamenti rituali della fertilità. Ma, verso il 2200 a. C., gli amorrei, altra popolazione semitica di guerrieri seminomadi e di pastori, i quali adoravano dèi maschi di tipo celeste e astrale, eliminarono quella cultura e imposero i loro dèi” (Rodriguez, pp. 256 – 257). Asherah
“Il dio degli ebrei secondo la Bibbia” continua poco oltre Rodriguez, “fu il cananeo El, che non si fuse con il nuovo profilo denominato Yahvé fino alle soglie del I millennio a. C., cioè fintanto che in Israele non si affermò la regalità. Perciò fu assolutamente normale rendere culto alla dea Ascera, moglie di El, fino a che il potere dell’ideologia yahvista in ascesa, capitanato dai profeti Elia e Eliseo, non portò ad una ribellione armata (circa 825 a. C.) per imporre il culto esclusivo del dio misogino e ufficialmente scapolo” (Rodriguez, p. 258).
In questo contesto di convivenza di culture molto diverse fra loro non dovrebbe essere stato così difficile attuare quell’opera di sincretismo religioso – anche spontaneo – mescolando ricette oltre che riti e simboli. Seguendo questa pista, potremmo affermare che il pane lievitato al miele e sesamo che celebra lo Shabbat ebraico possa aver avuto, nel passato remoto della storia, un parente – sempre sacro ma dedicato al culto della Dea.
Alcuni elementi potrebbero suffragare questa ipotesi; intanto gli ingredienti: la presenza del miele e del sesamo è comune sia nell’hallah (benchè facoltativa) sia nei melloi greci. La prelevazione rituale erbraica della pagnottina di pane – hallah o challah, appunto – rimanda al gesto che ancora oggi le donne contadine fanno quando prelevano la porzione di impasto che farà da lievito alla successiva panificazione. Questa pagnottina / lievito viene chiamata nella tradizione italiana la madre. La differenza, decisamente sostanziale, è che nel folkore contadino la madre è considerata colei che dà la vita, dotata di potere accrescitivo e fecondante pertanto viene conservata con cura e rinvigorita settimanalmente per consentire le panificazioni successive (in piena coerenza con le linee principali del culto della Dea).
Nella tradizione ebraica, invece, la richiesta che fa Yahvè è di bruciare questa prelevazione in offerta, così come chiede che venga fatto con gli animali (la prelevazione dell’aia). Pare evidente l’intenzione del Dio Unico di avere nelle sue mani anche il potere fecondante femminile, sostituendo tra l’altro l’adorazione della vulva (simbolo del divino femminile fin dagli albori dell’umanità e – ricordiamolo – forma dei melloi) con la centralità del pene maschile – e del suo seme – che, tramite la circoncisione, sanguina anch’esso (Vedi Rodriguez, p. 259 – 260).
Altro elemento che potrebbe suffragare questa ipotesi è l’uso dei semi di sesamo o papavero. Il papavero è pianta dedicata sin dall’antichità alla Dea, come confermano i ritrovamenti archeologici in particolare nell’isola di Creta e ampiamente studiati dall’archeologa Marija Gimbutas. La sua simbologia rimanda ai poteri di collegamento con le dimensioni ultraterrene per le sue caratteristiche di portare all’oblio. Ciò fa della Dea la reggitrice del ciclo della Vita – Morte – Vita. Il sesamo invece è legato alla fecondità per la moltitudine dei suoi semi, alla ricchezza intesa come prosperità, all’intelligenza e alla forza per la presenza dell’olio che se ne ricava. Il miele è anch’esso connesso al culto della Dea: cibo divino prodotto dalle api, insetti che vivono in una società retta da una Regina. Ricordiamo che melisse era il nome delle sacerdotesse di Demetra.
Nell’insieme questi elementi potrebbero condurci, attraverso un viaggio che è ovviamente immaginario, ad un momento della storia umana nel quale le donne – sacerdotesse e detentrici del culto divino dedicato a Colei che ci fece a sua immagine e somiglianza – per celebrare la forza fecondante della loro divinità impastassero, così come facevano nella quotidianità per sfamare la famiglia, dei pani ma questa volta a forma di vulva: resi dolci (come dolce è il piacere dell’amore) dal miele e fecondanti dal sesamo.
Questi pani venivano cotti nel ventre della Dea, il forno: l’utero magico che consentiva le trasformazioni alchemiche degli alimenti. E venivano infine divisi, in un sacro banchetto, con le altre donne e probabilemnte anche con gli uomini in uno spirito di convivialità e festa che rimanda a quello spirito bucolico che ancora oggi si incarna nel termine pagano.
Da questo viaggio fantastico, ma che contiene senz’altro spunti di riflessione confermabili dalle recenti ipotesi dell’archeomitologia, ho elaborato la ricetta che segue.
PANDOLCI DELLA DEA
Ingredienti:
1 Kg. di farina / 1 uovo + 1 tuorlo per dorare / lievito
5 cucchiai di olio / 2 cucchiaini di sale / 4 cucchiaini di zucchero
semi di sesamo / 100 gr. di miele / 500 ml. di acqua
Sciogliere il lievito – se è quello secco – in un bicchiere di acqua tiepida.
Mescolare in una grande insalatiera la farina a fontana col lievito, l’uovo, l’olio, sale, zucchero e 500 ml. di acqua.
Impastare bene finchè gli elementi non cominciano ad amalgamarsi.
Versare l’impasto su un piano di lavoro infarinato e continuare ad impastare bene.
Lasciare riposare l’impasto sotto uno strofinaccio da 1 a 3 ore: l’impasto deve triplicare in volume.
Lavorare l’impasto a lungo fino a quando compariranno bolle di aria che scoppiano mentre si lavora la pasta.
Dividere la pasta in più palline della grandezza all’incirca di un mandarino. Prendere ciascuna pallina e modellarla tirandola così da ottenere una sorta di corda che verrà curvata fino ad avere la forma di vulva.
Disporre i pani su una teglia oliata e lasciate riposare 30 minuti – 1 ora: devono raddoppiare di volume.
Dorare i pani con il tuorlo sbattuto unito ai 100 gr. di miele e cospargerli con i semi di sesamo.
Cuocere nel forno preriscaldato a 180° per 20 – 30 minuti.
Per un uso rituale è consigliabile benedire prima di ogni lievitazione il pandolce augurando prosperità alla casa, ai familiari e alle proprie attività. Non dimenticare di accompagnare con un buon vino.
Fonte: micaelabalice.com (qualsiasi riproduzione, senza esplicito consenso dell’autrice è vietata). Strie è una piccola azienda piemontese a gestione familiare che ha scelto i sistemi di coltivazione naturali e si dedica alla coltura di erbe officinali, alla raccolta di semi e alla diffusione di spontanee e antiche varietà minacciate dall’ubanizzazione e dall’inquinamento. Strie o Strioghe sono termini piemontesi che indicano le streghe, “quelle donne che conoscevano le erbe e gli elementi e sapevano usarli per guarire chi a loro si rivolgeva o per indispettire chi osava stuzzicarle”.
Bibliografia:
BALICE Micaela, Simbologia lunare e tradizione popolare: magie e iniziazioni nel mondo femminile contadino, in “L’Ombra – Tracce e percorsi a partire da Jung”, anno V, numero doppio 7/8 novembre 1999, giugno 2000, Moretti & Vitali Ed.
GIMBUTAS Marija, The language of the Goddess, Thames & Hudson, 1989
PERCOVICH Luciana, Oscure madri splendenti, Venexia edizioni, 2007
RODRIGUEZ Pepe, Dio è nato donna, Editori Riuniti, 2000
RUNDO Joan, Cucina ebraica dal mondo, Sonda Edizioni 2005
DA LEGGERE
Autoprodurre, mangiare, fare insieme sono parte di quel recupero di iniziativa per la trasformazione profonda della società che non si traduce più in richieste al mercato o allo Stato. Non sono solo i tre temi di un nuovo dossier, ma i contenuti di un vero laboratorio di idee, incontri e pratiche promosso da Comune-info
Tracce di mutualità nella storia
(Daniela Degan) L’archeologia al femminile aiuta a scoprire la mutualità della società matrifocali
Salve, sono Micaela Balice, l’autrice dell’articolo. Vi contatto per chiedervi una cortesia: se poteste cambiare il link all’articolo da http://www.strie.it (che non esiste più) a https://micaelabalice.com/ dove sono stati spostati gli articoli, questo incluso. Grazie 🙂