Quanto accaduto il 2 maggio a Roma ha analogie importanti con le proteste in Spagna contro gli sfratti. Non solo per le cause che accomunano la protesta di migliaia di cittadini per la casa. Negli escrache sotto le abitazioni dei politici spagnoli come nelle occupazioni per il diritto all’abitare (e nelle proteste successive, nei blocchi stradali che sono seguiti…), le vittime diventano soggetti. Le forme di resistenza sono prima di tutto ribellioni contro la solitudine di chi è disperato. Perché i poteri preferiscono aggredire con tanto di apparati militari queste forme di resistenza collettiva pacifica? Perché nonostante difficoltà e sconfitte continuano a seminare speranza
di JLC
Da alcuni ultimi mesi a questa parte, in Spagna il governo è costretto a difendersi non tanto dall’opposizione ma dal movimento Pah, Piattaforma delle vittime degli sfratti (desahuciados, cioè sfrattati). In Italia, qualcosa di analogo, per ora accade a livello locale: a Roma i movimenti per il diritto all’abitare non solo hanno impedito ad Alemanno e a costruttori come Caltagirone di nascondere il problema casa, ma hanno agito direttamente attraverso le occupazioni per cercare soluzioni e sperimentare solidarietà.
Per capire cosa è accaduto il 2 maggio a Roma, con lo sgombero di un’occupazione abitativa (di cinquanta famiglie) promossa in aprile a Tor Tre Teste e la militarizzazione di alcuni quartieri, può essere utile partire da qui. L’austerity che precipita sulle persone comuni di città europee sembra adeguarsi ai contesti, ma continua a sottovalutare le espressioni di resistenza. A differenza della Spagna, l’Italia resta un paese nel quale i cittadini in gran parte non sono affittuari ma proprietari delle proprie abitazioni. E lo sono a costi altissimi: a Roma, ad esempio, i valori immobiliari sono così elevati da essere insostenibili per la maggior parte della popolazione che è stata così costretta a trasferirsi nella immensa periferia metropolitana. Il rischio sfratti, dunque, riguarda solo una parte relativamente «piccola» di popolazione. Ma Roma, da sempre in mano ai palazzinari, il problema esiste da anni e l’unica «soluzione» offerta dalla politica finora è stata trasformare tutto in problema di ordine pubblico.
Escrache contro sfratti
Intanto, secondo l’Istat l’aumento dei nuclei familiari che vivono in baracche, roulotte o in alloggi di fortuna a livello nazionale è «sconvolgente»: erano poco più di 23 mila nel 2001, oggi sono più che triplicati raggiungendo la cifra di 70 mila. I dati e i commenti dell’Istat, non proprio un centro sociale, evidentemente non sono noti alla destra. Nei giorni scorsi, il presidente del Gruppo de La Destra alla Regione Lazio, Fabrizio Santori, come presidente della Commissione sicurezza di Roma Capitale, ha presentato una sua mappa degli immobili capitolini occupati, «in tutto 58, tra pubblici e privati, sono entrati perfino negli ospedali e nei teatri, uno scempio che dura da decenni. Auspichiamo l’apertura di un’indagine della Corte dei Conti – ha scritto Santori in una nota – per verificare quanto emerge sugli sprechi causati dalle occupazioni abusive degli immobili di Roma e consentire l’avvio delle procedure per i risarcimenti». La campagna elettorale permanente ha i suoi temi e i suoi linguaggi, in ogni caso dalle parole di Santori emerge l’importanza politica e culturale che ormai hanno in città le numerose occupazioni, sia quelle sociali che quelle abitative.
Ma vale la pena osservare soprattutto come le persone tentano di affrontare il problema casa. In Spagna la resistenza diffusa contro gli sfratti ha preso negli ultimi mesi il volto degli escrache, le azioni pacifiche di gruppo, inventate dai figli dei desaparecidos argentini, quali chiassose e improvvise proteste sotto casa dei politici. L’ultimo escrache di cui hanno dato notizia anche i «grandi» media è stato organizzato nei giorni scorsi, quando il capo del governo Mariano Rajoy è stato a Granada per incontrare il primo ministro irlandese e presidente di turno dell’Unione europea, Enda Kenny. Nonostante la massiccia presenza di poliziotti intorno l’abitazione che ospitava Rajoy, decine di cittadini in taxi sono riusciti ad avvicinarsi e a promuovere quindi la protesta.
Occupazioni contro speculazioni
A Roma, invece, i diversi movimenti per il diritto all’abitare hanno promosso insieme alcune occupazioni: nove stabili abbandonati sono stati occupati e consegnati a cittadini senza casa nello stesso giorno, il 6 aprile (azioni raccontate per altro in diretta dai nostri amici di Dinamopress.it, rompendo dunque anche i modi tradizionali di fare notizia) e prima ancora il 6 dicembre (quando sono stati occupati nelle stesse ore otto stabili). Quelle occupazioni sono da anni accompagnate da un lavoro di inchiesta dal basso straordinario, con il quale si dimostra l’urgenza del nuovo governo urbano da sperimentare, bloccando il consumo di suolo e ricostruendo le regole dell’abitare in città.
Di certo, nelle città spagnole come a Roma, la protesta riesce a mettere in comune la capacità di prendersi cura di chi è spinto alla disperazione. La denuncia fatta insieme a chi partecipa all’escrache come l’occupazione collettiva di diversi edifici diventano prima di tutto ribellioni contro la solitudine e l’individualismo, che da sempre sono compagni di viaggio dei freddi successi del neoliberismo. Per questo, restiamo convinti che al di là degli esiti immeditati delle proteste, che inevitabilmente si scontrano con sistemi di dominio molti più grandi di loro, quelle proteste e quelle azioni riescono a scavare, ad aprire crepe profonde, a diffondere pratiche di mutuo aiuto e di speranza tra persone differenti. Che nessuna militarizzazione sarà mai in grado di azzerare.
Link consigliati
– La cronaca della resistenza contro gli sgomberi del 2 maggio (di Dinamopress)
– Alcuni articoli a proposito della cementificazione di Roma e del problema casa (di Paolo Berdini)
– Spagna, elogio dell’escrache (di Guillermo Zapata)
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